BOLOGNA – Macchiavelli S.r.l. è una realtà bolognese con 50 anni di esperienza nella progettazione e commercializzazione di prodotti in plastica. È stata la prima azienda a sviluppare capsule compatibili per i principali sistemi in uso sul mercato, e oggi ha all’attivo oltre 30 brevetti, vantando sia un know-how esclusivo sui materiali plastici che una specializzazione nell’ambito del caffè. Tra i primati dell’azienda rientra anche lo sviluppo di capsule compostabili compatibili, che risponde a una richiesta sempre maggiore, da parte delle torrefazioni e dei clienti finali, di soluzioni sostenibili. Per capire come l’azienda si approccia la mercato abbiamo parlato con Davide Macchiavelli, amministratore unico dell’azienda.
Di seguito, la prima parte delle quattro puntate in cui si è articolato il lungo scambio sulle diverse anime dell’azienda.
Macchiavelli, come si producono miliardi di capsule?
“Qualità dei processi, tecnologia dei macchinari e coraggio di investire: questi sono i fattori che concorrono al raggiungimento di un risultato ambizioso come la produzione di miliardi di capsule. La capsula vuota è infatti un prodotto monouso destinato al mercato B2B, che viene richiesto in enormi quantità e su cui c’è una marginalità limitata, che si mantiene solo coniugando efficienza nella produzione ed elevati standard qualitativi.
La cultura aziendale, vero e proprio marchio di fabbrica Macchiavelli, è però l’aspetto fondamentale. Io posso contare su un team professionale, che condivide la mia stessa visione aziendale ed esprime competenze di primo piano. Questo mi permette di crescere, garantendo un grado di performance dei prodotti elevato e costante.”
Vi siete trasferiti di recente in un nuovo stabilimento: che cosa è cambiato e perché?
“Abbiamo cambiato perché la sede precedente non era più adeguata ai nostri volumi produttivi, che negli anni sono cresciuti in maniera significativa. Ora lo spazio è triplicato: lavoravamo in uno stabilimento di circa 2.200 metri e adesso superiamo i 6.000. L’infrastruttura dell’azienda è volta al futuro: la fabbrica è completamente informatizzata e tutti gli impianti sono connessi fra loro. Oggi Macchiavelli si può definire un’Industria 4.0.
Tutto ciò è fondamentale per fronteggiare le esigenze che stanno emergendo: la nostra organizzazione lavora in modo continuativo 7 giorni su 7, 24 ore su 24, e ci fermiamo solo per le ferie. Questo è possibile grazie ad un sistema di valutazione della qualità efficiente ed a una interconnessione costante, fattori che garantiscono la rintracciabilità e il miglioramento dei processi.”
I vostri clienti chiedono di visitare lo stabilimento?
Macchiavelli: “Nell’attuale contesto le visite sono contingentate, ma normalmente siamo lieti di ospitare i clienti per fargli vedere la nostra struttura aziendale e il nostro laboratorio di ricerca e sviluppo. Quest’ultimo in particolare è la prova di quanto abbiamo investito nell’innovazione. Abbiamo realizzato dei banchi di prova dove andiamo a ricavare la telemetria del prodotto, un processo che ci consente di valutarne i parametri costruttivi e prestazionali. Questo è possibile grazie a processi quali la registrazione
delle curve di pressione di erogazione, il monitoraggio delle temperature delle bevande ed il peso in tazza, tutte operazioni che abbiamo automatizzato.
Macchiavelli: “Le analisi di laboratorio sono attività fondamentali, volte al miglioramento continuo e in linea con la nostra filosofia”
“Non ci accontentiamo mai, anche di fronte a prodotti che già funzionano bene. Noi vogliamo l’eccellenza.”
Il vostro centro ricerca e sviluppo è anche un luogo dove si distilla il futuro del porzionato.
“In parte sì, anche se la maggioranza dei nostri prodotti sono capsule compatibili, per cui alcuni vincoli dipendono dai sistemi realizzati dai player principali, come Nespresso, Nestlé e Lavazza. Il nostro obiettivo è realizzare capsule che sfruttino in maniera ottimale le caratteristiche del sistema di destinazione, in modo da permettere ai nostri clienti di realizzare al meglio il caffè che andranno a commercializzare.”
Esiste una super capsula? Un qualcosa che ancora non è sul mercato?
“Nel nostro settore le cose si evolvono in maniera molto rapida: oggi il tema fondamentale è la sostenibilità e appare chiaro che la capsula del futuro sarà totalmente sostenibile. Il mondo del porzionato sta diventando la modalità di consumo più importante e la sensibilità del consumatore è cambiata. È quindi chiaro che il problema del recupero della capsula usata nel tempo diventerà sempre più rilevante.
Noi lavoriamo da sempre per realizzare prodotti a basso impatto ambientale ed è da più di dieci anni che investiamo su soluzioni compostabili e riciclabili. Innovazione e sostenibilità sono oggi temi concatenati: non c’è una senza l’altra.”
Macchiavelli, è più un problema di temperatura o di pressione, nella ricerca del materiale ideale per la super capsula sostenibile?
“I materiali green stanno vivendo una grande evoluzione e si lavora molto sui biopolimeri. Negli ultimi anni c’è stato un miglioramento importante delle caratteristiche fisico-meccaniche di queste materie prime. Resta pur sempre un mercato giovane, che esiste da appena dieci anni. Le materie plastiche invece sono impiegate a partire dall’inizio del secolo scorso: un gap tecnico, infrastrutturale e temporale enorme.
Quello dei biopolimeri è quindi un mondo che si sta ancora strutturando. Il nostro obiettivo è realizzare un prodotto green che riesca a garantire un’erogazione di qualità identica al prodotto in alluminio o in plastica comunemente utilizzato. È questa la grande barriera che oggi esiste nella vendita, oltre al maggior costo per coprire il prezzo di materiali che sono ancora prototipali industrialmente, che non è paragonabile a quello dei materiali standard.
Attualmente esiste una criticità rispetto ai parametri funzionali di temperatura e della pressione. Essendo materiali biodegradabili, devono infatti risultare sensibili a tali cambiamenti fisici in modo che, una volta smaltiti nella filiera dell’umido, possano disgregarsi correttamente negli Impianti Industriali di compost, nel pieno rispetto della normativa UNI EN 13432.
“È vero che i prodotti cosiddetti “green” non sono completamente a impatto zero?”
“Chiariamo un punto controverso. Un prodotto compostabile rispettoso della normativa UNI EN 13432 non crea microplastiche. Queste derivano da altri processi, come il consumo delle gomme delle automobili ed anche il consumo dei vestiti che comunemente indossiamo contengono quasi sempre una parte sintetica. Il consumo crea micro-residui che finiscono nei fiumi e nei mari attraverso le piogge, come nel caso delle microplastiche.
È comunque un dato di fatto che i materiali green sono fortemente migliorati e la qualità si è alzata.
Il mondo del packaging, e non solo quello, si sta adeguando: ma la sostenibilità non si persegue soltanto attraverso l’uso di capsule compostabili. Per esempio, risultano determinanti fattori quali l’impiego di prodotti riciclabili mono materiale, la raccolta differenziata, l’ottimizzazione degli imballaggi e l’utilizzo di strumenti che, successivamente allo smaltimento, possano separare efficacemente i vari componenti delle capsule.
La sostenibilità è insomma un tema complesso e globale, che coinvolge la società nel suo complesso, oltre che il mondo produttivo e i vari governi. L’industria deve impegnarsi a realizzare prodotti con un impatto sempre minore, i governi devono emanare e far seguire normative univoche di raccolta e le persone dovranno acquisire una nuova cultura dello smaltimento, che si rifaccia a regole comuni. Ogni piccolo miglioramento diventerà un importante contributo.”
Macchiavelli, lei è un operatore B2B: qual è la sensibilità dei suoi clienti sul tema compostabile nonostante il costo?
“Il costo maggiore è ancora un fattore frenante per lo sviluppo massivo delle vendite.
Proprio per questo Macchiavelli ha realizzato negli anni importanti investimenti, volti ad abbattere i costi di produzione dei prodotti compostabili, rendendoli equivalenti a quelli delle capsule standard. Resta ancora il fattore discriminante dovuto al maggior costo della materia prima, che attualmente è di tre/quattro volte più alto rispetto ad un polimero normale e va ad impattare in maniera forte sul costo finale.
I nostri clienti, soprattutto negli ultimi due anni, sono comunque diventati più sensibili verso i prodotti green, ed è cresciuta anche la voglia di investire. Diventa insomma tutto più concreto.”
Può esser un valore aggiunto per la vendita il fornire il caffè all’interno di una capsula fatta bene compostabile?
“Il primo elemento di vendita resta la funzionalità e la qualità della bevanda. In secondo luogo, bisogna fare in modo che la capsula rispetti tutte le caratteristiche di compostabilità disciplinate della normativa UNI EN 13432. Resta però fondamentale che il livello dell’erogazione sia paragonabile a quello di una capsula standard.
È nostro compito garantirlo, ma è il risultato di una adeguata progettazione, legata ad una materia prima di qualità e a film di chiusura prestazionali. Non è facile, ma con le nostre ultime capsule green ci siamo riusciti.
Oggi anche i film di chiusura e i materiali compostabili sono riusciti a fare passi da gigante, riuscendo ad esprimere performance in linea coi materiali standard, quali l’alluminio impiegato per i sistemi Nespresso e Dolce Gusto o i film plastici per i sistemi Lavazza.”
Macchiavelli lei sente la compostabilità come un elemento vincente nella scelta di una capsula rispetto ad un’altra che non si degrada?
“Certamente! Le capsule compostabili stanno guadagnando quote di mercato. Nel breve termine assisteremo ad una diversificazione dell’offerta che andrà sempre più a premiare scelte sostenibili. La scelta compostabile non sarà più di nicchia ed anzi acquisterà un peso sempre più rilevante nel mercato. Non credo però che farà completamente scomparire le soluzioni standard.”
Quanto credete nei prodotti compostabili?
Macchiavelli: “Siamo stati i primi ad investire in ricerca e sviluppo per sviluppare capsule compostabili. Per noi è una sfida.
I materiali green stanno progredendo e ritengo importante che questi biopolimeri vengano industrializzati massivamente, anche utilizzando matrici chimiche.
Il tema “biobased”, ossia quanta parte di materiale rinnovato contiene un biopolimero, è certamente importante, ma non deve essere limitante per la concreta diffusione ed applicazione di questi materiali. Rischiamo infatti di non riuscire a coprire le vere esigenze del mercato del packaging. Dobbiamo lavorare su questo punto: come rendere il packaging sostenibile, eliminando quella negatività che oggi gli viene attribuita.
Un packaging di qualità contribuisce infatti in maniera determinante alla conservazione degli alimenti, alla salute delle persone (si pensi all’ambito farmaceutico) e, non ultimo, alla riduzione degli sprechi. La popolazione mondiale è sempre più numerosa e non ci possiamo permette di buttare via importanti quantità di prodotti alimentari a causa di pregiudizi sul packaging.
Tutto questo non toglie quanto già detto in tema di raccolta, riciclabilità e corretto smaltimento. Sono tutte queste attività, insieme, che creano la sostenibilità.”