La famiglia Oltehua gestisce tutto in loco: dalla semina alla coltivazione, al raccolto in 4 tappe (a seconda del grado di maturazione del caffè, raccolto dalla pianta solo quando è pronto), al lavaggio, e all’essiccazione, che varia a seconda dei diversi tipi di processo. Il caffè è radicato profondamente nelle tradizioni, nella storia e nell’economia delle comunità del Messico di Chiapas, Veracruz, Puebla e Oaxaca in Messico: la famiglia Oltehua non fa eccezione. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Slow Food.
La coltivazione di caffè in Messico
VERACRUZ – La caffeicoltura in Messico rappresenta uno dei principali esportatori di caffè al mondo ed è principalmente concentrata nel Centro-sud delle regioni meridionali del paese: il caffè è costituito in larga parte dalla varietà Coffea arabica la quale cresce particolarmente bene in 15 stati del paese, in particolare in quelli di Chiapas, Veracruz, Puebla e Oaxaca dove si concentra la maggior parte della produzione.
Come in molti altri paesi della coffee belt, la produzione ha un’impronta fortemente familiare. Nella coltivazione e nel processo di lavorazione sono coinvolti tanto gli uomini, quanto le donne e le nuove generazioni, quando le scuole chiudono durante il periodo del raccolto.
La produzione di caffè di Josias Oltehua
Josias Oltehua è un giovane produttore di caffè di 37 anni, della regione Zongolica nello stato di Veracruz. Qui il caffè è arrivato alla fine del XVIII secolo, prima ancora che nel Chiapas, nonostante la predominanza della cultura. Il prodotto dunque è radicato profondamente nelle tradizioni, nella storia e nell’economia delle comunità locali e, in particolare, per la famiglia di Josias, di origine Nahua, la produzione di caffè arabica (varietà Borbón, Garnica, Colombia) è la principale fonte di sostentamento.
Insieme alla sua comunità Slow Food “Bosque, niebla y cafè” , Josias è entrato a far parte della SFCC nel 2021 grazie alla sua lunga collaborazione e amicizia con Stephany Escamilla, oggi consigliera internazionale della Coffee Coalition.
Attualmente, tre uomini e sei donne lavorano nella coltivazione, mentre quattro bambini imparano dai genitori nella speranza che da adulti non abbandonino la terra per cercare fortuna negli Stati Uniti, come tantissimi hanno fatto e stanno facendo dalle zone rurali di tutto il Paese.
“Il ruolo delle donne nella nostra produzione di caffè – ci spiega Josias – è fondamentale non solo per la forza lavoro, impiegata soprattutto nella raccolta e nell’essiccazione del caffè, ma proprio per aiutare a favorire il processo di apprendimento delle nuove generazioni alle tecniche tradizionali impiegate in campo che rischiano di andare perdute a causa della massiccia emigrazione in atto nel Paese”.
L’abbandono delle piantagioni di caffè per la ricerca di una vita migliore in altri paesi ha tante motivazioni. Tra questi hanno un ruolo importante i guadagni fluttuanti legati non solo ai prezzi della borsa del caffè e ai costi dei lavoratori stagionali, spesso assunti nei picchi di produzione per lavori di pulizia delle piantagioni e raccolta, ma anche all’impatto dei cambiamenti climatici sulle piantagioni.
Eventi climatici estremi spesso distruggono le piantagioni, ma anche il “normale” aumento delle temperature facilita il proliferare di malattie e infestanti ovunque, persino a quote dove prima non arrivavano. Se a questo si aggiungono i prezzi in aumento di pesticidi e fertilizzanti, i conti non tornano per quella che viene definita agricoltura “convenzionale”.
“Il cambiamento climatico influisce su tutto ciò che riguarda la produzione di caffè: la raccolta e l’essiccazione sono cambiate drasticamente negli ultimi anni.” sottolinea Josias – “L’agroforestazione può essere una valida risposta, non solo per contrastare i cambiamenti climatici e rispettare il nostro stesso territorio, ma anche per produrre un caffè di qualità che grazie a questo valore aggiunto ci permetta di stabilire contatti quanto più possibile diretti con torrefattori e consumatori finali, e rendere così concreta la sostenibilità economica delle famiglie dei produttori”.
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