domenica 22 Dicembre 2024
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Davide Cobelli: “Ecco perché con questo nuovo Coffee Value Assessment, si ha una visione multi modale della qualità”

Il primo formatore del C.V.A.: "La moderna definizione di specialty  coffee, che (non fatevi ingannare dalla superficie) apparentemente sembra aprire il mercato specialty a tutti i caffè a patto che sia “buoni” per chi li assaggia.  In realtà questa definizione va letta a fondo nei dettagli, dove gli attributi danno valore, non solo quelli che si possono trovare in una tazza ma anche quelli estrinsechi del caffè stesso. Più attributi positivi = più valore."

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MILANO – La Specialty Coffee Association (SCA) ha presentato di recente la versione beta del Coffee Value Assessment Protocol and Form al Re:co Symposium di Portland, Oregon. Questo risultato fa parte dell’impegno pluriennale per far evolvere lo strumento che il settore utilizza per scoprire il valore del caffè attraverso un quadro completo e ad “alta risoluzione” di un caffè specifico attraverso quattro tipi di valutazione.

Per esplorarne il funzionamento e le origini, abbiamo parlato con Davide Cobelli, CVA ambassador e primo trainer del corso CVA con base in Europa/Italia, che ha raccontato e insegnato il nuovo protocollo durante le giornate organizzate presso il Campus di Simonelli Group.

Coffee Value Assessment: cosa bisogna sapere

Per capire il cambiamento di oggi, è bene partire dal passato, perché solo così possiamo spiegare con chiarezza cosa ci riserva il futuro.

Innanzitutto le ere dell’analisi sensoriali del caffè hanno conosciuto qualche step fondamentale, tra cui Ted Lingle con il suo The Cupper’s Handbook, uscito in prima edizione nel 1885, nel quale l’autore spiegava l’analisi sensoriale (come la si conosceva 40 anni fa) e tentava di dare delle indicazioni che poi sono diventate dei veri e propri standard successivamente.

Possiamo dire però che la base scientifica dietro al caffè, al tempo, era lacunosa. Eppure, proprio da quel Handbook, successivamente nel 2004 è nato il Cupping form di SCAA/CQI.

Il Covid ha portato con sé molto tempo libero, utile per cominciare a studiare la moderna analisi sensoriale (partendo dalla lettura e dallo studio di tutte le pubblicazioni degli ultimi 20 anni a livello internazionale) e questo ha fatto scoprire i lati deboli del Cupping form per la valutazione del caffè specialty.

Prima di proseguire, vorrei sottolineare che l’evoluzione ha come primo step l’ammissione dell’imperfezione, cosa che troppo spesso viene tralasciata a favore del “si è sempre fatto così quindi è giusto”: in questo SCA ha dimostrato ancora una volta di avere molta più umiltà di altre realtà che portano avanti il loro credo anche davanti ad una evidenza palese di imperfezione.

Già nel 2016 SCA aveva dato i primi segni di voler cambiare il proprio approccio nei confronti del mondo del caffè, con la prima edizione del Sensory Lexicon che ha segnato la collaborazione con World Coffee Research in USA. Da questo era anche scaturita la Flavor Wheel che tutti noi conosciamo e prendiamo ad esempio da ormai 6 anni.

Oggi SCA ha un approccio super scientifico e analizza e studia bene ogni singolo dettaglio prima di pubblicare qualcosa, questo anche grazie al cambiamento interno e al supporto di varie Università e Centri di Ricerca in tutto il mondo (UC Davis e Zurich University of Applied Sciences ZHAW in primis) con le quali collabora per numerose ricerche e pubblicazioni di carattere scientifico sul caffè.

Da qui nasce il presente e il futuro

Si è compreso che il Cupping Form non era così oggettivo come credevamo, ma tendeva ad essere affettivo, in più costringeva l’assaggiatore ad una valutazione multi tasking (Affettiva, Descrittiva e Discriminativa) e questa è una forte criticità perché l’essere umano riesce a concentrarsi per lo più su uno solo di questi aspetti alla volta.

Inoltre dà un giudizio numerico su base Affettiva/Soggettiva.

Questi ultimi due punti sono i più difficili oggi da far digerire agli appassionati e ai professionisti del caffè che hanno usato questa scheda per 20 anni.

L’altra cosa che ha contribuito al cambiamento, è stata la moderna definizione di specialty  coffee: “Lo specialty coffee è un caffè oppure una esperienza con il caffè che viene riconosciuto/a per gli attributi propri che lo/la distinguono, risultando di valore maggiore nel suo mercato”.

La quale (non fatevi ingannare dalla superficie) apparentemente sembra aprire il mercato specialty a tutti i caffè, a patto che siano “buoni” per chi li assaggia. 

In realtà questa definizione va letta a fondo nei dettagli, dove gli attributi danno valore, non solo quelli che si possono trovare in una tazza ma anche quelli estrinsechi del caffè stesso. Più attributi positivi = più valore.

Il Punteggio? Oggi è solo uno degli attributi per definire la qualità, non l’unico.

Oggi gli attributi sono dati da una serie di valutazioni, tra cui: Fisica, Descrittiva, Affettiva (queste tutte Intrinseche) ed Estrinseca.

Siamo cresciuti negli ultimi 20 anni pensando ad una oggettività del punteggio, non riflettendo sul fatto che in realtà ci sono meno di 300 lotti di caffè ufficialmente certificati da CQI come specialty, su qualche centinaia di migliaia sul mercato.

Gli altri vengono valutati sia da Q graders (ma non seguendo l’iter della certificazione CQI) che da professionisti non certificati, che danno un punteggio a volte molto diverso nel percorso della filiera, in base a se sono venditori o compratori.

Questo fa capire quanto sia difficile pensare che il punteggio sia realistico per tutti i lotti del mondo ma che al contrario è molto più soggettivo.

Inoltre il mercato oggi rispetto al 2004 anche dello specialty si è evoluto: se prima si avevano pochissime informazioni sul caffè e tutto ciò che contava era la piacevolezza della tazza, oggi possiamo dire che praticamente chiunque venda specialty dia molti più dati di riferimento e sia diventato parte dello stato di specialty, la tracciabilità e trasparenza.

Adesso il valore che viene attribuito ad uno specialty non è solo dato da una qualità in tazza, ma deriva da un insieme di cose.

Questa si chiama la valutazione estrinseca, tutto ciò che è esterno alla tazza che però contribuisce a creare il valore del caffè.

Il valore è dato da una serie di informazioni che possono esser interessanti per un mercato o per l’altro: prendiamo l’esempio tipico delle certificazioni, un caffè può essere buonissimo, ma se sto cercando un caffè biologico e quello non lo è, per me perde il suo valore.

Con il nuovo Coffee Value Assessment, si ha una visione non binaria (come in precedenza) della qualità

Ma multi modale, come vedere un pixel di un immagine, oppure osservarla nella sua interezza, dove si ha più ampia idea di come sia la qualità dell’immagine stessa. Il protocollo ha diverse schede e si può usare quella che serve in quel momento oppure tutte.

Sono cambiate le scale dei valori (0-15 per l’intensità Descrittiva e 1-9 per l’impressione di qualità affettiva) uniformandosi alle schede di analisi sensoriali già presenti nel mondo scientifico.

Insomma una vera rivoluzione, che va lentamente digerita e fatta propria anche grazie alla formazione che mi vede in prima linea come primo formatore in Italia ed Europa di questo corso di Coffee Value Assessment, che presto entrerà anche nella didattica di SCA per i corsi in generale.

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