domenica 22 Dicembre 2024
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Caffè Espresso italiano: oltre 800 torrefazioni, migliaia di lavoratori, 150.000 bar ma non piace all’Unesco, per ora

Una bevanda trasversale, che nel nostro Paese vale 3,9 miliardi di euro di fatturato e dà lavoro a oltre 7.000 persone, in più di 800 torrefazioni

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MILANO – La notizia dell’occasione mancata da parte del rito (arte) del caffè espresso italiano tradizionale e della cultura del caffè napoletano, perché la commissione interministeriale governativa ha scelto di proporre all’Unesco il dossier del Festival Tocatì e dei Cavalli Lipizzani. Una decisione che ancora molti dei sostenitori dell’espresso non hanno digerito. Torna a parlare dell’intricatissima vicenda Gabriele Principato su Il Corriere della Sera che ha titolato: “La disfida del caffè”.

Espresso: napoletano o italiano

La disfida sull’identità culturale e sociale del caffè in tazzina è aperta. Intanto, però, è costata la rinuncia da parte della commissione nazionale per l’Unesco a chiederne il riconoscimento di «Bene immateriale dell’umanità». Almeno per quest’anno. Per capire la vicenda bisogna tornare indietro di qualche tempo. La candidatura del «rito del caffè espresso italiano tradizionale» era stata presentata ufficialmente nel 2019. Qualche mese dopo, era arrivata quella della «cultura del caffè espresso napoletano».

La prima, patrocinata dall’omonimo consorzio trevigiano di tutela (cui però aderiscono aziende e organismi di tutta Italia, dalle Marche alla Puglia al Comitato italiano del caffè: n.d.C.), si concentrava sull’importanza del consumo della bevanda come rito quotidiano: divenuto simbolo di un’intera nazione. La seconda, promossa dalla Regione Campania, vedeva al centro le torrefazioni centenarie, i locali storici e le peculiari abitudini sociali stratificatesi nei secoli a Napoli.

E già raccontate all’inizio dell’800 nel Viaggio in Italia dello scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe. Nei mesi scorsi il confronto fra esperti, tecnici e politica su quale candidatura presentare è stato incessante. Alla fine, però, nell’impossibilità di scegliere fra i due dossier, il ministero delle Politiche Agricole ha deciso di presentare entrambe alla commissione interministeriale che, dopo averle valutate, ha invitato i proponenti a unificare i dossier «per un’eventuale candidatura congiunta l’anno prossimo».

Trasmettendo, invece, al team di valutatori dell’Unesco, la domanda del Festival Tocatì e dei Cavalli lipizzani

La rassegna veronese dedicata alla salvaguardia degli antichi giochi di strada. «Un’occasione mancata per l’universo del caffè italiano», spiega Carolina Vergnano, quarta generazione della famiglia alla guida dell’omonima e storica azienda piemontese, attiva dal 1882.

«In un momento di incertezza come quello attuale avrebbe rappresentato una boccata d’ossigeno: non solo per noi produttori, ma anche per tutti gli italiani che durante questi mesi di lockdown hanno dovuto rinunciare al rito quotidiano dell’espresso al bar», aggiunge. «È necessario che il settore faccia sistema: abbiamo un prodotto noto e apprezzato nel mondo e dobbiamo essere compatti, tenendo sotto un unico cappello, senza discriminazioni e polemiche, i meravigliosi riti del caffè made in Italy ».

Una bevanda trasversale, che nel nostro Paese vale 3,9 miliardi di euro di fatturato

E dà lavoro a oltre 7.000 persone, in più di 800 torrefazioni. «Del resto il caffè è da sempre un prodotto che unisce. Basti pensare quanto la sua cultura in Italia sia capillare: si trovano torrefazioni antiche e moderne da Nord a Sud, così come usi e tradizioni: dall’espresso napoletano, a quello triestino, passando per il bicerin piemontese», chiosa Carolina Vergnano.

È proprio per questa eterogeneità di interpretazioni e culture riguardo la preparazione di questa bevanda che, secondo alcuni, avrebbe più chance la candidatura partenopea

«Mentre nel resto del Paese ci sono tante usanze intorno al caffè, in Campania il gesto è il medesimo e rappresenta una pratica antica, legata a socialità e convivialità. Proprio come l’arte del pizzaiuolo napoletano, riconosciuta dall’Unesco nel 2017», spiega Mario De Rosa, direttore marketing di Caffè Borbone, azienda campana che tosta 1.800 tonnellate di grani al mese, per un fatturato complessivo di 220 milioni di euro nel 2020.

mario de rosa
Mario De Rosa, Direttore Marketing e Comunicazione Caffè Borbone

«Per rendersene conto bastano pochi esempi: la cultura del caffè sospeso, cioè regalato a un estraneo che non può permetterselo. O il caffè della consolazione, l’uso da parte di vicini e parenti di regalare i grani tostati per consolare dal dolore di una perdita. Gesti che sono ormai parte integrante dell’identità campana, tanto da essere raccontati, ad esempio, nel teatro dei fratelli De Filippo o nei film di Totò o Sophia Loren», spiega sempre De Rosa. «Non è una questione di divisioni, ma di caratteristiche. È l’espresso napoletano che potrebbe avere quelle più aderenti a ciò che l’Unesco richiede: l’aspetto antropologico legato al culto e alla convivialità».

A Torino

Nata a Torino nel 1981, Carolina Vergnano è titolare dell’omonima e storica azienda piemontese. Assieme al fratello Enrico e al cugino Pietro, Carolina rappresenta la quarta generazione della famiglia alla guida della torrefazione di Chieri, nel Torinese. L’azienda, attiva dal 1882, esporta i suoi prodotti in più di 90 Paesi nel mondo.

A Napoli

Dal 2019 Mario De Rosa è direttore comunicazione e marketing di Caffè Borbone, torrefazione partenopea fondata da Massimo Renda (foto) nel 1996. L’azienda, con 300 dipendenti, è una delle più importanti realtà del caffè in Italia, con un fatturato che lo scorso anno ha toccato i 220 milioni di euro

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