domenica 22 Dicembre 2024
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Dati Aiipa: agroalimentare su, ma è l’export a spingere i ricavi (caffè al 17,9%)

La conferma arriva dai dati di Aiipa: su un fatturato complessivo di oltre 18 miliardi nel 2015 (+2,7%), 5 sono realizzati dalle esportazioni (+6,3%). Il presidente Lavazza: “I margini di miglioramento sono enormi, è però indispensabile unire le sinergie all’interno della filiera e incentivare la collaborazione e il dialogo tra imprese e istituzioni”

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MILANO – L’agroalimentare cresce, ma ancora una volta sono le esportazione a spingere i fatturati delle imprese del settore. La conferma arriva dai dati consuntivi diffusi in occasione dell’assemblea annuale di Aiipa, l’associazione italiana industria prodotti alimentari.

Dati dai quali emerge chiaramente che il contributo dell’export sul giro di affari delle imprese associate è stato fondamentale nel 2015: sul fatturato complessivo che ha superato i 18 miliardi di euro, registrando un aumento del +2,7%, i ricavi realizzati oltre confine hanno sfiorato i 5 miliardi di euro, con un incremento del +6,3% sul 2014.

Un risultato in linea con quello riportato dall’industria alimentare nel suo totale che ha toccato quota 29 miliardi di euro su un giro di affari di 132 miliardi di euro. Nello specifico, sia i fatturati che l’export delle sei grandi famiglie di prodotti dell’universo Aiipa (nutrizione e salute, caffè, surgelati, prodotti vegetali, preparazioni alimentari, prodotti alimentari) hanno mostrato tutti, chi più e chi meno, ritocchi espansivi rispetto all’anno precedente.

Anche la ripartizione dei singoli fatturati si è confermata equilibrata: prevalgono i prodotti vegetali (25,2%), seguiti dal caffè (17,9%) e dagli altri prodotti racchiusi in una forbice tra il 10% e il 17%. Soffermandosi però sui numeri dell’export, l’incidenza più significativa spetta senza dubbio al caffè (+11%).

Al netto di tali performance positive, emerge comunque la necessità di avvicinarci di più ai nostri diretti concorrenti come Germania, Francia e Olanda che hanno una maggiore vocazione all’internazionalizzazione e che registrano fatturati nettamente superiori a quelli del Belpaese.

Non a caso, l’Italia porta all’estero solo il 20,5% del fatturato alimentare, contro il 33% della Germania e il 27% della Francia. “E’ evidente che i margini di miglioramento sono enormi – premette Marco Lavazza, presidente di Aiipa (FOTO in alto) –: per riuscire a ridurre il gap con i nostri concorrenti, è però indispensabile unire le sinergie all’interno della filiera e incentivare la collaborazione e il dialogo tra imprese e istituzioni. Occorre, quindi, valorizzare al meglio le nostre produzioni e saper sfruttare l’opportunità che ci offre la richiesta crescente nel mondo di prodotti alimentari italiani di qualità”.

L’obiettivo, si sa, è quello di raggiungere i 50 miliardi di euro di export entro il 2020. Lavazza lo ricorda, così come ricorda che quel traguardo è perseguibile anche grazie ad una politica di sostegno da parte del governo nei confronti delle nostre imprese. “Il Piano straordinario per il made in Italy è stato molto importante – sottolinea il presidente – perché ha stanziato per la valorizzazione dell’agroalimentare italiano circa 70 milioni di euro”. Novità in vista per un rifinanziamento del piano? “Non ancora – risponde Lavazza – ma aspettiamo con fiducia le prossime mosse del neo ministro allo Sviluppo economico, Calenda”.

In attesa di capire meglio quali saranno le iniziative del governo, il presidente sprona tutte le aziende della galassia Aiipa (e non solo) “a fare squadra”, rinunciando a guardare agli “interessi di parte”. “Ad investire in ricerca e sviluppo”, sottolineando che questo deve essere “il paradigma della migliore manifattura italiana”.

Poi, c’è da debellare il fenomeno dirompente della contraffazione e dell’italian sounding che supera i 60 miliardi di euro. E che pesa come un macigno in termini di valore sulle nostre esportazioni. ”L’Ue, in questo contesto, deve giocare un ruolo chiave dettando regole chiare e univoche valide per l’intero mercato unico”.

E’ un concetto, questo, che riprende anche Paolo De Castro, coordinatore del gruppo dei socialisti e democratici in Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale al Parlamento europeo. “Una legislazione omogenea deve essere lo strumento per evitare fughe in avanti dei paesi membri”, dichiara. L’europarlamentare aggiunge: “Se il nostro obiettivo è quello di arrivare a 50 miliardi di euro in export nel 2020 è necessario potenziare la qualità, aumentare la riconoscibilità e la difesa del Made in Italy”.

Un contributo fondamentale alle nostre esportazioni potrebbe arrivare sulla carta dal Ttip (il trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico tra Usa e Ue). “Sono in molti a definirlo pericoloso, ma non è così – spiega De Castro –. Ormai, è passata l’idea che le trattative si svolgono in stanze segrete: è un’assurdità perché, alla fine del negoziato, il trattato deve comunque passare al vaglio del Parlamento europeo. Oggi, purtroppo, le possibilità di un successo del Ttip sono solo del 5%”.

Il rilancio dei consumi interni è l’altra importante sfida che richiede da parte del governo l’adozione di misure adeguate per ridare slancio al potere di acquisto delle famiglie, evitando soprattutto aumenti dell’Iva previsti dalla legge di Stabilità. “Aumenti – rincara la dose Lavazza – che avrebbero un effetto molto negativo sulla ripresa dei consumi”. In questo senso, il presidente di Aiipa sollecita il governo ad usare nel modo migliore i margini di flessibilità al bilancio concessi a maggio dalla Comunità europea, “per liberare risorse che possano dare impulso alla produttività delle imprese”.

Per quanto riguarda le prospettive a breve e medio termine per l’industria alimentare italiana, Alessandra Lanza di Prometeia evidenzia che “il 2016 potrebbe finalmente portare ad un incremento dei consumi alimentari (+0,8% a prezzi costanti), decretando l’avvio di una ripresa del mercato, grazie a redditi previsti in stabile crescita”.

Il passo della ripresa, fa notare l’analista, si manterrà tuttavia contenuto nei prossimi anni (+0,5%, in media nel biennio 2017-18), lasciando i volumi di spesa su livelli inferiori dell’11% rispetto al 2007. “Il consumo si sposta dal fresco al confezionato, dai prodotti tradizionali a quelli evoluti, con maggiore contenuto qualitativo e di servizio, che soddisfano nuovi bisogni specifici”, sottolinea. Un trend che “sembra celare un processo di terziarizzazione in atto, guidato da fasce di consumatori high spending, riflesso della crescente divaricazione dei redditi”.

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