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sabato 02 Novembre 2024
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Davide Cobelli: “Ecco le mie sei regole per vendere l’espresso con un prezzo più alto”

La proposta: "Abbiamo molte armi da poter utilizzare oggi, la comunicazione in primis. Deve però coinvolgere tutti gli attori di questo meraviglioso mondo, partendo dalle torrefazioni (grandi o piccole che siano) che giocano un ruolo fondamentale come anello di congiunzione tra il prodotto (filiera) e il suo consumo (bevanda), possiamo generare nei consumatori una coscienza al consumo consapevole. Anche rimanendo fedeli alle proprie origini e al proprio Business model"

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MILANO – Davide Cobelli è un nome ben noto per gli addetti ai lavori, per la sua attività di torrefattore con Garage Coffee Bros. così come quella di formatore e di comunicatore della bevanda. In questa occasione, il tema che ha voluto trattare è molto caldo: si parla di espresso, di qualità, di prezzo. Tutti aspetti complessi che spesso dividono e sicuramente aprono il dibattito. Condividiamo quindi il suo punto di vista.

Davide Cobelli ( info@davidecobelli.coffee ) sull’espresso

“Avete mai pensato al perché in Italia, l’Espresso, sia tanto popolare quanto sottostimato nel suo prezzo di vendita? Immagino di si, moltissime volte. Io nutro da sempre un’idea che spesso condivido con i professionisti che incontro: l’Espresso è una bevanda
che richiede un tempo di preparazione relativamente breve, ma soprattutto un modo di consumo rapido, in pochi sorsi. Questo è il suo grande problema, perché il cliente finale da sempre attribuisce un “valore temporale” a ciò che compra o consuma, in relazione proprio al tempo che richiede l’esperienza.

Questa percezione valoriale è tanto inferiore quanto è breve la consumazione. Del resto, una nota pubblicità recita “un Diamante (piccolo, molto piccolo) è per sempre (tempo infinito)” per invogliare una fetta di consumatori ad investire il proprio denaro in qualcosa che duri all’infinito.

Qualche spunto dal neuromarketing che funziona nell’ industria e funzionerebbe se applicato in piccola misura anche negli esercizi pubblici:

Il consumatore tipo (noi compresi) dà un valore mediamente maggiore a qualcosa che ha queste caratteristiche:

1. Dimensione maggiore (avete mai notato che le scatole della pasta, non sono mai piene fino all’orlo?)
2. Durata maggiore (tempo di fruizione del bene = più denaro/valore)
3. Colori vividi (influenzano l’acquisto sugli scaffali da sempre)
4. Sensazione tattile (che sia un packaging particolare sullo scaffale, oppure di una percezione in bocca tipo CO2 o di forte densità nel caso di bevanda)
5. Senso di appagamento (quanto mi fa stare bene quello che ho comprato?) o Status Symbol (lo compro/consumo perché mi fa apparire migliore)
6. Senso di colpa nella spesa: più alto il valore e più alto dovrà essere il “giustificato motivo” dell’acquisto, che sia attribuito dal cliente o dal venditore stesso, ma anche l’auto convinzione che la spesa fatta valesse la pena (se non altro per giustificare l’acquisto nei confronti delle altre persone che ci stanno intorno.

Per esempio: “Certo, l’ho pagato di più ma è meglio di quello che tu puoi comprare altrove…”) oppure “ho pagato di più, ma ho fatto del bene, ho riconosciuto il giusto a chi lo
produce”. Nel caso di prodotti etici, sostenibili, nel rispetto dell’ambiente e delle persone, con un pack riciclabile o, ancora meglio, compostabile, il suo valore aggiunto aumenta e con esso il “giustificato motivo” dell’acquisto.

Cobelli: “Se gli esercenti mettessero in atto queste 6 regole di vendita, avrebbero molto più successo a prescindere”

Alcuni esempi:
Una bottiglietta di acqua d 500ml, costa circa 0,25 cents e non richiede alcuna spesa accessoria (se non il frigorifero), eppure il consumatore è disposto a spendere 1.50€ per acquistarla (2,50€ negli aeroporti)
Un succo di frutta al bar costa circa 40-45 centesimi, richiede solo la spesa del frigorifero e del lavaggio di un bicchiere (o cannuccia), eppure costa tra i 2,50 e i 3€.
Un Gingerino (vale la stessa cosa del succo di frutta), vi invito a valutare il colore sgargiante che hanno queste bevande.

Torniamo alla durata:

In Italia, il rito del caffè ha la durata di pochi istanti, nel resto del mondo invece, consumare un caffè richiede più tempo, indipendentemente dal fatto che sia un caffè filtro o un espresso. All’estero, infatti, il consumo al banco è pressoché inesistente e questo costringe il consumatore a spostarsi al tavolo oppure a portarselo via, allungando così di
fatto l’esperienza di consumo. Ordinare, sedermi ad aspettare, ritirare il vassoio e risedermi a consumare, richiede sforzo e tempo.

Sempre in Italia, tra i vari prodotti che possiamo vendere al bar, quello che ha la durata minore è di certo l’espresso e spesso la bevanda stessa non appaga nemmeno. Da oltre un decennio, i consumatori preferiscono sempre di più capsule e cialde a casa o in ufficio, anziché andare al bar: questo perché non vedendo una differenza qualitativa, spostano la loro attenzione sul risparmio che potrebbero avere scegliendo una capsula, proprio in contrasto con i fattori sopra elencati (dimensione ridotta, sapore discutibile, costo basso, valore attribuito scarso, senso di colpa basso, nessun senso di appagamento, status symbol no).

Ecco perché il consumatore è impossibilitato nel dare un valore maggiore al caffè bevuto al bar

Ecco perché ancora oggi, è uno dei prodotti con il valore percepito più basso che si possa trovare al bar o al ristorante. In sostanza, il vero nemico dell’Espresso è la sua contenuta dimensione e il rapido e distratto consumo che si fa di questa meravigliosa bevanda, un prodotto che non riesce ad essere venduto al valore corretto né oggi né nel passato.

La soluzione?

Cobelli fa un tentativo: Provo a ragionare sul futuro che vorrei, posso immaginare che le strade che possono portare ad un miglioramento della condizione siano tre:

1. Aumentare la percezione del valore della bevanda attraverso un’attenta comunicazione diretta e indiretta, ma anche del prodotto stesso e dello storytelling (viene da chiedersi cosa potrebbe raccontare un barista oggi, di molte miscele italiane classiche, dove le uniche informazioni sono irrilevanti e parlano di “pregiati caffè dal centro e sud America”)
2. Accrescere la professionalità di chi la prepara e serve, attraverso una continua formazione che deve partire da tutte le aziende che vendono prodotti ai baristi, come un mantra per migliorare le proprie condizioni.
3. Creare maggior valore attraverso il neuromarketing applicando anche poche regole di base per far sì che il prodotto caffè sia sempre più percepito come un prodotto di valore (che deve esserci veramente), un’emozione, un momento di pausa più lungo che persiste piacevolmente anche dopo aver bevuto.

Abbiamo molte armi da poter utilizzare oggi, la comunicazione in primis. Deve però coinvolgere tutti gli attori di questo meraviglioso mondo, partendo dalle torrefazioni (grandi o piccole che siano) che giocano un ruolo fondamentale come anello di congiunzione tra il prodotto (filiera) e il suo consumo (bevanda), possiamo generare nei consumatori una coscienza al consumo consapevole. Anche rimanendo fedeli alle
proprie origini e al proprio Business model.

Cominciamo a raccontare di più, di noi e dei prodotti che vendiamo.”

Davide Cobelli

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