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Ecco il bar Basso di via Plinio, metà preferita della movida del Fuorisalone milanese

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MILANO – Si scrive bar Basso e si legge Fuorisalone: il celebre locale di via Plinio è da anni meta della movida della Design Week milanese, tanto da esserne diventato quasi un simbolo, un’icona di stile. Il tutto senza rincorrere mode e stereotipi di tendenza, mantenendo lo spirito che ha sempre contraddistinto negli anni il tempio del cocktail di marca meneghina.

Lettera 43 ha intervistato l’attuale proprietario Maurizio Stocchetto subentrato al padre Mirko, che rilevò il bar nel 1967. Nell’articolo, a firma di Giacomo Iacomino, Stocchetto racconta la storia del bar, dei suoi legami con l’evento milanese del design e del celebre Negroni sbagliato, che ha contribuito a rendere noto il locale in tutto il mondo.

Ne riportiamo di seguito i passaggi salienti.

Cicche e sigarette. Quand’era ragazzino, Mirko Stocchetto raccoglieva cicche e faceva sigarette per le strade di Venezia. Poi, dopo un impiego all’hotel Monaco, a quei tempi – cioè durante la Seconda Guerra mondiale – frequentato solo da ufficiali tedesche donne, Mirko si trasferì a Cortina a lavorare al bar dell’hotel Posta: per lui fu la svolta. Cominciò a spargersi la voce che in quell’albergo si bevevano dei cocktail mai assaggiati prima. Nel 1960 Mirko diventò papà di Maurizio.

Allargando l’orizzonte all’Italia, nel 1961 un gruppo di imprenditori italiani, di ritorno da Koelnmesse, storica esposizione dell’arredamento riaperto dai tedeschi per la forte richiesta di mobili sospinta dal boom dell’edilizia, capì che quel tipo di progetto poteva funzionare anche in Italia. Nasceva il Cosmit, Comitato Organizzatore del Salone italiano del Mobile.

Negroni sbagliato, party sbagliato

Non è un caso che l’anno di nascita di Maurizio Stocchetto sia così vicino a quello del Salone. Lui oggi è gestore e proprietario del bar Basso di Milano, tappa fissa dei designer più famosi e conosciuti a livello internazionale che ogni anno partecipano alla settimana del Mobile, quest’anno dal 9 al 14 aprile. La svolta avviene nel 1999: «Tutto merito di un party. Diciamo un party sbagliato, come il negroni che ha inventato mio papà nel 1972», racconta Maurizio a Lettera43.it.

«Con i miei amici designer volevamo organizzare una festa segreta, diciamo per pochi. Realizzammo gli inviti con carta, penna e due gettoni per la consumazione, prezzo di favore: 6.000 lire. Ma la voce iniziò a spargersi, d’altronde in quegli anni iniziavano a diffondersi i primi cellulari. Quella sera i taxi continuavano ad arrivare. Il bar fu letteralmente invaso e capimmo subito che i bicchieri non ci sarebbero bastati: un delirio. Per fortuna andò bene». Le serate del FuoriSalone al bar Basso, che quest’anno compie 52 anni, cominciarono con quella festa.

James Irvine e gli altri

Il bar è una cosa seria. Maurizio non fa che ripeterlo. Il rapporto tra barista e cliente non è diverso da quello del medico e con il suo paziente. Serve fiducia, la garanzia di potersi lasciare andare senza che i tuoi segreti finiscano sulla bocca di tutti, specie quando hai un paio di negroni nel sangue e lo stesso vale con gli amici. Perché il Bar Basso è anche la storia di un’amicizia vera: quella che legava Maurizio a James Irvine, designer e docente inglese scomparso qualche anno fa.

«Ho studiato l’inglese in California, dove ho vissuto un paio di anni. Una splendida esperienza che mi avvicinò per la prima volta al mondo dei cocktail bar», ricorda. «Tornato a Milano, mi ritrovavo ad attaccar bottone con chiunque fosse inglese. Così conobbi James, al Bar Basso ovviamente, parlando di dischi jazz».

D’altronde sin da piccolo Maurizio trascorreva giornate intere nel locale che il papà rilevò nel 1967 da Giuseppe Basso dopo una lunga trattativa. Il mondo degli adulti lo incuriosiva. Chissà cos’è che avevano così tanto da dirsi tutte quelle persone davanti a quei bicchieroni colorati.

Quando Maurizio strinse amicizia con Irvine, in poco tempo si ritrovò nel giro dei più importanti designer che frequentavano Milano: Jasper Morrison, Mark Newson, Thomas Eriksson. Era la metà degli Anni 80: «Gli architetti giravano tutti vestiti di nero, faceva tendenza. La moda iniziava ad aprirsi al grande pubblico, si vedevano in giro ragazze bellissime e aspiranti fotografi si offrivano ai grandi artisti per far loro da assistenti, mentre la vita mondana passava dai bar e dai ristoranti».

Il primo cocktail e la vita dietro il bancone

Maurizio Stocchetto, al Bar Basso, ha iniziato occupandosi della macchina del caffè e della pulizia delle fragole. «Avevo 16 anni, ma il mio primo cocktail me lo sono preparato a casa, un gin fizz niente male». Il primo da barman invece è stato il “paradise”: gin, abricot e spremuta.

Più complicato il rapporto con il negroni, nonostante il padre fosse il miglior insegnante possibile: «C’erano dei clienti fissi che bevevano solo e soltanto quel cocktail. Mi conoscevano bene, io ero sempre lì. E quando mi videro per la prima volta dietro al bancone non li vidi contenti, sapevano che mi mancava esperienza». Come detto, a quei tempi il bar era una cosa seria. Come i cocktail. Mica per niente, i locali dove si poteva berli si contavano su una mano.

Se il design finisce nel bicchiere

Se negli Anni 80 la moda iniziava ad aprirsi al grande pubblico, il design al contrario aveva sempre mantenuto un approccio più sociale: «In fondo l’obiettivo è sempre stato migliorare la vita delle persone modificando qualsiasi cosa, dal tavolo a una singola posata. Inoltre la cultura dell’oggetto disegnato da un architetto non era comune all’estero. Ecco perché arrivavano designer e giornalisti da tutto il mondo».

A cui si aggiungevano i nomi più importanti del panorama italiano: Castiglioni, Mellini, Sottsass, Alessi, Cappellini. Alcuni di loro non trovarono interessanti solo i cocktail e l’ambiente del bar Basso, ma anche i bicchieri stessi. «Negli Anni 90 non c’era l’attenzione di adesso verso il food. Eppure, molte aziende mi chiesero informazioni anche sul design dei nostri bicchieri, che realizzavamo e realizziamo ancora artigianalmente. Facemmo un piccolo brief su quale principio usavamo per disegnarli. Diciamo che siamo stati un loro laboratorio di ricerca».

Niente Instagram o selfie

Nel corso degli anni il modo di bere è cambiato. La clientela è cambiata ed è cambiato il FuoriSalone stesso, nato spontaneamente agli inizi degli Anni 80 e che oggi mette a disposizione della città un party dopo l’altro nei vari showroom dislocati in tutta Milano. Fa eccezione il bar Basso. Lui è rimasto uguale a se stesso. Niente Instagram. La sua pagina Facebook non viene aggiornata dal 2015. Televisioni e Tablet banditi. «Diamo giusto il wifi, ma solo a chi ce lo chiede».

Appena si entra, sulla destra, c’è un vecchio telefono pubblico. L’arredamento è in legno. Il personale rigorosamente in bianco con smoking nero ed è raro vedere ragazzini farsi i selfie con i cellulari.

La clientela va dai 30 ai 70 anni, felice di essere servita al tavolo, i cocktail sono accompagnati da olive e patatine, magari qualche tartina ma niente buffet, né dj set. Oggi, come allora, i designer più e meno affermati si incontrano di sera al bar durante il periodo del Salone del Mobile. «E i giornalisti vengono a cercarli, perché le interviste riescono decisamente meglio davanti a un negroni sbagliato», commenta Maurizio.

Le origini dello sbagliato

La storia del bar Basso è legata a quello dello sbagliato, il cocktail più bevuto al bancone («Lo sapesse mio padre… Lui lo odiava!», ride Maurizio). Tutto nacque da un errore del barman, che senza accorgersene versò spumante al posto del gin.

Il figlio di Mirko però preferisce dare un’altra spiegazione: «Fu una provocazione. Come ho già ripetuto, a quei tempi il bar era una cosa seria, e anche i cocktail lo erano. Al punto che sbagliare un negroni era semplicemente inconcepibile. E allora mio padre decise di chiamarlo così, apposta, sbagliato».

Maurizio poi cita i Deep Purple: «È un po’ come quando il gruppo inglese accettò di realizzare un disco live di alcuni concerti realizzati in Giappone. Lo chiamarono provocatoriamente “Made in Japan”, perché allora era un’espressione che si legava a prodotti di scarsa qualità, e invece fu un successo strepitoso. Inoltre, in quel periodo le donne iniziavano a frequentare i bar più assiduamente, e lo spumante dava al cocktail un tocco molto più morbido».

Il fuorisalone oggi

Un altro cambiamento degli ultimi anni è che arte, design e moda, a Milano, hanno ormai intrapreso la stessa direzione. Oggi Miart, per esempio, arriva poco prima del Salone e alcune case di arredamento scelgono il sabato della kermesse precedente per organizzare i propri eventi. Non solo. Maurizio rivela che una volta a settimana, il bar diventa un set fotografico per qualche servizio di moda: «Prima degli Oscar sarebbe dovuta venire la modella Irina Shayk per girare uno spot assieme a me, dovevo servirle un negroni e raccontarle la storia del bar. Poi però è stata aggredita dai fotografi e non è più voluta uscire dal suo hotel».

Infine, una confessione: «La verità è che durante il FuoriSalone il bar Basso dà il peggio di sé. Il motivo? Serviamo i cocktail nei bicchieri di plastica, questione di sicurezza per chi sta fuori dal locale quando dentro non c’è posto, e cioè quasi sempre. Il pavimento inoltre diventa una palude e c’è sempre il rischio che qualcuno chiami le forze dell’ordine per il rumore, dato che noi chiudiamo alle tre».

Il Bar Basso all’estero

Trovare Maurizio al bar Basso durante la settimana del Mobile non è semplicissimo. Capita spesso sia in giro per lavoro, anche all’estero, dove suo locale è ormai diventato un luogo di culto. Alla Biennale di Kortrijk, in Belgio, è stata realizzata una copia esatta del bancone e dell’insegna in cartongesso mentre un progetto simile è in via di studio a Copenaghen, dove la scritta “Bar Basso” al neon che da 52 anni illumina le notti di Milano farà da ingresso a un vecchio teatro diventato da poco showroom in centro città. E quando non lavora, Maurizio stacca la spina giocando a hockey su ghiaccio: «Ci giocavo da bambino, poi ho ripreso sette anni fa e ho smesso nel 2017. Un gruppo di amici coetanei che frequenta il bar mi ha convinto a indossare nuovamente pattini e imbottitura. Certo, a 50 anni il livello era patetico, ma in qualità del più scarso del gruppo è stata un’esperienza che mi ha insegnato a gestire meglio i rapporti con i miei dipendenti».

Giacomo Iacomino

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