di Gianni Pittella (Vice presidente vicario del Parlamento Europeo)
“Sorpresa: a Napoli un caffè pessimo”. Così ha titolato il Corriere della Sera online, iscrivendosi così di diritto al nuovo sport nazionale: lo SputtaNapoli. Secondo l’esperto Andrej Godina, responsabile per l’Italia della coffe education di Scae (Speciality Coffee Association of Europe), intervistato dal quotidiano della (fu) via Solferino, il caffè di Napoli è addirittura “rancido, legnoso e terroso”.
Possibile? E non si tratta manco di una tazzulella qualsiasi, ma dell’espresso del Gambrinus, storico locale di Piazza del Plebiscito, vero e proprio tempio per gli appassionati.
Ora, sono un fan di Bernardo Iovene – che firma il servizio – e non ho nulla contro Andrej Godina, che sicuramente esperto sarà. E non credo che c’entri nulla il dato che Godina sia di Trieste, che abbia studiato sui libri della Illy, anch’essa di Trieste. E che la Illy, vanto del Made in Italy, sia competitor di varie marche di caffè di Napoli, anch’esse vanto per l’Italia. E non c’entra neanche che proprio Godina avesse già pubblicamente attaccato quelle marche napoletane di cui Illy è competitor.
No, no, questo non c’entra. C’entra, invece, il fatto che attaccare Napoli o il Sud è ormai da tempo uno sport nazionale, che ti garantisce sempre la prima pagina. Mafie, camorre, terre dei fuochi, il Sud è sempre il luogo dell’iperbole, dell’esagerazione, del grottesco. Proprio come nella Commedia dell’arte che, non a caso, nasce a Napoli.
Per questo, il titolo del Corsera non mi piace, ma non mi stupisce. E non lo dico perché sono un terrone campanilista o perché mi senta un novello leghista del Sud che sostituisce all’ampolla del Po di Pontida l’espresso napoletano. Non mi piace, perché dietro questi titoli sensazionalistici del tutto discutibili, in realtà ci sono enormi interessi economici in ballo.
Per poter giocare a SputtaNapoli è fondamentale descrivere sempre il Mezzogiorno come un posto arcaico, pre-moderno e antieconomico. Avete fatto caso che in Tv i manager sono sempre milanesi e quando si tratta di raccontare il Sud ecco arrivare la macchietta meridionale o, nei migliore dei casi, dei goliardici partenopei pulcinelleschi?
Perché i meridionali al massimo possono far ridere o smandolinare serenate; ma l’economia, no, quella non è cosa loro.
A qualcuno conviene che il Mezzogiorno sia assistito. Bacino di consumatori dei prodotti del nord. Ma questo non basta più. Ora anche l’unico settore economico che gli era concesso, l’agricoltura e l’alimentare, gli deve essere sottratto. Ve la ricordate la pubblicità razzista della Pomì? “Lavoriamo solo pomodori di qu'”. Cioè padani… Obiettivo: sabotare il Sud. E, guarda caso, la più importante industria di trasformazione conserviera del pomodoro è in Puglia e in Campania.
Parlare male del Sud, allora, serve. Serve eccome. Ad aiutare qualche potente lobby e a deresponsabilizzare le classi dirigenti. La delegittimazione di una cultura, di una terra e di una società, infatti, può essere funzionale a scopi economici e politici. Si dirà: “non è colpa nostra, delle nostre politiche sbagliate; è colpa loro, se sono rimasti indietro”.
Così, un problema sociale, come la povertà e lo sviluppo, diventa un problema fisiologico: per i razzisti biologici sarà una tara genetica, per i razzisti culturali, un problema di mentalità. Ma il risultato non cambia. Siete terroni e ve lo meritate!
Ed ecco che il Mezzogiorno, da questione socioeconomica, diventa un problema etnico. A questo punto, chi vorrà mai investire nel Sud? E perché poi se sono tutti un po’ indolenti e criminali? Si tratta di un meccanismo sottile, involontario, che mira ad insinuarsi nel senso comune. Con le chiacchiere al bar, davanti a un caffè.
Dunque, il caffè a Napoli è considerato il migliore del mondo? E giù a dire che fa schifo! Napoli ha inventato la pizza? Ma la più buona è di Verona! La mozzarella è uno dei formaggi più buoni d’Italia? Ma la migliore è padana! Nella “mozzarella campana Dop”, ad esempio, non si è mai trovata la diossina, eppure, alcuni anni fa, fu lanciato l’allarme che tutto il settore caseario campano fosse a rischio.
C’erano da foraggiare gli interessi, infatti, di grossi gruppi industriali che puntano sulla vendita di mozzarella di bufala non campana. Se la Sicilia volesse produrre del gorgonzola sarebbe uno scandalo, ma quando Maroni blaterò – a difesa del settore primario lombardo – che la mozzarella era in realtà longobarda e dunque padana, nessuno fiatò.
Perché esisteva un interesse concreto che puntava a scippare la mozzarella alla Campania. E convincere che anche per il caffè o per la pizza bisogna andare altrove, significa scippare turisti e fare economia a vantaggio del Nord e a svantaggio del Mezzogiorno. Una volta tanto, come vedete, non sono i napoletani i più bravi a scippare.