venerdì 10 Gennaio 2025

Davide Roveto, Caffè Cognetti: “L’Italia non è affatto “il Paese della ciofeca”, ma ha bisogno di un’evoluzione del settore”

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MILANO – Ancora si discute dell’episodio di Report andato in onda prima della pausa natalizia: tra i professionisti che vogliono dare il proprio contributo rispetto a quello che è andato in onda, anche Davide Roveto, titolare dell’azienda Caffè Cognetti, che fa specialty con successo e ormai conta diversi punti vendita. Nonché Q arabica grader e Sca trainer consulente per aziende nel settore caffè.

Report ha un’altra volta messo davanti agli schermi nazionali il caffè dei bar italiani: Roveto, lei cosa ci dice da spettatore e professionista?

“Da spettatore e professionista, credo che l’intero comparto del caffè debba ringraziare chiunque metta luce su un settore che, purtroppo, è spesso stantio e fatica ad innovarsi. La televisione ha una potenza comunicativa straordinaria, riuscendo a parlare direttamente a un ampio pubblico più ampio di consumatori, con particolare attenzione a quelli nella fascia di età tra i 40 e i 65 anni, che rappresentano una fetta di utenti con un forte potere d’acquisto.

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Senza l’intervento di media di massa, come quello di Report, ci vorrebbero anni, se non decenni, per raggiungere lo stesso livello di consapevolezza e visibilità attraverso la comunicazione offline dei baristi.

Detto questo, credo che l’obiettivo di una trasmissione di questo calibro sia giustamente quello di attrarre l’attenzione dei consumatori attraverso argomenti semplici e facilmente comprensibili. A chi lavora nel settore, temi come tostature scure o il “purge” non sono certamente una novità, ma per il consumatore medio sono concetti che hanno sicuramente scosso l’opinione pubblica.

Nei giorni successivi, il nostro staff ha ricevuto molte domande dai clienti, che volevano sapere informazioni sul colore dei chicchi di caffè e su come avviene il “purge”.

In un certo senso, questa visibilità è stata utile anche per chi come noi fa divulgazione, poiché ci ha permesso di rafforzare il nostro rapporto con i clienti e di fidelizzarli ulteriormente, grazie a una comunicazione più consapevole. È stato un buon spunto per approfondire con i clienti concetti legati alla qualità del caffè e alla sua preparazione, sfruttando l’interesse che è stato suscitato dalla trasmissione.”

Secondo lei ci sarebbe stato bisogno anche di gettare maggiore luce su chi, come la sua attività, porta avanti un’altra proposta di caffè?

Roveto: “Sì, un ulteriore coinvolgimento di attività che offrono qualità potrebbe sicuramente arricchire il dibattito e dare più direzioni concrete a chi cerca di bere un buon caffè. La televisione ha un grande potere nel sensibilizzare il pubblico, ma, purtroppo, non può ancora offrire l’esperienza sensoriale completa che solo una tazza di caffè ben preparata può dare. Aromi, flavors e texture di un caffè selezionato e correttamente estratto sono esperienze che restano nelle mani dei professionisti, quelli che lavorano con passione e competenza ogni giorno.

È importante quindi fornire al consumatore finale quante più informazioni possibili, così che non perda la speranza di trovare un buon espresso, non solo nelle grandi città ma anche in tutta la penisola. L’Italia non è affatto “il Paese della ciofeca”, come a volte viene descritto, ma necessita di un’evoluzione di un settore che, purtroppo, è rimasto un po’ indietro. Dare visibilità a chi propone qualità sarebbe un passo fondamentale per stimolare una crescita generale e per educare i consumatori a una cultura del caffè che non si limiti solo al consumo rapido, ma che valorizzi il prodotto e l’esperienza in modo più consapevole.”

Forse è mancato anche un po’ del lato consumatore: voi, ad esempio, siete stati al centro del solito scontrino colpevole di essere troppo costoso. Roveto, ci racconta la vicenda e che cosa significa per il settore questo caso?

L’insegna di Caffè Cognetti (foto concessa)

“Esattamente il 1° gennaio, a seguito di una colazione presso una delle nostre caffetterie, un cliente ha postato una foto sui social lamentandosi del prezzo della sua colazione, definendo “un furto” la sua esperienza. Lo scontrino, che ammontava a 3,30€, includeva un espressino (la versione barese del marocchino) a 1,50€ e una brioche artigianale a 1,80€. La foto è rapidamente diventata virale, ma il caso, purtroppo, è emblematico di un problema più grande: la percezione del valore rispetto al prezzo nel settore del caffè.

Durante i corsi che faccio, mi piace fare un parallelo dicendo che tutti vorrebbero girare in Ferrari e consumare benzina come una 500. A parte l’ironia, la realtà è che i tempi ci obbligano a riformulare il costo all’interno delle caffetterie. Se il prezzo del caffè in Borsa è aumentato storicamente, e le spese di gestione di una caffetteria sono in continua crescita, è necessario che anche il listino finale si adatti a questi cambiamenti. Tuttavia, come dice qualcuno, non possiamo aumentare il prezzo della tazzina di 0,10 centesimi per un aumento di 2 o 3€ al kg del caffè.

Il vero problema è che il prezzo medio attuale non è profittevole per la maggior parte delle caffetterie e dovrebbe essere adeguato. Ma per fare questo, ogni locale avrebbe bisogno di un business plan specifico, che prenda in considerazione la realtà di ciascuno. Nel mio caso, per esempio, in una delle caffetterie (quella al centro di questo famoso scontrino), ho un affitto di 81.000€ all’anno e ben 11 lavoratori assunti. Non posso competere sul prezzo con chi ha un affitto di 15.000€ all’anno e 2 dipendenti. La qualità è solo uno degli ingredienti nell’equazione del successo di una caffetteria.

Per questo motivo, credo che sarebbe utile lavorare più sul supporto a chi investe nel settore, aiutandolo a guardare il business con gli occhi di un imprenditore e non solo con quelli di un artigiano del caffè. Solo così potremo garantire la sostenibilità economica del settore e una giusta remunerazione del lavoro svolto.”

In che modo secondo lei si può invertire l’approccio a pulizia, formazione, qualità nel mondo del bar italiano? C’è bisogno di più inchieste come quella di Report o la via è un’altra?

“La formazione sarà sicuramente la chiave del successo per il futuro del settore. Credo che la coffee chain, e in particolare il ruolo del barista, vada rieducata. Quando i torrefattori tostano scuro, lo fanno con precisa consapevolezza delle ragioni dietro questa scelta. Al contrario, molti baristi (e io vengo da una generazione di baristi) continuano a svolgere il loro lavoro un po’ per inerzia, seguendo le tradizioni o ciò che è stato loro insegnato dai “senior” del settore, che spesso non hanno mai seguito corsi di formazione e si affidano esclusivamente alla loro esperienza. Questo approccio, purtroppo, non è sufficiente in un mondo che sta cambiando velocemente.

Con l’incessante aumento dei prezzi (che, a mio avviso, non si fermerà), la diversificazione e la valorizzazione dei prodotti diventeranno cruciali. Valorizzare il lavoro dei baristi attraverso una formazione adeguata è fondamentale. I baristi, infatti, sono coloro che ogni giorno educano il consumatore finale sulla qualità della tazzina, ed è proprio da loro che deve partire un cambiamento culturale. Questo vale sia per i torrefattori che per le caffetterie: se la formazione dei baristi migliora, lo stesso accadrà all’esperienza del cliente.

Medesimo discorso riguarda i produttori di attrezzature. In un mercato sempre più competitivo, vinceranno le aziende che sapranno spiegare efficacemente le soluzioni tecnologiche dei loro strumenti e accessori ai locali. Il futuro non sarà per chi si limita a offrire soluzioni commerciali come il comodato d’uso o finanziamenti, ma per chi riesce a creare un valore aggiunto effettivo per i propri clienti, guidandoli nella scelta dell’attrezzatura migliore in base alle loro necessità.

Penso che ciò che non è stato sufficientemente trattato nella trasmissione di Report sia il motivo per cui certe caffetterie di alto livello scelgano determinate tipologie di prodotto. È importante capire che il successo di una caffetteria non dipende solo dalla qualità del caffè, ma anche dalle decisioni prese riguardo agli ingredienti, ai macchinari e, soprattutto, al continuo aggiornamento.”

CIMBALI M2
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