MILANO – Potrebbe essere il peggior effetto causato da El Niño dall’inizio delle rilevazioni, negli anni Cinquanta. Il riscaldamento della zona equatoriale del Pacifico, con le susseguenti forti precipitazioni, rischia di mettere in ginocchio le produzioni di caffè in Uganda, Kenya, Tanzania, Rwanda e Burundi. L’allarme è stato lanciato dall’agenzia umanitaria delle Nazioni unite nei giorni scorsi.
Secondo i produttori di caffè di Uganda (che è il maggior esportatore africano) e Kenya, le piogge intense potrebbero danneggiare pesantemente il raccolto. Per di più, favorirebbero l’attecchire di funghi dannosi per le piante.
L’Uganda ha esportato 3.02 millioni di sacchi di caffè da 60 chili, tra ottobre e luglio, facendo del Paese il settimo maggior esportatore del chicco al mondo. Il Kenya ne ha invece consegnati 616mila, al quarto posto nel continente.
In Uganda, dove si produce la varietà robusta ma anche l’arabica, il timore è che le piogge possano interferire con la normale raccolta e i successivi processi necessari per il caffè. Il periodo cruciale per il raccolto cade tra ottobre e febbraio, prima con la robusta e poi con l’arabica.
L’allarme sul fenomeno atmosferico è partito già nel pieno dell’estate, con campanelli d’allarme quali la temperatura dei mari sudamericani due gradi sopra la media, piogge intense e tornadi in Texas e Oklahoma, il livello del mare intorno all’Indonesia 20 centimetri al di sotto della norma.
Sono segnali che, secondo un report di Credit Suisse, indicano la possibilità che si verifichi un El Niño di forte intensità nella seconda metà dell’anno.
L’impatto de El Niño non si ferma alle soft commodity. Le variazioni della piovosità influenzano la produzione e i prezzi dell’energia idro-elettrica e di conseguenza la domanda di petrolio e carbone, domanda che a sua volta aumenta perché la siccità spinge verso maggiori consumi di energia, l’analista del Credit Suisse Trina Chen prevede un aumento del 4% della domanda di carbone in Cina in estate a causa del maggior uso di condizionatori, con la possibilità di arrivare a un incremento fino al 7,5% in agosto, se il fenomeno dovesse manifestarsi in forma più grave.
Un paper del Fondo Monetario Internazionale ha misurato gli impatti macroeconomici del fenomeno nel periodo 1979-2013: tra i paesi maggiormente colpiti, in maniera diretta o indiretta, c’è l’Indonesia, con un impatto negativo dello 0,91% del Pil reale, a trarre maggiore vantaggio è la Thailandia con un incremento dell’1,5% del suo Pil.