MILANO – Roma nel cuore e il mondo nello spirito: questa è la storia di Dafne Natale Spadavecchia, che lavora nel settore degli specialty coffee da tempo, ricoprendo un ruolo in prima linea per la diffusione di questa cultura in Italia. Proprio nella Capitale, dove lavora all’interno di una delle istituzioni in questo campo: Il Faro. Conosciamola insieme attraverso le sue stesse parole, nella seguente intervista.
Dafne, cosa l’ha portata a lavorare nel mondo del caffè? E in quello dello specialty?
“Sono una ragazza romana ma cittadina del mondo, profondamente amante della propria città natale ma realista rispetto ai limiti che il rimanere fermi in questa città comporta. Ho sempre lavorato nel mondo della comunicazione, giornalismo e relazioni con i media. Mi sono laureata qui, ho fatto il Master a Milano in Media Relations al Sole24 ore e la seconda parte della mia vita professionale l’ho trascorsa in Inghliterra, a Londra. Spostandomi molto per lavoro tra l’Europa, il Brasile e gli Stati Uniti. Qui è nato il mio percorso professionale nella filiera del food and beverage, poichè ero responsabile per l’organizzazione di summit internazionali sulla sostenibilità ambientale.
Passione, amore per il lavoro e intraprendenza credo possano essere i miei marchi di fabbrica: non mi sono mai tirata indietro rispetto alle sfide, o le cosiddette “sliding doors” della vita, anzi le ho sempre accolte con entusiasmo. La filiera del caffè ha incomune tanti aspetti e tematiche su cui ho lavorato e studiato tanto tempo: la tracciabilità della filiera, il direct e fair trade, la necessità di creare consapevolezza rispetto alla catena del valore della filiera produttiva.
A Londra ho conosciuto e vissuto a lungo con Dario, il mio attuale socio. Lui mi ha avvicinato al mondo specialty e con lui tante volte ci siamo trovati a confrontarci e riflettere sulle tematiche che accomunano le professioni di entrambi.
Lavorare in un bar è più difficile essendo una donna? E essere la sola donna in un team di uomini?
“Il mondo della ristorazione e dell’hospitality è ancora sicuramente un mondo governato dal genere maschile, soprattutto della vecchia generazione che spesso si porta dietro retaggi culturali e di approccio al business un po’ anacronistici. Non vorrei assegnare una tinta netta di genere ma sicuramente lavorare in un team di uomini, in un ambiente prevalentemente maschile ci costringe a faticare il doppio, a dover sviluppare un lato “maschile” noi stesse. Bisogna combattere, spesso alzare corazze, ma io credo di avere una personalità forte, abbastanza definita e nella vita sono quasi sempre riuscita ad proporre (non imporre!) e far condividere la mia visione.”
La comunicazione dello specialty invece, è qualcosa di più naturale per una donna?
“La comunicazione è un aspetto centrale e cruciale per il posizionamento di Faro e per far introdurre lo specialty (settore di nicchia già poco conosciuto in Italia prima di tre anni fa) nel tessuto sociale romano. Non saprei se di per sè è qualcosa di più naturale per una donna (conosco dei comunicatori uomini che sono dei giganti), sicuramente la donna è portatrice di prospettive, di toni, di capacità di analisi diverse.
Da Faro, lo storytelling è stato un terreno di lavoro comune a cui ognuno di noi ha dato le linee guida, ha mitigato i toni, ha scelto le parole, ha messo la propria creatività e competenza linguistica (del resto siamo due su tre laureati in lettere, comunicazione e materie umanistiche… sarà servito a qualcosa no?). Dal canto mio posso dire che un prodotto anche se perfetto, quando non è raccontato con efficacia e con sapienza comunicativa, resterà sempre un prodotto non venduto e, quindi, non goduto.
Qual è il tocco in più che dai a Il Faro che i tuoi soci non riescono a dare?
Dafne: “Premesso che ognuno di noi dà un tocco che gli altri non riescono a dare, perché ci compensiamo molto bene, sicuramente ho grandi capacità gestionali (infatti gestisco la parte amministrativa e di pianificazione strategica) organizzative e di relazioni pubbliche.”
Alle donne che vorrebbero intraprendere lo stesso tuo percorso, che cosa diresti?
“In Italia, diventare imprenditrice donna in un settore a prevalenza maschile può sembrare un suicidio. In generale nel momento in cui si mette du un’azienda cambia la propria forma mentis, dunque bisogna essere psicologicamente pronti, soprattutto a i sacrifici. Io ho trascorso una vita grandiosa, ho viaggiato tanto, mi sono divertita, ho incontrato persone meravigiose. Un business proprio ti dà un’adrenalina diversa, è parte di te.
Da donna devi lottare il doppio ed ho capito che la passione da sola non basta ma questa deve lavorare duro. Solo così si raggiungono i risultati che ci si è prefissati.”