MILANO – Nuovo governo, nuove regole e zone rosse con delle diverse misure per prevenire l’aumento dei contagi: alcune di queste novità non sono andate giù, comprensibilmente, a parecchi gestori che si ritrovano a dover reinventarsi per l’ennesima volta e garantire un servizio in sicurezza. Ci riferiamo in particolare agli oltre due metri di distanza che andrebbero mantenuti al tavolo: numeri che si fanno sentire a tal punto, che sono tanti i proprietari che hanno trovato più conveniente restare chiusi e offrire solo la formula dell’asporto.
Ma la Fipe non ci sta: “Allarmismo ingiustificato senza basi scientifiche”
“È ora di finirla di complicare l’attività degli imprenditori e diffondere inutile allarmismo tra i cittadini. È gravissimo che le istituzioni preposte alla tutela della salute abbiano messo nero su bianco il suggerimento di aumentare a due metri la distanza fisica nei ristoranti, ammettendo candidamente nello stesso documento che non esistono basi scientifiche a supporto di questa aggiuntiva prescrizione.
In questo modo le autorità sanitarie perdono credibilità. Invece di inventarsi strumenti sempre nuovi per mortificare le speranze di ripresa di una vita normale degli italiani e dei ristoratori, dovrebbero concentrarsi su come accelerare la campagna vaccinale per portare fuori il Paese dal dramma dei lockdown.
Siamo esasperati e qui si continua a giocare con i numeri senza capire che le conseguenze sociali ed economiche sono e saranno devastanti. Nel frattempo, oggi festeggiamo il terzo mese al verde, senza ristori, con il 90% dei locali chiusi e senza alcun piano per la riapertura. È un momento drammatico, serve responsabilità a tutti i livelli: non si uccide un comparto da 1 milione di lavoratori senza alcuna base scientifica.”
Così Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi in una nota.
Leggiamo altri aggiornamenti sulla situazione da repubblica.it.
Due metri di distanza non bastano: è quasi più semplice starsene a casa
Più di due metri di distanza da chiunque altro mentre si mangia, si beve o si sta senza mascherina, quarantena anche per chi è stato vaccinato se ha avuto un contatto stretto con un caso positivo al coronavirus, vaccino in una sola dose dopo un periodo variabile tra i 3 e i 6 mesi dalla malattia per chi ha già contratto il Covid, a meno che non sia immunodepresso: a quel punto si accorciano i tempi e aumentano a due le iniezioni. Sono questi i punti salienti delle ultime raccomandazioni dell’Inail, dell’Iss, del ministero della Salute e dell’Aifa riportate in un documento dal titolo ‘Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione’.
Con varianti distanza di 2 metri quando si sta senza mascherina
A fronte della circolazione di varianti del virus SarsCov2, per il distanziamento fisico un metro rimane la distanza minima da adottare ma, si legge nel rapporto, sarebbe opportuno aumentarla “fino a due metri, laddove possibile e specie in tutte le situazioni in cui venga rimossa la protezione respiratoria come, ad esempio, in occasione del consumo di bevande e cibo”. Laddove dunque è ancora o sarà possibile sedersi a consumare in bar o ristoranti le distanze, e dunque la lunghezza dei tavoli, dovrebbe essere aumentata ulteriormente.
Il vaccino per chi ha avuto il Covid
Le persone con pregressa infezione da SARS-CoV-2 confermata da test molecolare, indipendentemente se con Covid-19 sintomatico o meno, “dovrebbero essere vaccinate”. Ma quando e con quale siero? “È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dall’infezione e entro i 6 mesi dalla stessa”. Fanno eccezione le persone con condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, che, anche se hanno avuto il Covid, “devono essere vaccinate quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi”.
In merito al profilo di sicurezza dei vaccini anti-Covid-19, “non sembrano esserci differenze significative tra i soggetti positivi per SARS-CoV-2”, che hanno già avuto Covid-19, “e quelli negativi”. Tuttavia, “qualche recente segnalazione mostra reazioni avverse attese di natura sistemica, come febbre, brividi debolezza, mal di testa, più frequenti nei soggetti con pregressa infezione rispetto a coloro che sono risultati sieronegativi”. Tradotto: chi ha già avuto il Covid, al momento della somministrazione del vaccino, potrebbe avvertire qualche sintomo lieve più frequentemente degli altri.
Il vaccino per chi ha avuto un contatto stretto con positivo
I contatti stretti di un caso di Covid-19 possono essere vaccinati ma “dovrebbero terminare la quarantena di 10-14 giorni prima di potere essere sottoposti a vaccinazione”. Cosa si intende per contatto stretto? “L’esposizione ad alto rischio a un caso probabile o confermato; tale condizione è definita, in linea generale, dalle seguenti situazioni: una persona che vive nella stessa casa di un caso Covid-19, una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso Covid-19 (per esempio la stretta di mano), una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso Covid-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti, una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio una aula, una sala riunioni, la sala d’attesa dell’ospedale) con un caso Covid-19 in assenza di dispositivi di protezione come le mascherine Ffp2 e Ffp3 e i guanti o di dispositivi medici appropriati come le mascherine chirurgiche”.
Quarantena anche per i vaccinati dopo contatto con positivi
Anche chi è vaccinato contro Sars-CoV-2 dopo un’ esposizione ad alto rischio con un caso Covid, “deve adottare le stesse indicazioni preventive valide per una persona non sottoposta a vaccinazione, a prescindere dal tipo di vaccino ricevuto, dal numero di dosi e dal tempo intercorso dalla vaccinazione”. Il vaccinato considerato ‘contatto stretto’ deve osservare, purché sempre asintomatico, 10 giorni di quarantena dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo al decimo giorno o 14 giorni dall’ultima esposizione.
Ma perché se si è vaccinati bisogna comunque comportarsi come i non vaccinati? “La vaccinazione anti-Covid-19 è efficace nella prevenzione della malattia sintomatica, ma la protezione non raggiunge mai il 100%. Inoltre, non è ancora noto se le persone vaccinate possano comunque acquisire l’infezione da Sars-CoV-2 ed eventualmente trasmetterla ad altri soggetti”, viene specificato nella relazione. Si sottolinea anche che alcune varianti “possano eludere la risposta immunitaria” data dai vaccini. “Segnalazioni preliminari suggeriscono una ridotta attività neutralizzante degli anticorpi di campioni biologici ottenuti da soggetti vaccinati con i vaccini a mRNA nei confronti di alcune varianti, come quella Sudafricana, e un livello di efficacia basso del vaccino di AstraZeneca nel prevenire la malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano”.
Le misure anti-Covid per i vaccinati
Nessun “liberi tutti”, dunque, nemmeno sul lavoro o in famiglia, per i vaccinati. Ogni lavoratore, inclusi gli operatori sanitari, “anche se ha completato il ciclo vaccinale, per proteggere se stesso, gli eventuali pazienti assistiti, i colleghi, nonché i contatti in ambito familiare e comunitario, dovrà continuare a mantenere le stesse misure di prevenzione, protezione e precauzione valide per i soggetti non vaccinati, in particolare osservare il distanziamento fisico (laddove possibile), indossare un’appropriata protezione respiratoria, igienizzarsi o lavarsi le mani secondo procedure consolidate” si legge nel documento.
“I vaccinati posso reinfettarsi ma rischi ridotti”
Anche i soggetti vaccinati, infatti, “possono andare incontro a infezione da SARS-CoV-2, seppur con rischio ridotto, poiché nessun vaccino è efficace al 100% e la risposta immunitaria alla vaccinazione può variare da soggetto a soggetto. Inoltre, la durata della protezione non è stata ancora definita”.
Uno studio condotto su oltre 6.600 operatori sanitari nel Regno Unito, citato dall’Inail nel documento appena diffuso, ha mostrato che nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 “la durata dell’effetto protettivo dell’infezione precedente ha una mediana di 5 mesi”.