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domenica 08 Settembre 2024
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ORA E’ UN CASO – C’è chi la vieta e chi fa l’area relax: i mille volti della pausa-caffè

Alla Texa un locale per il personale, mentre un sindaco proibisce ai dipendenti di andare al bar. «È un dittatore»

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VENEZIA – «Il problema è che intorno al municipio ci sono cinque bar. No, dico, cinque!». Una tentazione continua per i dipendenti pubblici. E così c’è chi se ne approfittava: pausa caffè, pausa cappuccino, pausa aperitivo… «Alcuni impiegati trascorrevano oltre mezzora seduti al tavolino. Un giorno ne ho trovato uno che, durante l’orario di lavoro, faceva la fila alla Posta per pagare le bollette. Lì ho capito che la situazione era diventata inaccettabile», racconta Nicola Fragomeni, ruspante primo cittadino di Santa Maria di Sala che nei mesi scorsi si è guadagnato l’appellativo di «dittatore» proprio per aver ingaggiato una battaglia contro i furbetti del coffee break.

«Ho firmato una delibera di giunta – rivendica con orgoglio – che vieta a tutti gli impiegati di raggiungere i bar in orario d’ufficio: le bevande calde le possono consumare soltanto ai distributori automatici installati nei corridoi del municipio ». Il risultato? «La produttività è aumentata e ho impresso un cambio di mentalità ad alcuni impiegati comunali». Il direttore generale dell’Usl di Bassano del Grappa, Antonio Compostella, ha appena diramato una circolare che ha mandato su tutte le furie i sindacati di base perché obbliga il personale dell’ospedale e timbrare il cartellino prima e dopo la pausa caffè. Ma, come dimostra la vicenda di «Fragomeni-il-dittatore », è solo l’ultimo manager a cimentarsi nel (difficile) tentativo di regolamentare una delle tradizioni italiane più radicate: quella di interrompere il lavoro per concedersi qualche minuto di svago davanti a una tazzina. La legge prevede che al lavoratore sia concessa almeno una sosta nell’arco di sei ore lavorative.

Fatto salvo questo principio, ciascuno è libero di regolamentarlo come meglio crede. Alla Basilica di Padova, ad esempio, le disposizioni date al personale di vigilanza parlano chiaro: vietato sedersi e vietatissimo andare a bere un caffè caldo nei bar vicini. Anche all’ombra del Santo ci si deve quindi accontentare delle macchinette automatiche. Ma c’è chi vede la pausa caffè come una risorsa per l’azienda. Lo dicono alcuni studi («Riduce lo stress e aumenta la produttività », sentenziano i ricercatori) e lo pensa anche Bruno Vianello, presidente di Texa, società trevigiana leader nella progettazione di strumenti diagnostici. All’interno del quartier generale dell’azienda, a Monastier, ha ricreato un vecchio borgo veneto dominato da un vero e proprio bar dove i suoi dipendenti possono sorseggiare un caffè low cost: 40 centesimi a tazzina. «Le soste ricreative, anche quelle che durano pochi minuti, sono utili – assicura Vianello – perché permettono di riposare la mente per poi tornare al lavoro ricaricati di nuove energie. In questo modo, la pausa può diventare un momento di confronto con i colleghi e un’occasione per migliorare ».

Il segreto sta nel giusto equilibrio. «Basta il buon senso». L’imprenditore vinicolo Andrea Cielo, ex presidente dei Giovani di Confindustria Vicenza, giura di non aver mai considerato le pause come una perdita di produttività, anzi: «In azienda abbiamo realizzato una stanza con una tv, cucina e i divani, una vera area relax, insomma, non una semplice macchinetta del caffè». A Montagnana, invece, il Comune ha diramato una circolare che definisce la pausa-tazzina come «tempo per il recupero psicofisico delle energie». Il contratto prevede che non possa essere effettuata nella prima ora di servizio e che, se avviene all’interno del Municipio (e non supera i 10 minuti) non serva timbrare il cartellino. Un «rito» che va difeso dalle interferenze esterne. Nel 2008 i dipendenti del tribunale di Treviso hanno ottenuto che venissero spostate le telecamere di sicurezza che inquadravano la macchinetta del caffè: «Lo Statuto vieta di controllare i lavoratori a distanza, tramite videoriprese», era stata la giustificazione delle Rsu. E anche per la Cassazione – che si è espressa sul caso di un dipendente che aveva lasciato la sua postazione per concedersi una sosta al bar – è una tradizione che va tollerata, «perché favorisce un successivo migliore espletamento del servizio».

Ormai sono tantissime le aziende provviste di area relax. «Nel tempo i gusti sono cambiati. Ora i clienti chiedono un caffè più dolce e con meno caffeina», racconta Fabio Zandonà, della Berica Caffè, società vicentina che gestisce distributori automatici in mezzo Veneto. «I consumatori maggiori? Quelli che lavorano nel settore dei servizi e del commercio. Coccolano i clienti offrendo loro una bevanda calda, così la pausa caffè diventa un buon modo per concludere affari».

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