MILANO – L’avvio di una “nuova normalità” nel mondo scosso dal Coronavirus – in attesa del vaccino e dell’agognata immunità di gregge – passa anche per la riapertura dei pubblici esercizi, che in molti paesi viene considerata uno step importante nelle strategie di normalizzazione. Non sarà però una ripartenza facile e non tutti gli esercenti potranno attuarla. In Cina, ad esempio, i locali pubblici hanno cominciato a riaprire già a fine febbraio, ma con misure di sicurezza draconiane.
All’entrata dei ristoranti, dopo l’immancabile misurazione della temperatura con il termometro a infrarossi, si richiedono le generalità e un recapito telefonico, per l’eventuale contact tracing nel caso di casi positivi scoperti tra i clienti.
All’interno, gli allestimenti sono stati modificati per consentire il rispetto tassativo del distanziamento, con segnaletica e barriere.
E i clienti, rigorosamente con mascherina, sono ammessi in numeri contingentati. Obbligatori naturalmente i dispositivi di protezione individuale per il personale in sala e nelle cucine. Un banco di prova non facile da affrontare per gli esercenti, dunque.
Senza contare che la complessa trafila scoraggia molti clienti. Ma il riaccendersi delle insegne di bar, ristoranti, fast food e caffetterie è stato, nonostante tutto, un importante segnale psicologico.
Anche il Regno Unito riafferma il ruolo fondamentale dei pubblici esercizi nel tessuto socio economico
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