mercoledì 25 Dicembre 2024
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TeaTips, la guida eccezionale nella raccolta, lavorazione e invecchiamento di foglie del tè

L'esperta: “Ci sono sei tipi di tè e la lavorazione varia in base a ciò che si vuole ottenere. Ci sono dei passaggi standard per ottenere vari tipi di tè"

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MILANO – Il tè è una bevanda consumata in tutto il mondo, ma in Italia non è ancora ben conosciuto: la sua coltivazione, la sua lavorazione, le tipologie che esistono in commercio, sono tutti elementi che completano il quadro di una filiera complessa che è molto di più di quello che si trova solitamente nei supermercati, nei bar e spesso anche nelle case degli italiani.

Proviamo allora a fare un passo indietro e raccontare un po’ cosa si nasconde dietro a una tazza, insieme all’esperta Elisa di Teatips.

Si parte dalla raccolta delle foglie di tè

“La raccolta può avvenire manualmente oppure meccanicamente – attraverso delle attrezzature che tagliano la parte superiore della pianta, per lo più nelle piantagioni con i filari dei cespugli e non in contesti selvatici. In alcuni casi più avanzati, questi strumenti sono dotati anche di sensori -.

In questa fase si prende il germoglio, composto dalla gemma ancora non dischiusa, e le foglie successive che possono arrivare sino alla terza/quarta.

In base poi al tipo di tè che si vuole ottenere, vengono utilizzate determinate foglie: indipendentemente che si tratti di tè neri, tè bianchi, si usano soltanto le gemme (questo è vero soltanto se si ha un tè di sole gemme, cosa che non succede ogni volta; non si usano sempre e solo le gemme, ma si possono usare quelle singole, oppure gemme + foglie successive, arrivando fino alla quarta in base al tipo di tè che si vuole ottenere).

I tè bianchi sono invece composti dalla gemma più la prima o seconda foglia. La gemma indica che la pianta è pronta per essere usata: all’interno del germoglio si cela la parte più pregiata e infatti i tè prodotti da questo sono i più costosi e di alta qualità, perché contengono la porzione più giovane della pianta.

Utilizzare la gemma e raccoglierla, prevede una manualità precisa per non rovinare la qualità. Di solito la raccolta meccanizzata è molto diffusa in Giappone dove si lavorano soprattutto i tè verdi, mentre quelli composti soltanto da una gemma sono raccolti a mano.

Un terzo metodo è meno preciso e lo si trova per lo più in Paesi come l’India, dove non ci sono grossi investimenti su macchine tecnologicamente avanzate, e avviene tramite attrezzature dotate di cesoie.

Comunque è importante sottolineare che anche con i metodi meccanizzati, se fatti con cura, si può ottenere un tè di qualità: influenzano molto anche le condizioni climatiche e quindi vale sempre la regola di assaggiare tutto per sapere il risultato effettivo finale.”

Quanti tipi di lavorazione esistono per ottenere i diversi tè?

“Ci sono sei tipi di tè e la lavorazione varia in base a ciò che si vuole ottenere. Ci sono dei passaggi standard per ottenere vari tipi di tè: per il verde c’è la raccolta delle foglie che vengono poi il prima possibile riscaldate in calderoni in Cina, mentre in contenitori riscaldati al vapore in Giappone con lo scopo di bloccarne l’ossidazione.

I vari metodi di lavorazione del tè (foto concessa)

Poi, si può procedere a lavorarle per conferire una determinata forma – più o meno arrotolata -. Infine, c’è la fase di essicazione: le foglie vengono disposte all’interno di forni su delle stuoie per togliere ulteriormente l’umidità in eccesso: poi la foglia è pronta.

Tutti gli altri tè sono frutto di una regolazione diversa dell’ossidazione. Si parte dal presupposto che l’umidità rimane sempre per una percentuale minima: il tutto si gioca con il contenuto dell’acqua residua nelle foglie.

Ad esempio il tè giallo, uno dei più rari, ha una fase di blocco di ossidazione, ma poi è sottoposto ad una chiamata di “ingiallimento”: le foglie vengono avvolte in impacchi di carta, lasciati poi a riposare mentre cambiano aspetto. Dopodiché vengono arrotolate se serve e poi avviene l’appassimento.

I tè fermentati sono invece un po’ una cosa a sé: ci sono quelli più conosciuti come il Pu’Er, specifici di una zona nella provincia dello Yunnan in Cina. La fase di lavorazione in questo caso dà luogo a due esiti: il primo è il Pu’Er cotto (Pu’Er Shu in cinese) che completa la sua fermentazione in lavorazione, cioè le foglie sono raccolte, una volta bloccata l’ossidazione, si arrotolano, vengono fatte appassire e infine avviene un’ulteriore fase di impilamento; vengono create delle montagne ad una temperatura sui 35° che poi,
insieme all’umidità scatena l’attività batterica e quindi la fermentazione.

Dopo di ché le foglie vengono confezionate e il tè è pronto, con note più resinose, legnose, e un liquore dal colore molto scuro.

L’altro tipo di Pu’Er è invece quello Crudo (Sheng) che sembra quasi un tè verde nella sua lavorazione ma ha diverse caratteristiche: subisce il blocco ossidativo e anche l’arrotolamento delle foglie, ma in questo caso la cosa importante sta nella fase di cottura nel calderone, che viene fatta in maniera più ridotta perché si vogliono mantenere vivi alcuni enzimi nella foglia.

Questo perché poi la fermentazione avviene nel tempo: a differenza del Pu’Er Shu, il processo può avvenire anche nel corso degli anni.

Con il Pu’Er SHENG la maggior parte delle foglie viene pressata in forma di torta, cioè dei mattoncini che vengono stoccati per far passare del tempo e che aiutano anche a non far passare l’aria nelle foglie per evitare la formazione di muffe.

La foglia però continua ad evolvere: una di queste torte si può acquistare e provare dopo 5 anni ad assaggiarne un pezzo. Alla fine della fermentazione, il tè si sarà trasformato in Pu’Er scuro.

Quando è giovane il Pu’Er Sheng può essere molto chiaro e fruttato, ma più passano gli anni più si avvicina al Pu’Er Shu, ma con delle caratteristiche un po’ più interessante a livello aromatico, molto zuccherino, con sentori di frutta matura e sciroppata.

Questo procedimento prolungato ovviamente può determinare un costo più alto.

Ci sono delle annate con raccolte molto buone, come accade con il vino. Alcune torte da 280 grammi possono valere anche a 50/70 euro al pezzo.

L’invecchiamento non è possibile solo con i fermentati, ma anche con altri tipi di tè. In questi anni si sperimenta proprio su questo fronte: possiamo avere degli Oolong semi ossidati che vengono invecchiati e subiscono una fase di torrefazione alla fine.

In questo caso le foglie vengono tradizionalmente conservate in barattoli di ceramica sigillati per vedere la loro evoluzione negli anni. Stessa cosa con i tè bianchi che permettono delle belle evoluzioni: alcuni prendono un colore nell’infusione simili al tè nero perché sviluppano una componente chimica molto più matura.

So di recente che sono state delle sperimentazioni in Giappone anche con i tè verdi, conservati nelle giuste caratteristiche in forme pressate. Anche il tè nero viene stagionato.

In ogni caso, da quello che ho osservato tra i tè invecchiati, non si va oltre i 30 anni, perché è possibile che chimicamente non si ottiene più tanto e c’è il rischio che peggiori.

Una volta usata la torta comunque, la si può richiudere e conservare ulteriormente. Alcune persone prendono questa forma, la spezzettano con un coltellino e ne ricavano delle scaglie che possono esser pesate e messe ad infusione.”

Ci parla della tostatura delle foglie? Quando si interviene e per raggiungere quale risultato finale?

“La tostatura riguarda alcuni tipi di tè. Quella che chiamiamo normalmente tostatura si può più correttamente definire torrefazione per fare una distinzione: la fase di blocco di ossidazione in cui le foglie vengono messe a cuocere nei calderoni, viene chiamata tostatura e conferisce delle note di nocciola e di castagna.

La torrefazione invece (in inglese roasting) è una fase di essicazione aggiuntiva che viene usata per dare un profilo particolare aromatico ai tè: degli Oolong vengono arrostiti, come quelli di roccia che sono specifici di una zona nel Fujian nella zona montuosa di Wuyi Shan.

Qui le piante crescono su dei suoli minerali e la lavorazione si completa con la torrefazione che dà una nota molto caramellata, di melassa, di fava di cacao.

La cosa bella è che la fase di torrefazione li rende adatti ad essere consumati anche molto dopo la lavorazione e si acquistano nel momento in cui vengono torrefatti.

Sono raccolti in primavera, conservati sino a giugno-luglio dove vengono tostati e lì venduti. Vengono di solito acquistati ed è consigliato di consumarli dopo sei mesi perché si lascia il tempo alla torrefazione di maturare e di non sentirne soltanto la componente fumosa.

Non è l’unico tè che viene torrefatto: anche i tè verdi in Giappone vengono sottoposti a questo processo, così come i tè neri. Dipende dal tipo di materiale che si ha in mano e da quali caratteristiche aromatiche si vogliono ottenere.”

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