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martedì 05 Novembre 2024
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Diana Bovoloni, fotografa del chicco: «Una buona immagine aziendale è fondamentale»

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MILANO – Per questa intervista a una delle donne che rappresentano il settore caffeicolo, ci siamo confrontati con una fotografa del chicco. Diana Bovoloni regala il suo punto di vista più artistico di un mondo variegato e complesso.

Diana Bovoloni: che cos’è per lei il caffè? Un ricordo, un’abitudine, un tramite?

“Per me il caffè non è niente di tutto questo. Per me il caffè è una finestra. Una finestra aperta su di un mondo che ancora non posso dire di conoscere nella sua totalità. Ma, in fondo, chi può affermare con assoluta certezza di conoscere veramente qualcosa (o qualcuno? Ma qui mi fermo, altrimenti cambiamo argomento)”

Potrebbe descrivere il suo mestiere?

“Il mio lavoro è una passione. Perché si nasce con la voglia di raccontare storie attraverso immagini, con gli occhi curiosi e la sete di scoprire ed imparare ogni giorno cose nuove. La fotografia risponde a tutti questi bisogni. Infatti recentemente ho aperto anche una sezione di lightpainting!” (una tecnica fotografica che dipinge con la luce; n.d.r.)

Quando Diana Bovoloni ha deciso che il caffè, la cultura del caffè avrebbe potuto essere la sua strada professionale

Noi fotografi siamo artisti, costantemente alla ricerca di una nicchia di mercato dove poter mostrare le nostre potenzialità e poterci esprimere al meglio. Ho preso questa decisione anni fa durante una felice collaborazione con Trismoka: fin dal primo giorno con loro in fiera mi sono sentita a casa.”

C’è stato un episodio particolare in cui ha pensato di non farcela e perché?

“Si, ho subìto un furto di attrezzatura per un valore di quasi 20mila euro a Novembre 2017. Ho vacillato perché credevo fosse un segnale forte che mi avrebbe costretta a rivedere le mie scelte. Invece ora, sono più convinta di prima!”

Che cosa direbbe a quella Diana Bovoloni del passato, in difficoltà?

“La stessa cosa che mi sono detta allora: sii umile e rimboccati le maniche. Prendi un bel respiro e fidati delle tue capacità.”

E invece, alle giovani donne che vogliono essere protagoniste nel settore del caffè?

Risponde Diana Bovoloni: “Se vogliono emergere come fotografe dico la cosa più banale e scontata di sempre: di guardare questo mondo con occhi pieni di curiosità non stancandosi mai di ricercare i tantissimi particolari che offre. 50mm e via!”

Descriverebbe la sua giornata tipo?

“Certo: mi sveglio e prendo un caffè, apro il portatile e prendo un caffè, mi vesto per un fotoaluogo e, quando arrivo, magari mi faccio offrire un caffè. Pausa pranzo da sola o con amici e poi un bel caffè e, a merenda, se riesco, una pausa caffè.”

Pensa che, all’interno del suo ambito professionale, sia stato più difficile come donna, affermarsi?

Diana Bovoloni continua: “Non sono una donna giovanissima. Quando ho iniziato, usavamo ancora le pellicole e questa era una professione generalmente maschile eccezion fatta per il settore dei matrimoni. Ricordo gli anni in cui fotografavo eventi sportivi e la gente mi domandava dove fosse il fotografo (rispondevo sempre ridendo). Però lavoravo: il che significa che le opportunità ci sono sempre state per chi aveva voglia di fare.”

Come ha visto evolversi il settore del caffè nel suo ambito specifico professionale?

“Quattro anni non sono un lasso di tempo considerevole per fare una valutazione in questo senso. E non sono uno statista. Mi limito a dire che ai giorni nostri, avere un’immagine aziendale curata sia fondamentale per dare al cliente la percezione reale del proprio business. I social network la fanno da padroni e proporre buoni contenuti è diventato ormai necessario. A buon intenditor…”

Come intende la giornata internazionale del caffè? (come ha festeggiato)

“Era un lunedì, quindi con una delle mie giornate tipo! Quest’anno prometto che mi impegnerò di più.”

Qual è il tocco femminile che aggiunge qualcosa in più al suo lavoro?

“La fotografia, pur essendo un lavoro d’arte, è il risultato di analisi matematiche precise unite alla conoscenza profonda degli strumenti. Per far funzionare un’immagine è necessario avere questa consapevolezza, che può essere indistintamente raggiunta sia al maschile che al femminile. Forse noi donne siamo più emotive e quindi più portate a cogliere l’aspetto emozionale della storia che stiamo raccontando.”

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