MILANO – I dehors hanno salvato la vita a molti gestori di fronte alle misure restrittive per contenere i contagi del Covid. Hanno invaso i marciapiedi di tutte le principali città italiane, permettendo così di servire un numero più ampio di clienti mantenendo le distanze di sicurezza: un buon compromesso che però potrebbe non esser temporaneo. D’altronde ci si chiede perché tornare sui propri passi rispetto a un provvedimento che rappresenta un’evoluzione per l’intero settore che ha cambiato l’aspetto dei luoghi più visitati dello Stivale, Milano inclusa. Leggiamo un’interessante riflessione sull’argomento di Daniele Giovanni Papi su linkiesta.it.
Dehors: dobbiamo toglierli?
Le immagini delle brasserie e dei café di Parigi con i tendoni tondeggianti e i tavolini affollati che invadono i marciapiedi fino a interromperli sono presenti nella memoria trasversale di tutte le generazioni di milanesi.
Nei media sociali, i ricordi dei viaggi a Barcellona, a Vienna, finanche alla quasi nordica Berlino, sono costellati di fotografie di gruppi di amici sorridenti con i bicchieri in mano, sullo sfondo dei monumenti della città. E ancora, Roma, Napoli, l’elenco è lungo, ma Milano? Milano, no, Milano nella raffigurazione, nel racconto della immagini, non ha i déhors.
Così fino a ieri
La disgraziatissima era del Covid ha reso necessario sostenere le attività commerciali in difficoltà ma è stata anche l’occasione per migliorare la qualità dello spazio pubblico nei quartieri e di offrire nuovi servizi ai cittadini. Ne è risultata una rivoluzione non solo commerciale, ma di aggregazione urbana e perfino estetica.
La delibera di Giunta dell’8 maggio 2020 ha reso molto più semplice l’ampliamento di concessione per l’esercizio di somministrazione sul suolo pubblico e oggi i milanesi vivono una realtà diversa dal passato. A caldo, l’assessore Pierfrancesco Maran, aveva dichiarato che la procedura per ottenere le licenze in soli 15 giorni e la sospensione della tassa di occupazione Cosap rispondevano alla strategia Milano 2020.
Le richieste di nuove occupazioni di suolo pubblico autorizzate dal Comune appena all’inizio dell’estate dello scorso anno, erano già 1.364. Si era passati in poche settimane da 80mila metri quadrati concessi dal Comune alle attività commerciali all’aperto, a 130mila.
Oggi, dopo 16 mesi, possiamo dire non si è trattato solo di un aiuto nell’emergenza, ma di una visione, di uno scatto in avanti di cui Milano aveva bisogno. Da un lato, le attività commerciali sono state realmente sostenute; dall’altro, i milanesi si sono potuti avvicinare alla percezione europea dello spazio pubblico.
Malgrado le inevitabili procedure di distanziamento, è evidente allo sguardo che i quartieri Isola, Città Studi, Porta Vittoria, Porta Romana, Darsena sono animati da uno spirito di vitalità prima riservato essenzialmente alle aree pedonali di corso Como e, per gli aspetti più evidentemente turistici, dell’asse Duomo-San Babila.
Dehors la nuova normalità
Nel “mondo di ieri”, un grande scrittore come Stefan Zweig scrive «[…] Il caffè viennese rappresenta un’istituzione speciale, non paragonabile a nessun’altra al mondo. Esso è in fondo una specie di club democratico […]». Pensiamo che, anche nell’auspicabile vicina fine dell’epidemia, il provvedimento possa essere mantenuto, certamente aggiustato con le necessarie ottimizzazioni per la normalità che prende il posto dell’emergenza, ma reiterato nella sostanza, che ha dimostrato come l’amministrazione sia stata a tempo con le difficoltà di uno dei settori strategici per l’economia della città.
L’assessore alle Attività produttive e al Commercio Cristina Tajani, aveva giustamente affermato che «i tempi ridotti delle autorizzazioni vogliono essere un incentivo e un sostegno alla ripresa immediata delle attività».
Il risultato è stato di certo ottenuto: è tempo di capitalizzare l’esperienza positiva e trasformare una norma transitoria in una condizione normale che mantenga Milano tra le città vive d’Europa.