MILANO – Chiunque abbia almeno una volta provato a cercare lavoro molto probabilmente avrà trovato particolare difficoltà. Il motivo principale resta sempre quello: la mancanza di esperienza.
Questo elemento è solitamente quello che spinge le aziende a scartare i possibili candidati, vista la loro voglia di assumersi il minor rischio possibile.
A questo proposito, spesso e volentieri è preclusa anche la possibilità di acquisire questa esperienza, generando così disoccupazione.
Al fine di poter dare una prima, parziale soluzione al problema, scende in campo Google e lo fa schierando il campo della realtà virtuale a fianco degli apprendisti.
Poco tempo fa, infatti, l’azienda americana ha concluso un particolare test confrontando due squadre composte da apprendisti baristi.
Una prima aveva la possibilità di guardare un qualunque video su youtube inerente mentre la seconda aveva la possibilità di utilizzare i mezzi offerti al giorno d’oggi dal “metodo VR”.
Come si è concluso il test di Google?
Dopo questa prima fase in cui gli apprendisti avevano la possibilità di addestrarsi al compiere al meglio possibile le operazioni da barista, i due team si sono affrontati in un ambiente reale e ne è risultato vincitore il team che si è allenato nella realtà virtuale.
Quest’ultimo, infatti, ha concluso tutte le operazioni compiendo meno errori e completando il tutto più in fretta. Nessuno dei due team, comunque, è riuscito a raggiungere l’eccellenza.
Di sicuro, compiendo il test in un ambiente VR è nettamente più semplice svolgere correttamente tutte le procedure.
Tuttavia, il test non ha evidenziato solamente questo aspetto positivo ma ha messo in luce anche alcuni aspetti negativi, primo fra tutti la tendenza a non seguire le varie indicazioni mostrate in fase di allenamento.
I candidati infatti sono andati per lo più per tentativi, evitando così di seguire la procedura corretta al primo colpo.
L’esperienza VR, tuttavia, esclude i rischi del mestiere
L’adozione di tutta una serie di dotazioni in grado di immergere il candidato nella “caffetteria virtuale” (la dotazione comprendeva un casco VR, diversi sensori e controller dotati di feedback aptico) gli permettevano di apprendere la tecnica, ma non veniva istruito sul come agire in conseguenza agli errori commessi.
Un esempio può essere quando getti di acqua bollente finiscono a contatto con la pelle: un’esperienza di questo tipo non è attualmente in grado di essere emulata nel campo della realtà virtuale.
A ciò si aggiunge anche l’impossibilità di comprendere il come svolgere correttamente alcune manovre. Come ad esempio il dosare correttamente la pressione da applicare per compattare il caffè.
Insomma, sebbene siano presenti alcune limitazioni, il campo VR potrebbe avere largo campo di utilizzo in #futuro.
La maggior parte di queste limitazioni tecniche potrebbe essere superata in un periodo di tempo non troppo lungo. Si parla comunque di qualche anno come minimo. Questo si potrà fare aprendo nuove strade al campo della realtà virtuale. Che al momento è limitato praticamente ai videogiochi. Come avviene con il Playstation VR.
Fabio Attardo, curato da Azzurra Bisogni