MILANO – Fatuma Lokembo è la fondatrice dell’azienda importatrice di caffè verde specialty congolese – proveniente principalmente dalla parte repubblicana -, Kiziwa Coffee – parola che significa acqua tranquilla del lago dove solitamente cresce il caffè -, con sede a Dubai ma molto attiva in questo Paese africano a contatto con i coltivatori.
La missione finale: far conoscere l’eccellenza del caffè congolese nel mondo e migliorarne allo stesso tempo la qualità attraverso l’educazione, l’apprendimento e la condivisione di nuove best practice tra i produttori.
Tutte queste premesse e obiettivi sono stati illustrati durante la conferenza di quattro giorni a Bukavu per presentare Drink Congo Coffee Tour, un’organizzazione che mira a cambiare la narrazione del caffè specialty congolese, nata dalla forza e dalla visione combinata di tre donne: Fatuma Lokembo, fondatrice di Kiziwa Coffee (Dubai, Emirati Arabi Uniti), Déborah Kabwang, fondatrice di Kanfuela Kaffé (Phoenix, AZ/USA), Linda Mugaruka, fondatrice di Yetu Qahwah (Bukavu, D.R. Congo).
Ma prima ancora, in questo percorso di valore aggiunto, Fatuma ha incontrato altri professionisti che hanno affiancato lei e la sua azienda per far crescere il progetto alle origini: Davide Spinelli, Renata Zanon, con l’impegno di BWT Italia, sono stati coinvolti in un corso incentrato sull’importanza dell’acqua in ogni fase della filiera, dal campo alla preparazione del caffè.
Come è nato Drink Congo Coffee?
“Vendevo chicchi verdi dal Congo a Dubai quando mi sono messa in contatto con una torrefattrice di Phoenix Arizona, Deborah, con la quale condividevo la stessa visione sul caffè congolese: stavamo cercando di capire come venderlo di più e come la gente vedeva questi prodotti da un punto di vista esterno. A sua volta, lei conosceva già Linda, una Q Grader con sede in Congo, con la quale abbiamo fissato gli stessi obiettivi.
Ci siamo dette: facciamo qualcosa per il nostro Paese e per i coltivatori, perché per loro è davvero difficile vendere il caffè e anche per me lo è importarlo. Fino ad oggi, ogni volta che la gente assaggia le nostre origini le apprezza, eppure alla fine non lo compra perché le trovano troppo costose. Dovevamo quindi impegnarci per vedere se in Congo fosse possibile abbassare il prezzo di importazione.
E poi volevamo andare ancora oltre e capire perché la gente non si fida del caffè congolese. Allora come fare? Parlandone, facendo capire alla gente il duro lavoro che c’è dietro al chicco.
Abbiamo pensato: cerchiamo e invitiamo persone da altri Paesi per far loro vedere come si lavora in Congo e per insegnare ai coltivatori ad essere eccellenti e a coltivare un caffè migliore.
Abbiamo avuto l’idea di tenere corsi con professionisti che avessero esperienza nel settore del caffè. Avevamo bisogno di qualcuno di cui le persone potessero fidarsi profondamente, e di qualcun altro che diffondesse la parola. Dare consigli e informazioni a cui i coltivatori normalmente non hanno accesso.
Infatti, i corsi di solito sono troppo costosi per i contadini che non possono quindi permetterseli. Per questo scegliamo dei partecipanti in grado di condividere a loro volta la conoscenza acquisita: ci assicuriamo che i corsisti sappiano scrivere, che possano poi parlare e spiegare agli altri nella lingua locale ciò che hanno imparato.
Al corso sull’acqua c’erano 26 iscritti, ma molte altre persone avrebbero voluto frequentare. Purtroppo il laboratorio era troppo piccolo: per questo abbiamo in programma di costruirne un altro con il progetto Drink Congo Coffee. Almeno avremo due posti dove le persone potranno venire a fare lezione.
Il nostro obiettivo è coinvolgere i congolesi lungo tutta la filiera: in questo modo aiuteremo la comunità vendendo il caffè a un prezzo più basso”.
Renata Zanon:” Prima di conoscere Fatuma, mi sono resa conto di non aver mai assaggiato uno specialty del Congo in vita mia. Questo perché il caffè congolese pone diversi problemi: per esportare il caffè dalla piantagione al porto di un altro Paese, devi pagare un sacco di soldi a persone che ti fermano sulla strada e ti chiedono denaro per attraversare quel percorso.
Così il prezzo del caffè congolese aumenta ancora prima che raggiunga i confini di altri Paesi africani: deve attraversare un altro Paese per arrivare al mare – il Congo non ha un passaggio diretto -. Per questo motivo il caffè congolese finisce sul mercato nero o in Ruanda, dove viene venduto come il loro caffè. Ecco perché nessuno conosce il caffè congolese.
E di solito quando questo arrivava in Europa, all’inizio non era un buon caffè, perché i campioni che venivano inviati al torrefattore non erano gli stessi che poi il torrefattore trovava nei sacchi. Quindi la prima cosa che dovevamo fare quando vendevamo i campioni ai torrefattori era assicurarci che i sample fossero gli stessi prelevati dagli stessi sacchi.
Quindi, se il campione era, ad esempio, valutato con 84 punti, allora avrebbero dovuto ricevere lo stesso specialty di 84 punti nelle bags. Ho coinvolto molte persone inviando campioni di Fatuma e parlando con importatori e torrefattori di caffè. Ma ancora una volta, il prezzo non valeva la qualità ricevuta.
Infatti, Fatuma, mentre esporta il verde dal Congo a Dubai, deve pagare un alto prezzo anche solo per fargli attraversare il Paese. Quando il caffè raggiunge finalmente Dubai e i magazzini, ha già speso molto denaro.
Abbiamo quindi deciso di parlare innanzitutto del caffè congolese, prima di parlare di Kiziwa Coffee. Abbiamo provato ad andare di persona in Congo, ma l’ambasciatore italiano in loco ha detto a me e a Davide Spinelli di non andare perché poteva essere pericoloso per noi. Ma non era esattamente la verità”.
Fatuma: “Questo fa parte del modo in cui il Congo viene percepito. La gente non si rende conto che è un Paese grande e che possiamo evitare quelle zone che non sono sicure”.
Renata: “Questo è il motivo per cui pensiamo che si debba raccontare il caffè in Congo. La gente parla solo della guerra e dei ribelli”.
Fatuma: “Quello che la gente deve vedere sono i cittadini che stanno dietro a questa guerra, che vivono, lavorano, fanno affari in Congo. La gente vuole far conoscere il proprio Paese non solo per tutti i minerali, come l’uranio venduto al mercato nero. Parliamo di ciò che è buono e di ciò che gli agricoltori stanno facendo. Molti di loro hanno un sacco di caffè che non riescono a vendere.
L’unico che viene venduto è quello per i commercianti che arrivano ancor prima del raccolto. Vanno a trovare i coltivatori e chiedono loro di pagare le ciliegie prima che siano mature. Attraversano il confine e pagano: se molte ciliegie vanno al mercato nero, è ovvio che però quelle rimaste avranno un prezzo più alto per l’esportazione.
Dobbiamo far capire agli agricoltori che devono conservare le ciliegie e poi dobbiamo fare in modo che possano venderle senza fallire”.
E il corso sull’acqua?
Renata Zanon: “La gente non aveva idea che l’acqua potesse davvero influire sul gusto del caffè, fin dall’inizio.
Abbiamo chiamato Sergio Barbarisi di BWT Italia e gli abbiamo chiesto di aiutare Fatuma e la comunità congolese. Sergio ha accettato di investire un budget per creare e sistemare l’acqua nel laboratorio. Ma naturalmente non era sufficiente. Abbiamo quindi coinvolto Davide Spinelli per tenere un corso online di tre ore sull’acqua. Era in inglese e poi Fatuma lo ha tradotto in francese”.
Davide Spinelli: “Ho parlato dell’acqua in ogni fase della filiera, spiegando loro come quella pulita possa cambiare il gusto del caffè. Ho cercato di non andare troppo in profondità, ma poi ho capito che molti studenti erano curiosi di saperne sempre di più.
Ho spiegato loro come l’acqua può comportarsi durante la raccolta, la lavorazione e nella tostatura. Ho potuto interagire con i partecipanti che erano davvero coinvolti e felici. Hanno assaggiato l’acqua del rubinetto e poi quella in bottiglia e sono rimasti scioccati dalle differenze tra le due.
Naturalmente per me la parte più difficile è stata insegnare loro online, perché preferisco guardare le persone negli occhi per vedere la loro sorpresa nello scoprire cose nuove. Una volta appreso i concetti, hanno capito l’importanza della qualità dell’acqua per cambiare l’approccio nel loro lavoro”.
Ma com’è l’acqua in Congo?
Fatuma: “Non possiamo nemmeno dire che tipo di acqua ci sia in Congo. Non abbiamo dati a riguardo. Possiamo sentire le differenze, ma dovremo prendere dei campioni per sapere come migliorarla. Mi hanno chiesto da che tipo di acqua siamo partiti, ma non possiamo rispondere con esattezza, perché non abbiamo informazioni in merito”.
Renata Zanon: “È stato davvero difficile organizzare le slide del corso per questo motivo. Davide non sapeva da dove partire perché non conosceva nulla dell’acqua africana in generale. L’acqua del rubinetto è sicura in Europa, ma non potevamo dire che fosse lo stesso dell’acqua congolese. Gli ci sono volute un paio di settimane per preparare quella lezione senza nemmeno sapere cosa significa acqua pulita in Congo. Noi potevamo solo sapere che l’acqua che usano nella fattoria per lavare le ciliegie era sicura, perché proviene dalle profondità delle falde acquifere.
Ma quando abbiamo fatto gli esperimenti con l’acqua del rubinetto e l’acqua delle bottiglie per l’estrazione, le persone sono rimaste molto sorprese dalle differenze e non pensavano nemmeno che fosse possibile.
La conoscenza in generale è ciò di cui hanno bisogno i farmer: devono sapere come selezionare le ciliegie e non mettere i chicchi diversi nei sacchetti, perché non sanno ancora che il modo in cui stanno innaffiando il caffè potrebbe fare la differenza nella tazza finale.
Dobbiamo davvero avere un impatto su tutta la catena. Riuscire ad avere un ottimo caffè farà sì che la gente pensi di comprare lo specialty congolese invece di quello etiope perché è buono allo stesso modo. Abbiamo una possibilità.
Molte delle persone che hanno partecipato ai corsi condivideranno le informazioni e le conoscenze con tutti gli agricoltori. La gente non si fida dei formatori locali certificati ed è per questo che dobbiamo far venire in Congo professionisti dall’esterno.
BWT ha anche inviato alcuni filtri per l’acqua in Congo e siamo riusciti a ripararli per avere finalmente un’acqua molto buona nel laboratorio! Sono stata molto felice di ricevere i filtri da BWT Italia e so che sono molto costosi: sono davvero molto grata.”.
Il processo di miglioramento è lungo: la cosa più difficile è cambiare il modo di pensare, stimolare il desiderio di fare un caffè migliore. Ma quando le persone si rendono conto che soddisfare il cliente finale è possibile, siamo tutti in grado di cambiare. Se una sola delle persone che hanno frequentato i corsi muterà il proprio comportamento, sarà un grande miglioramento per tutte le persone del Paese. Un passo dopo l’altro ci farà crescere”.
I prossimi progetti per Drink Congo Coffee
“Faremo un resoconto di quello che abbiamo fatto fino ad ora, facendo il punto su quali sono i problemi ancora da risolvere. A Goma c’era il direttore dell’ONAPAC – Organizzazione per il caffè e altri prodotti agricoli – di Bukavu ed era disposto a coinvolgere i contadini in questo progetto.
Ma il tutto richiede molto tempo, energie e denaro prese alle nostre aziende private e noi dobbiamo prima recuperare l’investimento. Quindi vi mando questo messaggio: se siete un’organizzazione pubblica, mettete insieme le risorse e aiutate le persone a sentirsi al sicuro qui in Congo, agevolandole nel processo di pagamenti, passaporti, logistica, viaggi e accoglienza. Aiutateci con i documenti e i bilanci: se vogliono farlo, dobbiamo lavorare con l’aiuto del governo per i prossimi tempi”.