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Dopo il caffè, le capsule conquistano tè, vino e birra

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MILANO – A 30-40 centesimi per ogni capsula di caffè, Nespresso ha costruito un impero: secondo i dati di Euromonitor International già nel 2013 dominava il settore, incassando 3,4 miliardi di dollari dei 10,8 generati dalla vendita di capsule per farsi in casa un espresso come al bar.

Una success story che ora diverse startup tecnologiche presenti allo scorso CES di Las Vegas vogliono imitare, portando l’economia delle capsule in altri settori più o meno affini.

Il più sfruttato ovviamente è quello delle bevande, dove l’americana PicoBrew è partita già 5 anni fa con un’idea in testa: diventare per la birra, seppure con tempi di preparazione diversi, quello che Nespresso è stato per il caffè, permettendo agli appassionati di farsela in casa.

Il fermentatore hi-tech Pico sarà disponibile a maggio, costa 699 dollari e riesce a preparare 5 litri in una sola volta. Più che dalle macchine però la società spera di guadagnare dai Pico-pak, pacchetti pronti con diverse miscele di tutto il mondo che saranno disponibili a 19 dollari.

Se farsi la birra senza tecnologia è macchinoso, è altrettanto complesso prepararsi un cocktail. Almeno così la pensano i creatori della startup canadese Bartesian, che offrono a 299 dollari l’omonima macchina: a riempire gli appositi alloggiamenti con vodka, gin, tequila e rum, ci pensa il cliente, mentre la società fornisce capsule che contengono già gli ingredienti per un Cosmopolitan, un Sex on the Beach, un Margarita e via bevendo (a 20 dollari per il pacco da 12). Poi basterà la pressione di un pulsante per avere il cocktail servito in pochi secondi.

Se convincersi che solo un robot possa creare il giusto mix affidato di solito alle mani esperte di un barman non è poi difficile, un po’ di più lo è credere che avremo bisogno di un gadget come D-Vine della francese 10-vins: qui i flaconi di vini prestigiosi come Châteauneuf-du-Pape 2011, Chassagne Montrachet 2013, Nuits-Saint-Georges 2010 ed altri ancora, vanno inseriti in un parallelepipedo nero, il cui scopo è ossigenare la bevanda e servirla alla temperatura corretta nel calice sottostante.

Solo che il decanter tecnologico costa 499 euro e le fiale da 5 a 10 euro l’una per 10 centilitri di vino. E anche se qualcuno potrebbe obiettare che l’apparecchio toglie un bel po’ di piacere all’idea conviviale di mescere il vino tra amici, i fondatori di questa startup appena entrata in produzione sono convinti di poter sfondare, soprattutto sul mercato americano dove magari la cultura del vino non è così radicata come in Europa.

D’altra parte anche se George Clooney, scelto nel 2005 per diventare il volto ufficiale del Nespresso, ha aiutato il marchio a crescere in popolarità nell’ultimo decennio, Nestlé ci ha messo un bel po’ a renderlo globale e probabilmente all’inizio anche lì gli scettici non mancavano: il suo caffè in capsule è infatti nato ufficialmente nel 1986, e le sue macchine sono state pensate inizialmente solo come strumenti per l’ufficio.

Ai 3 miliardi di bevitori di tè punta invece Teforia (799 dollari), che lancia una macchina per fare il tè che si può comandare anche via app e permette di tenere sempre sotto controllo temperatura dell’acqua e tempo di infusione per ogni particolare miscela, dosando sapore e quantità di caffeina.

L’idea del tè in capsule non è certo nuova, persino Nespresso l’ha percorsa, e infatti Teforia è per così dire “open source”, perché offre le sue raffinate miscele in eleganti piramidi ma lascia la possibilità al cliente di usare le proprie.

Allen Han, fondatore della società, è convinto che sia la tecnologia la chiave per vincere sul mercato: la macchina ha un processore Intel Edison, con cui si collega al cloud, scaricando e adattando il programma di preparazione ad ogni tè esistente.

Fuori dal regno delle bevande invece si avventurano in pochi: Sensorwake (89 dollari) ha tra i partner Google e produce l’omonima sveglia che ha vinto il premio per l’innovazione al CES, perché permette di ridestarsi con aromi di espresso, croissant, cioccolato o i più fantasiosi bagnasciuga e giungla: venduti in cartucce da 2 a 10,90 dollari, durano 30 giorni e si possono anche usare insieme.

Infine la francese Romy Paris ha presentato il suo dispenser hi-tech di creme di bellezza Figure (590 euro): mentre la crema base costa 25 euro, i principi attivi, adattati ai bisogni della pelle grazie ad una app che rileva i nostri parametri fisici dallo smartphone e dati su meteo e inquinamento locali, sono venduti in capsule. Che hanno nomi esotici (canzone siberiana, poesia detox, eccetera) e costano dai 29 euro in su.

Marco Consoli

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