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Dieta e abitudini degli italiani cambiano con la crisi, si tende al risparmio

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MILANO – Per capire come sia cambiato e stia cambiando il rapporto tra il carrello della spesa e chi lo guida – i consumatori italiani – contano molto i dettagli. Gli addetti ai lavori lo chiamano l’«avancassa». Sono quegli scaffali dal passaggio obbligato prima dell’uscita: caramelle, chewing-gum, ovetti di cioccolato. Sono gli acquisti d’impulso, quelli che non ci pensi e sono già sul tapis-roulant.

Dieta e consumi reagiscono con la crisi

«L’anno passato questo comparto ha accusato un calo del 7%: non succedeva da tempo immemore», dice Carlo Bacchetta, direttore merci prodotti di largo consumo di Carrefour Italia. L’italiano in crisi risparmia anche sulle caramelle. I consumi han cambiato pelle, vediamo come. Uno che sta su piazza da molto tempo come Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione di Coop Italia, lo dice chiaro e tondo: «Il consumismo e i relativi eccessi rappresentano un’epoca che deve essere dichiarata finita».

Il consumatore arretra. Ma non s’arrende

«Si apre un cambiamento strutturale – dice Tassinari -, la tendenza attuale è di sobrietà. Sobrietà fatta di maggior attenzione al prezzo, senza abbandonare i requisiti fondamentali di qualità». Non si butta via niente La prima lezione impartita dalla crisi è stata: sprecare meno. Dal Cermes, il centro di ricerca sul marketing e i servizi dell’Università Bocconi, il direttore Daniele Fornari calcola che fino al 2007 su 100 di acquistato, ne veniva consumato l’87%. Il 13% finiva in spazzatura. Quattro anni di crisi nera han fatto salire il livello di consumo al 96%.

La tendenza a sprecare il meno possibile spiega poi alcune peculiarità degli ultimi tempi, solo apparentemente in contraddizione con le esigenze di risparmio: come mai, ad esempio, calano le vendite di salumi da gastronomia e crescono invece quelli confezionati in vaschetta “take away” che costano di più? «Se non consumato nell’immediato, l’affettato in cartoccio rischia di dover essere buttato via, e oggi la gente non vuole più correre il rischio», risponde Francesco Pugliese, direttore generale di Conad. Si spende un po’ di più subito, per spendere meno nel tempo.

Ritorno al piccolo: la nuova dieta

Per lo stesso motivo è finito il tempo dei carrelli strapieni. La spesa si fa più frequente e piccina, approfittando delle offerte pressoché quotidiane. Ma, avverte Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Unes, «non funzionano più offerte come il tre per due, proprio perché la gente vuole comperare giorno per giorno quanto consuma» anche perché con la crisi «sono cambiati completamente i paradigmi e i modelli di consumo». E gli ipermercati, mito prosperato sulle grandi scorte, soffrono.

Nel 2011 la grande distribuzione – secondo dati di mercato – è avanzata di circa l’1,3%. I super sono progrediti del 2,7%, gli iper sono scesi del 2,3%.

Il perché lo spiega Stefania Tomasini, responsabile delle previsioni per l’economia italiana di Prometeia

«Gli ipermercati – dice – sono generalmente lontani dai grandi centri abitati e, nell’economia del tempo, risultano svantaggiosi». In più, prosegue la ricercatrice, «la riduzione del valore medio della singola spesa rende meno utile andare all’iper dove si rischiano sprechi, comprando qualcosa di non necessario». Meglio stare lontani dalle tentazioni e vicini a casa. Crescono invece gli hard discount, +4,8% nel 2011.

L’impennata si registra nell’ultimo semestre (in particolare negli ultimi tre mesi), con un +6,6%, quando con la manovra «salva-Italia» di Monti gli italiani hanno compreso la gravità della situazione. Marchi in guerra Non c’è però una corsa folle al primo prezzo. Si assiste piuttosto a una polarizzazione dei consumi, tra prodotti di fascia alta e bassa, fanno notare diversi addetti ai lavori.

Soffre chi sta in mezzo. A spiccare sono le marche commerciali degli stessi distributori, le cosiddette “private label” «che – dice Tassinari – assicurano la qualità con uno sconto medio del 25%. Cinque anni fa queste viaggiavano sotto il 10% del giro d’affari della distribuzione moderna, oggi sono sopra il 16%, per quanto ci riguarda al 25%.

Per prodotti di consumo nella dieta quotidiana come pasta, caffè, olio, la marca privata, alla Coop, ha già sorpassato i brand leader», le marche più note al grande pubblico. Nonostante questo tengono anche le marche tradizionali che si difendono «concentrandoci, oltre che sulla comunicazione del valore aggiunto, sull’innovazione di prodotto, con particolare attenzione ai profili nutrizionali, nel clima crescente di attenzione alimentare che caratterizza i consumatori», dice Silvia Bagliani, direttore commerciale di Kraft Foods Italia. Non per nulla se la pasta ristagna (quella all’uovo fa -3,6%), cresce la nicchia di quella integrale, +18%. La rivincita delle uova E c’è l’effetto sostituzione: proteine a buon mercato cercansi. Da tempo la carne rossa perde colpi (carne a -6% nel 2011) solo in parte a favore del pollo (+9%). Volano le uova che, racconta Pugliese, «negli ultimi due anni da noi viaggiano al ritmo del +15%». E crescono i legumi, «oppure il tonno o i würstel», come spiega Bacchetta. Rispettivamente +5% e +4,2%.

Si resta aggrappati alle abitudini nella dieta, cambiandole. Il caffè, ad esempio: meno al bar e più a casa, con le cialde

«Nonostante la tazzina così ottenuta costi cinque volte di più di quella con la moka, cresce a ritmi del 16%», dice il manager Carrefour. Perché meglio pagare 20-30 centesimi anziché l’euro o più del bar. «Allo stesso modo avanzano tutti i prodotti per la colazione», aggiunge Pugliese.

Secondo l’osservatorio Adi-Nestlé sugli stili di vita, infatti, gli italiani che fanno colazione fuori casa sono passati dal 13% del 2010 all’8% attuale. Con la crisi cambiano anche le abitudini di chi, sulla carta, non fatica ad arrivare alla quarta settimana. «È scattato una sorta di pudore anche tra chi può permettersi ancora di frequentrare i ristoranti: non si rinuncia alla buona cucina, ma si sta a casa», racconta Pugliese.

Così si spiega quel +20% di richiesta di tartufo registrata in un punto vendita Conad nella zona di Alba. «Ma anche il buon andamento dei prodotti tipici, del vino, del culatello rispetto al prosciutto», racconta il manager. Alla spesa senza bimbi E per il futuro? Sarà caccia alle promozioni.

Alcune catene, come Unes-U2, hanno imboccato strade inconsuete, «abbiamo eliminato – spiega Gasbarrino – promozioni, volantini e collezionamenti, per tenere i prezzi più bassi nel quotidiano». E poi c’è la minaccia dell’inflazione. «La distribuzione moderna – dice Tassinari – ha fatto la sua parte per calmierare i prezzi, contenendo l’inflazione tra il 2004-2011 al 7,6% contro il 17,6% dell’indice Istat. Ora serve una logica di sistema in cui i produttori ci aiutino a contenere il fenomeno inflativo, in un 2012 che si presenta ancora più problematico». Intanto le famiglie tirano la cinghia. «Non so se lo ha notato – dice Pugliese – ma dai punti vendita mi dicono che a far la spesa coi genitori ci sono sempre meno bambini. Sa perché? Perché alle richieste di un bimbo non si resiste. E di questi tempi, non è proprio il caso…». *Fonte: lastampa.it

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