di Susanna de Mottoni*
Continua a far discutere lo spaccato sull’Italia del caffè presentato dalla trasmissione Report di Rai3 il 7 aprile. Ecco il punto del conte Giorgio Caballini di Sassoferrato (FOTO), presidente del Gruppo Triveneto Torrefattori Caffè, su alcune delle critiche mosse nei confronti della categoria, ma anche sui risvolti positivi che ha innescato, come il rinnovato interesse per la certificazione dell’espresso italiano di qualità.
Report ha presentato al grande pubblico il settore del caffè. Che quadro n’è emerso?
Normalmente apprezzo i servizi di Milena Gabanelli, ma in questo caso ha fatto emergere un quadro negativo che non rispetta la realtà. A mio avviso la puntata di Report non ha svolto un buon servizio d’informazione, ha accentuato solo determinati aspetti con un timbro che definirei scandalistico.
Parrebbe che in Italia non sia possibile bere un buon caffè al bar… Cosa c’è di vero?
L’Italia è famosa per l’espresso, basti pensare alla difficoltà di assaporarne uno buono quando si varcano le Alpi. Non a caso ci stiamo muovendo come Gruppo Triveneto Torrefattori Caffè assieme ad altre associazioni di settore per iscrivere l’espresso, italiano e tradizionale, tra i beni immateriali patrimonio dell’Unesco. L’Italia ne è la patria.
Il servizio attribuisce varie colpe ai torrefattori: torrefattori che vincolano i bar, che scelgono qualità scarsa per le proprie miscele, che propongono ai consumatori prodotti, come le capsule, potenzialmente dannosi e inquinanti. Da presidente di una delle principali associazioni di questa categoria cosa risponde?
Non nego che ci sono anche torrefattori poco scrupolosi, ma la maggior parte è seria. La questione dei vincoli al barista è un falso problema: non ha senso vincolare un barista costringendolo a rifornirsi di prodotti non all’altezza, perché poi non vende né lui, né il torrefattore. Ribadisco, ovunque ci sono le pecore nere, ma proprio per chi opera nell’HoReCa la qualità è l’arma vincente. Al contrario, l’alimentare è più fortemente condizionato dallo strapotere dei prezzi della grande distribuzione ed è molto più difficile imporre la qualità e il prodotto a prezzo alto.
…rispetto alle problematiche evidenziate connesse al boom delle capsule?
Non credo che il caffè estratto dalle cialde e dalle capsule possa essere dannoso. Ma siamo in un campo scientifico e lo stesso intervistato si è espresso prudentemente al riguardo. Qualsiasi presa di posizione dovrebbe essere suffragata da analisi specializzate, sarebbero necessari studi specifici, con un orizzonte temporale lungo che consenta di capirne gli effetti nel tempo e poi prendere seriamente in considerazione tutte le variabili coinvolte, in primis le temperature d’estrazione.
D’altro canto, moka ed espresso non porzionato non rilasciano per certo nessuna sostanza nociva. Per non parlare dei risvolti ambientali, su cui si stanno cercando soluzioni, o del fatto che il medesimo macinato se venduto in capsule costa il doppio o il triplo rispetto allo sfuso. Anche per queste ragioni all’Unesco chiediamo di riconoscere l’espresso tradizionale, non quello in cialde o capsule.
Nel servizio ha riscontrato imprecisioni tecniche?
Ne ho notate parecchie. Ne cito una sulle cere che mi riguarda direttamente in quanto produttore del caffè light decerato. È stato detto che i Robusta hanno più cere, ma è esattamente il contrario. L’Arabica ha meno caffeina, circa la metà, ma il doppio delle cere rispetto al Robusta.
E per poter offrire un quadro complessivo sul settore sono stati omessi aspetti rilevanti?
La più rilevante è che la professionalità dei baristi non è mai stata messa in evidenza. In Italia ci sono ottimi baristi che fanno ottimi caffè, ma si è scelto di mostrare solo i casi negativi.
Se ne traggono anche conclusioni costruttive?
Il polverone che si è alzato sul caffè ha spinto molti torrefattori a informarsi sulle certificazioni che ne attestano la qualità. Ricordo che come Gruppo Triveneto Torrefattori siamo promotori dell’Espresso Italiano di Qualità, una certificazione, marchio registrato, che viene attribuita alle miscele sottoposte a un attento esame da parte di un ente certificatore di livello internazionale e da un laboratorio chimico. Un marchio, quindi, che consente di dare garanzie sulla miscela e sulla tracciabilità del prodotto.
Vuole concludere con un messaggio ai torrefattori che rappresenta?
La qualità del prodotto venduto e la formazione dei baristi sono le due vie maestre da percorre con costanza. Un principio da tenere ben a mente nell’interesse reciproco: ricordiamo sempre che se il caffè è di scarsa qualità o preparato male, il consumatore va da un’altra parte.
*direttore del Notiziario Gruppo Triveneto Torrefattori caffè