lunedì 23 Dicembre 2024
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Domenico Volgare, il pioniere della pizza: una fibra dai fondi di caffè, macinata nella farina

Il creatore: "La mia idea però è che si possa creare una start up con cui davvero ci si potrà rivolgere al bar di zona, raccogliendo gli scarti, lavorandoli in laboratorio e infine riportarli indietro come prodotto finito con la fibra.”

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MILANO – Pizza e caffè: forse non è la prima volta che è state leggendo queste due parole nella stessa frase (dagli esperimenti di 180grammi a Roma agli abbinamenti di Crosta a Milano, giusto per citarne alcuni) e ora si ripete il binomio a Torino, in una maniera del tutto innovativa. Nel locale di Domenico Volgare, è in atto una piccola rivoluzione di due capisaldi della tradizione italiana, grande esempio di economia circolare. Ed ecco che gli scarti di caffè, diventano fibra e poi farina: tutto il resto lo si gusta a tavola.

Volgare, ma come le è venuto in mente di usare il caffè?

La risposta inizia nel migliore dei modi: “Amo il caffè, soprattutto senza zucchero. Da qui l’idea di questo nostro progetto, che poi non è altro che una scelta per sensibilizzare anche un po’ i colleghi.

Ricordo che l’anno scorso, la polemica attorno all’uso delle farine alternative – come quella dei grilli – era diventata virale: purtroppo arriveremo al punto in cui dovremmo usare questi prodotti, perché ogni anno dopo già i primi 4 mesi, abbiamo finito le scorte in laboratorio, ma coinvolgendo il caffè nel processo abbiamo voluto dimostrare che esistono delle soluzioni meno estreme.

Parliamo di un’innovazione che è anche benefica : il caffè infatti ha una serie di vantaggi dal punto di vista dei valori nutrizionali, che rimangono invariati all’interno della fibra e si ritrovano poi nella farina.

Facendo un paragone: se dovessimo calcolare i valori di una farina integrale, il caffè ne avrebbe il doppio (anche se noi non ne utilizziamo il 100%, sui dolci si arriva anche al 15%). Ovviamente non c’è caffeina e quindi non è un problema.

Per continuare a spiegare le ragioni che mi hanno portato a sperimentare, ho sempre cercato di essere un pioniere. Capire il funzionamento di determinati processi per poi poterli innovare è il mio modus operandi – ad esempio la mia pizza arriva da 100 ore di lievitazione dell’impasto, per renderla più digeribile -.

Oggigiorno tutti sono attenti alla materia prima, molti producono pizza gourmet per cui non resta che giocare con l’impasto per poter fare innovazione. Il mio obiettivo è quello di crearne uno che non dia problemi allo stomaco.

Dieci anni fa ho creato la mia pizza focalizzandomi proprio su questo aspetto, prendendo in mano singolarmente i vari ingredienti per migliorarli e ora produco io stesso la mia farina dalla masseria di famiglia in Puglia. Così sono riuscito a fare qualità ed ottenere un prodotto al massimo livello. “

Volgare: la tradizione che continua a modernizzarsi

“Così tre anni fa è partito il progetto con il caffè: pensavo ai vari piatti iconici italiani e a come la pizza potesse funzionare bene con altri prodotti. Gli abbinamenti ormai sono i più impensabili – io stesso propongo la pizza-sake come cucina fusion – e allora mi sono chiesto come due prodotti simbolo del made in Italy potessero coesistere.

Studiando ho notato che l’idea più diffusa era quella di inserire il macinato nell’impasto per conferire un determinato gusto, che però trovavo un po’ limitante in quanto il sapore finale non funzionerebbe con qualsiasi ingrediente.

Il pane con la fibra di caffè (foto concessa)

Nelle varie ricerche mi sono imbattuto prima nella start up americana che aveva provato a realizzare una farina con lo scarto ottenuto dalle bacche di caffè.

Sono stati loro a darmi l’input per recuperare i fondi del caffè, che produciamo in grandi quantità: prendendo questa particolare fibra – ottenuta dagli scarti da cui abbiamo tolto la parte degli oli essenziali – si può inserire nei prodotti da forno così come si fa spesso già in cucina con altri sottoprodotti – ad esempio ottenuti dal bambù -. L’unico limite nel suo utilizzo è la tostatura, perché non volevo un piatto che sapesse di caffè… in effetti, la nostra pizza sa proprio di pizza.

Si intuisce che al suo interno potrebbe esserci del caffè per via del colore, ma spesso le persone non sapendolo la scambiano per un classico impasto integrale, qualcosa di rustico.

Avendo eliminato l’olio essenziale, si è persa la parte aromatica del caffè e quindi chi ha assaggiato questa pizza, è rimasto positivamente stupito: in bocca resta soltanto una parte finale cioccolatosa che ricorda, per i palati più attenti, il caffè.”

Da chi viene effettuata la lavorazione, con chi collaborate?

“Ce ne occupiamo direttamente noi e la procedura è facilmente replicabile: si prende il fondo del caffè, si fa asciugare, si estraggono i residui di olio essenziale – che in realtà viene molto usato nel mercato dei cosmetici e quindi potrebbe trovare nuova vita – con un processo meccanico di pressatura e poi la fibra degrassata che sia di Arabica o di Robusta, viene rimacinata. Fondamentale è il passaggio in cui si riporta la grana del caffè allo stesso micron della farina: non vogliamo che si percepisca la granulosità del caffè, il tutto deve mantenersi omogeneo.

Abbiamo notato anche un paio di cose durante i nostri test: i caffè che sono stati estratti a filtro, sono anche quelli più indicati per ricavare gli oli essenziali e realizzare le preparazioni salate. Questo perché sono meno invasivi di un caffè tostato classico all’italiana, che si presta invece più ai dolci che vanno a mascherare il forte sapore della cottura.

L’intero processo per ricavare la farina è svolto in modo artigianale e ancora siamo in una fase embrionale.

Sicuramente però si può categorizzare la fibra nei caffè a tostatura chiara e scura: entrambe utilizzabili in tutti i prodotti da forno, ma consiglierei a prima tipologia per la pizza.

In ogni caso ho capito che anche quando ho una tostatura più scura a disposizione, è sufficiente limitare la percentuale per un buon prodotto salato.

Il risultato finale del processo (foto concessa)

Si scende al 6/7% di fibra – sulla pizza, il 10% è il massimo che utilizzo con tostatura più chiara -. In base alle preparazioni si studia una percentuale diversa. Si può usare anche nel pane come malto tostato (di solito si mette 1/2% di malto tostato).

Già ora collaboro con degli amici che applicano queste tostature e inoltre qualcosa la prendo dal mio stesso locale. La mia idea però è che si possa creare una start up con cui davvero ci si potrà rivolgere al bar di zona, raccogliendo gli scarti, lavorandoli in laboratorio e infine riportarli indietro come prodotto finito con la fibra.”

Quanto tempo ci vuole per trasformare i fondi di caffè in farina?

“E’ un procedimento molto veloce. Se si asciugano con l’essiccatore i fondi e poi si passano nella pressa e nel macinino, si parla di qualche ora in tutto: nell’arco della giornata il prodotto è finito.

Comunque molto dipende dal caffè: se usiamo la miscela classica in espresso, che sotto pressione si è già liberata della maggioranza degli oli essenziali, lo scarto sarà minimo. In generale partiamo da un chilo di fondi di caffè asciutti per ricavarne 700 grammi.”

Ma il caffè ha un ruolo anche come bevanda nel vostro locale? Quale usate e quanto ne fate?

“Nel nostro locale serviamo una miscela 100% Arabica di illy che utilizziamo in espresso al prezzo di 2.50, cifra normale considerato che siamo in un ristorante e dobbiamo ammortizzare i costi. – Volgare fa una confessione – sono però io il primo a non prendere il caffè al ristorante, perché spesso non è buonissimo e per me che amo questa bevanda, è preferibile addirittura prenderlo al bar – ormai conosco quelli che ne fanno di buoni -.

Poi c’è un altro caffè che amo per le mie preparazioni, ed è quello vietnamita, una Robusta che ho trovato al palato piacevolissimo.

Già dall’odore sembra cioccolato fondente. Lo uso soprattutto nei dolci, come il tiramisù fatto sul momento partendo dal caffè estratto, con la pasta di meliga e la crema di mascarpone con gocce di cioccolato. Facciamo un’infusione con il phin, la caffettiera vietnamita.”

Quali sono i riscontri fin qui rispetto a questa vostra soluzione? I clienti se ne accorgono, fanno delle domande, sono scettici?

“Abbiamo organizzato un evento con 700 persone e non mi aspettavo una reazione così entusiasta: qualcuno è tornato in ristorante per fare il bis e mangiarne una intera. Da adesso la metteremo fissa nel nostro menù – allo stesso prezzo di una classica margherita – e inizieremo a promuovere degli altri eventi dedicati.

Un giorno, oltre che realizzare i nostri prodotti, potremo vendere la nostra fibra ad altri professionisti e uscire dal giro ristretto torinese per andare su scala nazionale.

In ristorante proporremo solo la margherita al caffè, proprio perché vogliamo che le persone si rendano conto di quanto sia unica.”

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