MILANO – È una delle famiglie più ricche degli Stati Uniti, la terza alle spalle delle famiglie Walton (Walmart) e Koch (energia e chimica): stiamo parlando dei Mars, i paperoni americani dei dolciumi. Produttori della barretta omonima e di altri celebri snack come Snickers, Milky Way Bar, Twix, nonché dei bottoncini M & M’s. E di un ampio portafoglio di prodotti PetCare, bevande e gomme da masticare. Ricchissimi, discreti e riservati, anche in virtù di una politica interna di gestione che esclude i debiti finanziari e alimenta gli investimenti esclusivamente con gli utili.
Riprendiamo dal Corriere della Sera un ritratto di questo clan familiare scritto da Mario Gerevini, che prende le mosse da un episodio curioso.
Alla cassa del bar un avvocato sfoglia alcune carte con un collega: «Guarda qui …la Mars … quelli delle merendine, no? … insomma sembra che non trovino più la Mars italiana … sono dovuti andare dal giudice…». Paga, se ne va. E si rimane appesi. Ma che voleva dire? Che significa che gli americani si sono persi la Mars italiana? Sarà uno scherzo? Una battuta? Non si può far finta di nulla. Occorre chiarire il piccolo mistero burocratico. Parte l’istruttoria, da lontano.
Il business mondiale
Per cominciare: dov’è e di chi è la Mars? E qui si apre il mondo molto riservato di una famiglia americana da 108 anni alla guida di una delle più grandi aziende private del mondo e proprietaria di alcuni dei marchi più noti su scala planetaria. Non è quotata in Borsa e non ha alcuna intenzione di andarci. Le notizie corporate sono sostanzialmente assenti. Si sa che fattura più o meno 35 miliardi di dollari (più o meno tre volte la Ferrero) e che ha 115mila dipendenti di cui 70mila impiegati nel settore del cibo per animali. Sono gli unici dati di gruppo concessi all’esterno. In Italia il gruppo americano è sbarcato nel 1966.
La famiglia Mars avviò timidamente il business nel 1911 quando il capostipite Franklin Clarence e la moglie cominciarono a vendere caramelle a Tacoma, cittadina dello stato di Washington, estremo nordovest degli Stati Uniti. Da zero a 35 miliardi, da Tacoma alla presenza in 120 Paesi nel mondo, la strada è lunga e caramellosa. Ma i Mars oggi sono sempre lì, padroni illuminati, religiosamente low profile, inflessibili nel pretendere il massimo livello di compliance nelle loro aziende.
Valerie Mars in Fca
Quando nel 2016 Forrest Mars Jr morì, si stima che avesse lasciato circa l’8% del gruppo a ciascuna delle quattro figlie. Una di loro, Valerie Mars, senior vicepresident della capogruppo, è dal 2014 nel consiglio di amministrazione di Fca-Fiat Chrysler Automobiles. Forbes le attribuisce un patrimonio personale di 7,3 miliardi di dollari. Come sia ripartito il resto del capitale del gigante alimentare non è dato sapere ma non è mai stato fatto alcun, seppur piccolo, collocamento all’esterno. E dunque tutto dovrebbe essere suddiviso tra i vari rami familiari.
Bounty, Twix e pet food
Il cognome del fondatore è in bella vista sugli snack che affiancano migliaia di casse nei bar, tabaccherie, nei supermercati, dove centinaia di migliaia di volte c’è stato e ci sarà qualcuno che si è posto e si porrà l’eterno dilemma: lo piglio o non lo piglio? Mars, Bounty, M&M’s, Twix, Snickers, le gomme da masticare Wrigley sono i dolciumi più noti della multinazionale americana. Ma ormai metà del fatturato viene realizzato con il cibo per animali domestici. Chi ha un cane o un gatto conosce di sicuro i marchi Royal Canin o Sheba o Whiskas, che non provocano analoghi dilemmi.
Bilanci blindati
«Non pubblichiamo i nostri conti – ha detto il ceo Grant Reid in una rara intervista (gennaio 2019 a Bloomberg Businessweek) – perché siamo di proprietà privata, della famiglia». Gli uffici di Reid sono nel quartier generale di Mc Lean, area metropolitana della capitale Washington, poco distante dalla sede della Cia.
Ma, incredibilmente per un gruppo che in tutto il mondo ha budget pubblicitari stratosferici, non un euro è stato investito per connotare la sede operativa con i marchi di famiglia: l’esterno è pulito, sobrio, potrebbe essere un convento francescano. Forse solo sul citofono c’è scritto «Mars». La sede legale della Mars Inc., tuttavia, è in Delaware, garanzia di riservatezza Forse anche per questo dei bilanci non si trova traccia pubblica, nemmeno sui media americani.
I conti della holding
Però il Corriere ha recuperato il bilancio 2018 di una holding del gruppo, forse la più importante, anch’essa con i libri sociali nel Delaware. È la Wrigley International Holding, controlla e consolida almeno 150 società operative in tutto il mondo. Fattura 16,6 miliardi di dollari, ha asset totali per 23,9 miliardi e ha realizzato 1,78 miliardi di utile.
Il che spiega come mai i Mars vengono stabilmente collocati tra le famiglie più ricche del mondo.
Nell’elenco delle 150 controllate della Wrigley, la Mars Italia spa non c’è. Il motivo è che fa capo direttamente, senza interposte holding, alla capogruppo del Delaware. I ricavi nel nostro Paese sono stabili da anni, poco oltre i 300 milioni di euro, con utili cresciuti a 21 milioni nel 2018 (17,8 nel 2017). Dunque Mars Italia è controllata dalla Mars Incorporated del Delaware, titolare di 170mila azioni per un valore nominale di 8.778.800 euro. E allora che cosa è successo?
Il certificato perduto di Mars Italia
Molto semplice: in un recente aggiornamento dei processi di governance si sono accorti che il certificato originale cartaceo che attesta la proprietà di Mars Italia da parte di Mars Inc. non c’era più, forse inavvertitamente buttato nella differenziata in Delaware. Che si fa? La pratica viene affidata allo studio Legance. E il 31 ottobre il Tribunale di Milano pronuncia «l’ammortamento del certificato emesso da Mars Italia in data 24 giugno 2003, rappresentativo di 170.000 azioni, intestato a Mars Incorporated». Succede anche nelle migliori famiglie.