MILANO – La lenta ripresa del settore dei pubblici esercizi è iniziata lunedì 18 maggio. Chi è riuscito a sollevare le serrande nonostante le notevoli perdite e gli altrettanti costi elevati, ha dovuto confrontarsi con modalità di servizio totalmente rivoluzionate. La convivialità dentro i locali va riformulata, dietro la mascherina e a distanza di sicurezza. Ma il rito del caffè sopravvive al virus e impara a conviverci. A testimoniare questo movimento in avanti, i giovani che sono comparsi su queste pagine. A parlare della Fase 2, diversi proprietari da nord a sud. Ecco cosa sta accadendo in questo periodo delicato a Palermo, Pisa, Napoli, Brescia e Roma.
Nel Bar Vabres, nel Filter coffee lab, nel Tostato specialty coffees e Il Faro, ancora non si molla la presa e si guarda avanti spinti da passione e qualità.
Da nord a sud, come stanno andando i bar
Ecco la tastimonianza di Alessio Vabres che da Palermo, si muove dietro al bancone del Bar Vabres: “Essendo un locale situato vicino alle scuole e all’università purtroppo abbiamo perso quella parte di clientela che le frequentava. Per fortuna abbiamo dei consumatori affezionati a quello che ormai è diventato un punto di ritrovo da 50 anni.
Purtroppo, in termini numerici il calo di clienti che accogliamo è quasi del 50%. Questo perché il nostro locale consente di far entrare un massimo di 4 persone alla volta per far rispettare il metro di distanza. Resta comunque uno dei nostri compiti, assieme al buon senso delle persone, quello di non far sostare per lungo tempo il cliente all’interno del locale e rendere quindi il servizio veloce e fluente.
Abbiamo dovuto occuparci anche della sanificazione e ci siamo affidati ad una ditta esterna prima di iniziare e ripetiamo l’operazione più volte al giorno. Inoltre, abbiamo effettuato dei lavori all’interno del locale, adibendo delle barriere fra operatore e clienti, posizionando degli igienizzanti ovunque.
Non abbiamo comunque rinunciato a nessuno dei nostri dipendenti per scelta, e tutti sono rientrati al momento della riapertura. Inoltre, abbiamo leggermente alzato i prezzi, giusto il necessario per garantire come sempre qualità massima su tutti i prodotti e la migliore sicurezza per i clienti”.
Da nord a sud, si va a Pisa
Valentina Montesi parla del Filter coffee lab: “Sicuramente la perdita andrà ben oltre i due mesi di chiusura totale perché, per realtà come la nostra, che vivono della clientela universitaria e di turismo, anche nel presente subiamo un calo del fatturato di circa il 90%.
Fortunatamente abbiamo un locale grande e così riusciamo a mantenere le distanze e ad avere ancora posti a sedere (anche se ne abbiamo persi 1/3). Ci occupiamo noi della sanificazione e di far seguire tutte le regole anche se è molto complicato controllare le persone che sono un po’ spaesate che probabilmente trovano regole diverse in ogni luogo in cui vanno.
Diciamo che con poca clientela queste regole si riescono a far rispettare, ma di fronte ad un flusso normale biasognerebbe avere una persona che si occupa solo di questo. (Con conseguente dispendio di risorse).
Non abbiamo comunque aumentato i prezzi, ma stiamo lavorando solo noi, le due titolari, con i 5 dipendenti in cassa integrazione.
Il problema più grande sarà sopportare a lungo termine queste condizioni. Se non ci sarà una ripartenza vera e propria, sarà veramente complicato riuscire a mantenere aperta un’attività nonostante fosse molto solida e avviata da più di sei anni.”
Alberto Nevola, Brescia, Tostato specialty coffees
“Il locale è in centro città e stiamo sopravvivendo grazie alla clientela consolidata e del vicinato (25% del cassetto). Quel che spaventa, è che purtroppo dai primi giorni è mancato principalmente ciò che alimenta la città ovvero i consumatori di provincia/hinterland. E’ scomparso quella parte di indotto generato dal passeggio o dai servizi del centro città. Questa perdita corrisponde quindi al 75%.
Abbiamo diminuito la capienza di circa 16 posti a sedere, arrivando ad un massimo di 9/10 clienti seduti in rispetto delle vigenti norme. Rispettando le distanze non possiamo purtroppo ampliare di più.
Per quanto riguarda la sanificazione, ci siamo rivolti a una azienda del territorio che periodicamente (1 volta a settimana ) interviene e sanifica locale e strumentazioni.
Abbiamo potenziato il servizio di riordino e chiusura con una persona che 3 volte a settimana igienizza le attrezzature, potenziando la pulizia di macinini e la gestione sulla macchina. Cercheremo di limitare al massimo le forniture, annullando praticamente il magazzino. E poi faremo leva sull’autoproduzione di caffè (con un futuro ampliamento e l’apertura di una Tostato roastery). Pensiamo anche a nuovi spazi di cucina per autoprodurre un reparto bakery.
Invece l’aspetto del personale, l’abbiamo gestito così: nei primi mesi abbiamo garantito lo stipendio a tutti con la liquidità che avevamo a disposizione, senza ricorrere alla cassa integrazione. Dai prossimi mesi però, inevitabilmente dovremo attendere i tempi “burocratici”. Aspettando quindi per alcuni dei nostri dipendenti, l’intervento degli ammortizzatori sociali.
È molto difficile però rispettare o far rispettare le regole. Il legislatore vuole responsabilizzare la popolazione senza tener conto delle difficoltà pratico-gestionali.
Un impegno per noi che, da un giorno all’altro per ripartire, siamo stati investiti di un immenso senso del dovere e di responsabilità verso i clienti. Dovrebbe esser chi di dovere a sorvegliare e garantire che le libertà di ognuno di noi non si sovrappongano. Noi siamo baristi, torrefattori, camerieri, impiegati. La gente ha paura: quando passano e vedono più di tre/quattro persone all’interno schivano e proseguono. Comprensibile, soprattutto a Brescia.”
Vincenzo Fioretto, Ventimetriquadri, Napoli
“Devo dire che è stata una bella emozione riaprire la caffetteria dopo questi due mesi e rivedere i volti sorridenti dei clienti più affezionati. Gli si leggeva negli occhi che erano lì per un buon caffè, ma soprattutto per dimostrare la loro vicinanza in un momento così difficile per un’attività commerciale.
Voglio ricordare che qui in Campania ci siamo dovuti fermare del tutto. Il Governatore non ha consentito il delivery durante la quarantena e le autorizzazioni alla riapertura delle attività continuano ad arrivare sempre con giorni di ritardo rispetto al resto del Paese.
È difficile non cadere in commenti politici, ma trovo imbarazzante il modo in cui vengono prese decisioni. Parliamo di ordinanze emanate la notte prima della riapertura, regole da studiare attentamente per assicurare la salute pubblica ed evitare sanzioni che creano molta confusione.
Intanto ci siamo adeguati in modo rigoroso alla normativa: sanificazione straordinaria e quotidiana, dispositivi di protezione individuale, monouso e quant’altro. Tutto questo ha sicuramente aumentato i costi, ma abbiamo scelto per ora di non aumentare i prezzi. Sperando in una maggiore generosità dei clienti e che in questi primi giorni ci hanno già dimostrato.
Purtroppo c’è ancora tanta apprensione per la diffusione del virus e quindi, togliendo anche i turisti, siamo ad appena un quarto della clientela abituale. Bisogna lasciare ad ognuno di noi il tempo necessario per riappropriarsi di quella serenità e confidenza nel vivere in un contesto che reputi non pericoloso.
Abbiamo predisposto tavoli e sedie per assicurare il distanziamento sociale perdendo circa la metà dei posti a sedere. Puntiamo su un’offerta più ampia di prodotti, sia per la colazione che per il pranzo cercando di intercettare nuovi clienti.
Quando abbiamo deciso di riaprire senza tagliare il personale, sapevamo che sarebbe stato poco economico all’inizio, ma necessario per il futuro. Già, ma quale futuro? Credo che oggi più che mai sia necessario essere molto più realisti che sognatori. Andrà tutto bene, ma solo se presto ritorneremo a poter viaggiare e torneranno i turisti.”
Da nord a sud, Il Faro, caffetteria specialty di Roma
Racconta Dario: “C’è da lavorare. Ci siamo sempre piazzati su un livello di qualità alta, quindi i nostri clienti sapevano già da prima che da noi il caffè è fatto bene e il prezzo è più elevato. Questo è il momento che le persone lo capiscano. Poi noi abbiamo puntato tutto sulla torrefazione, per cui anche per chi resta a casa. L’online ci ha dato molto una mano.
L’affitto però è alto e non verrà abbassato. Per cui dobbiamo trovare il modo di ricollocare tutti: i nostri dipendenti non hanno ricevuto ancora la cassa integrazione. Come imprenditore sento la responsabilità dei miei ragazzi. Abbiamo dovuto rinunciare al personale: siamo solo io, il mio socio e lo chef e qualche ragazzo ogni tanto. Ma c’è poco lavoro ed è difficile.
La nostra poi è una zona di uffici e di turisti, per cui ora la clientela si è notevolmente ridotta. Parliamo di una perdita di un quarto nei giorni buoni e di un quinto nei giorni negativi. Poi abbiamo anche dovuto coprire i costi della sanificazione e dei dispositivi: ma le spese non sono mai mancate. Il vero problema è la mancanza di assistenza di Governo e banche: siamo riusciti a prendere il prestito di 25mila euro, ma è anche vero che sono molto pochi se si pensa a due mesi di fermo e 4000 euro di affitto mensili. Diventa un po’ complicato. Speriamo nel contributo del fondo perduto relativo al fatturato di aprile 2019, ma viaggiamo un po’ a vista.
Vorremmo intensificare il mercato online attraverso i social, spiegando i motivi per cui preferire un caffè sostenibile, e la consegna a domicilio. Però anche questa funziona relativamente: alcuni prodotti si prestano altri meno. Portiamo il macinato per la moka a casa, ma il punto è che così come non è arrivata a noi la cassa integrazione, non è arrivata neppure ai consumatori. Circola poco denaro.
Noi abbiamo riaperto perché chiudere non era un’opzione: volevamo dare un segnale. Noi siamo fortunati perché siamo solo in tre e riusciamo a gestire il locale anche solo con le nostre forze. Per stare fermi dentro casa, è meglio lavorare. La non apertura serve più a chi sta al centro, a chi non ha neppure una piccola entrata. Forse un bar più generico può permettersi di non aprire: noi un po’ abbiamo lavorato e quindi è meglio di zero.
Cercheremo di riorganizzarci piano piano. Passo da giorni di sconforto ad altri in cui sono pieno di idee: è tutto un po’ confuso. Per fortuna ci sono dei momenti in cui abbiamo voglia, non di cambiare il mondo, ma di agire sul nostro piccolo.
Abbiamo alzato un pochino i prezzi, a forse ora rispecchiano il vero valore del prodotto: prima un espresso brasiliano, il più tradizionale, stava a un euro e 20, mentre ora è a un euro e 50. Perché così come l’olio c’è a diversi prezzi, anche il caffè non è solo una bevanda standardizzata. I nostri clienti hanno reagito bene, perché ormai hanno conosciuto e abbracciato la nostra linea. Da sei anni portiamo avanti questa idea. Le cose devono rientrare in un range di prezzo. Il caffè non è preconfezionato, è una pianta e quindi varia a seconda di diversi parametri. Speriamo che questa tragedia faccia passare questo concetto su larga scala ai consumatori.”