MILANO – Ne abbiamo già parlato, ma ora diamo uno sguardo più approfondito alla storia di Don Bruno Rossi, il missionario del caffè. Un personaggio che ha dato vita a un vero e proprio brand, il Caffè Bruno che recentemente è arrivato anche a Bangkok. Un’operazione volta a sostenere i produttori di caffè, che vivono spesso in condizioni di disagio sociale. L’iniziativa di questo gruppo di missionari, può fare la differenza in un contesto di inequità, attraverso la materia prima che dà da vivere a molte famiglie in Thailandia. L’articolo che riportiamo, è stato pubblicato da famigliacristiana.it.
Don Bruno Rossi, vent’anni di servizio nella Terra del sorriso
In Thailandia il nove è un numero fortunato. «Indica il progredire, il migliorare; la capacità di andare avanti», spiega lo stesso Don Bruno.
Stando ai numeri, l’operato di don Rossi potrebbe apparire “fortunato alla terza”. Infatti, era un trentenne prete di montagna (è nato a Enego, nell’altopiano di Asiago, ndr) quando, nel 1999, arrivò in Thailandia come fidei donum della diocesi di Padova a Chae Hom. Nel nord del Paese. Negli anni la sua presenza ha portato benefici, novità e un reale miglioramento delle condizioni di vita di numerosi abitanti del luogo.
Come ha fatto?
Grazie a una sana intraprendenza, una genuina voglia di fare. E, sottolinea, «la mano dall’alto che ci protegge e aiuta». Elementi tutti che si respirano nella sua missione, insieme al profumo di caffè.
Chae Hom è in un altopiano attorniato dai monti della provincia di Lampang. La gente vive di agricoltura. Disboscando e coltivando mais nelle zone alle pendici. Mentre sulle alture tè e oppio. Quest’ultimo da qualche tempo soppiantato, per volere del sovrano, da piantagioni di caffè.
Un centro per studenti
A Chae Hom da anni è aperto un centro residenziale per ragazzi e ragazze. I quali così possono soggiornarvi durante la settimana e frequentare le scuole medie e superiori; diversamente per loro irraggiungibili. Specie durante la lunga stagione delle piogge. Oggi sono presenti 65 studenti, appartenenti a sei distinte tribù. Per lo più di tradizione buddista e animista; qualche ragazzo, nel corso della permanenza al collegio, si avvicina alla religione cattolica. C’è anche un piccolo centro diurno per disabili. Seguito dalle Suore della carità di santa Giovanna Antida Thouret.
Nel 2000 la parrocchia è stata affidata ai missionari fidei donum del Triveneto
Insieme a una quarantina di villaggi satelliti dislocati nella foresta sulle vicine montagne; qualche anno dopo don Rossi è stato nominato parroco. E qui lui, che ha avuto nel cuore fin dagli inizi della sua vocazione il desiderio di essere missionario e l’aspirazione alla vita di missione, ha condotto un “normale” servizio di apostolato su richiesta del suo vescovo. Fino a circa sei anni fa, quando l’innato gusto italiano per le cose buone ha preso il sopravvento e la missione ha cominciato a sperimentare nuovi progetti.
«Sono rimasto perplesso quando, per la prima volta, ho assaggiato il caffè coltivato in queste zone», racconta il missionario
«I coltivatori seguivano correttamente il procedimento di lavorazione: pulivano il caffè raccolto in ciliegia, lo trattavano seguendo il processo dell’“arabica lavato”. E poi lo vendevano con la buccia esterna secca, da togliere. Quando, ricevute delle sovvenzioni, sono riusciti ad acquistare una rudimentale tostatrice, non sapevano usarla in modo adeguato. Così finivano per bruciarlo.
Ne ricordo ancora l’odore acre. Allora mi sono messo alla ricerca di una tostatrice migliore. Un conoscente italiano ci ha donato la sua, di seconda mano, e ci ha inviato un filmato in cui mostrava come adoperarla. Abbiamo capito che Qualcuno ci stava assistendo già al nostro primo caffè. Riuscito veramente ottimo».
800 chili venduti al mese
Così è nato il Caffè Bruno: nome facile da pronunciare e da scrivere in lingua thai, che ne indica il colore − neanche a farlo apposta − “tonaca di monaco”. «Abbiamo cominciato ad acquistare il caffè al suo prezzo reale, eliminando l’uso di pesticida. E pagando il giusto salario ai contadini», prosegue il sacerdote. «Un giovane è stato formato alla tostatura e altri quattro lavorano nella segreteria e nell’imbustamento; poi lo vendiamo».
Gli inizi non sono stati facili
Infatti il caffè doveva essere conosciuto e i primi fruitori sono stati i preti stessi, gli amici, le scuole cattoliche. Ci sono stati periodi in cui il prodotto è rimasto fermo in magazzino. Fino a quando la sua bontà, ratificata dall’Istituto internazionale assaggiatori di caffè, nel 2014 è stata celebrata con il primo premio all’International Coffee Tasting.
Oggi Caffè Bruno è venduto non solo in tutta la Thailandia, ma è esportato in qualche area del Giappone, ed è stato richiesto in Corea per un totale di 800 chili venduti ogni mese. «Ma il business fine a se stesso non ci interessa», sottolinea il missionario. «Il punto è che si tratta di un prodotto di qualità che dà qualità alla vita. L’anno scorso abbiamo comprato 130 tonnellate di caffè in ciliegia. Garantendo il lavoro a molti; e con il ricavato dalla vendita paghiamo le borse di studio agli studenti».
Se la fede si manifesta e viene trasmessa attraverso gli esempi, il lavoro a Chae Hom è diventato testimonianza e fermento
«L’incontro con la cultura orientale, con persone di altre religioni o non credenti, mi ha portato a riflettere sul mio cammino di fede, a interrogarmi in profondità su ciò che normalmente si dà per scontato, a rimotivarmi e confermare la mia vocazione». Così conclude il missionario. «Nei villaggi si temono gli spiriti, le persone hanno paura del buio; io prego per la mia gente e ringrazio Dio per essere la mia luce, il mio coraggio».