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CULTURA – E la Prima Guerra Mondiale fece impennare i consumi di caffè

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di MAURIZIO GIULI

Quest’anno cade il centesimo anniversario della Prima Guerra Mondiale e da qualche mese assistiamo ad una serie di eventi commemorativi; è notizia di qualche giorno fa la visita di Papa Francesco al cimitero di Redipuglia per ricordare i caduti di quel conflitto.

Non intendo in questa sede soffermarmi sul significato o sui ‘disvalori’ della guerra. C’è però una curiosità che interessa tutti gli operatori italiani del caffè.

La Prima Guerra Mondiale (FOTO), come è stato riportato ne “Il ritorno alla competitività dell’espresso italiano”, ha alimentato un’impennata nei consumi italiani di caffè. Come mai?

caffè prima guerra mondiale
Un caffè dal thermos in trincea

Facciamo un passo indietro e ritorniamo alla condizione del settore agli inizi del ‘900. Nonostante la prima macchina per espresso fosse comparsa a Torino nel 1884 ad opera di Angelo Moriondo, le iniziali forme di produzione e commercializzazione di questo prodotto arriveranno solo nel corso del primo decennio del ‘900, quando Bezzera, La Pavoni e la Victoria Arduino iniziarono a produrre i primi esemplari.

Possiamo quindi ritenere che al tempo dello scoppio del conflitto erano pochi gli italiani che avevano avuto possibilità di assaggiare un caffè espresso.

Fra l’altro l’espresso di quei tempi era molto diverso da quello che conosciamo oggi, essendo realizzato da macchine che operavano con temperature molto superiori a quelle attuali e con una pressione dell’acqua molto inferiore.

La tecnologia utilizzata si basava sullo sfruttamento della pressione interna alla caldaia, per cui nel momento del contatto con la polvere di caffè, l’acqua aveva una temperatura intorno ai 120-130 gradiC.

Ciò permetteva di preparare la bevanda nel momento stesso in cui il cliente la ordinava, da cui il nome “espresso”, anche se i tempi di estrazione risultavano più lunghi, intorno ai 40-50 secondi, quindi quasi doppi rispetto agli attuali standard.

Ciò significava che la bevanda ottenuta era molto più liquida rispetto all’espresso attuale, con scarsa presenza di crema in superficie, ed in bocca risultava amaro, con evidente sentore di bruciato; in altri termini dal punto di vista organolettico era più simile al caffè moka che non al moderno espresso.

Quando queste macchine comparvero sul mercato, il consumo pro capite italiano di caffè non raggiungeva i 500 grammi. Nel corso del primo decennio del XX secolo, fino cioè allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, i consumi salirono del 60 per cento, raggiungendo nel 1913 gli 820 grammi pro capite, equivalente a 80 tazze annue.

Paradossalmente la Prima Guerra Mondiale rappresentò un momento di sviluppo del consumo di caffè: essa offrì l’opportunità agli arruolati (circa 1,8 milioni di soldati) di avere una razione giornaliera di caffè pari a 10-15 grammi.

Nel 1918 le importazioni di caffè in Italia avevano raggiunto le 51mila tonnellate, di cui circa il 40% era assorbito dall’esercito.

VENDITE CAFFè

 

Secondo quanto riportato da Gaetano Zingali ne “Il rifornimento dei viveri dell’esercito italiano durante la guerra”, nella sola Torino, città natale dell’espresso, i consumi pro-capite salirono dai 2,8 kg del 1912-14 ai 3,8 kg del 1919.

E’ chiaro che tale dato non riflette fedelmente quanto accaduto nel resto del Paese, poiché come lo stesso autore ha rilevato “questi dati non sono particolarmente credibili poiché il numero dei visitatori della città era molto variabile e non aveva molto senso calcolare l’indice sui soli residenti”.

Tuttavia esso conferma la significativa crescita di consumi che si registrarono in Italia in quegli anni.

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Chi volesse saperne di più sulle origini dell’industria del caffè in Italia, e su come essa si sia evoluta, si invita a consultare il libro “Il ritorno alla competitività dell’espresso Italiano” edito da Franco Angeli.

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