MILANO – Siamo in provincia di Cosenza, a San Giovanni in Fiore: qui Luigi e Tommaso Iaquinta rappresentano la terza generazione di un’azienda di famiglia nata nel 1975 dalla passione di Luigi, il nonno dei due cugini che oggi hanno deciso di modernizzare l’attività con la proposta di una linea di qualità, trasparenza, frutto della tradizione rinnovata.
E quando si parla di riadattare il classico nel mondo del caffè, spesso e a ragione viene in mente la vecchia e cara moka. Che i due cugini Iaquinta hanno deciso di liberare dalle mura domestiche per raccogliere una nuova importante sfida per l’intero settore: la tazzina buona anche al ristorante.
Del loro progetto visionario abbiamo parlato direttamente con loro.
Cominciamo raccontando brevemente la storia della vostra azienda di famiglia: caffè Iaquinta. Da dove siete partiti e dove siete arrivati con l’ultima generazione?
Tommaso Iaquinta: “L’azienda di famiglia è stata fondata nel 1975 da nostro nonno Luigi, che è sempre stato un commerciante e aveva inizialmente un negozio al dettaglio nel quale vendeva caffè, sia verde che tostato. Dovete sapere che, nel nostro paese esisteva già all’epoca la tradizione della Pacchiana, una donna che vestita del costume tipico della zona tostava il verde con uno spiedo dotato di cilindro posizionato sul fuoco di casa, un po’ come il tamburo di una tostatrice.
Nostro nonno era particolarmente affezionato a questa figura tradizionale, a tal punto da dedicarle un’intera linea di prodotti con tanto di packaging. Nel ‘75 dalla passione per il caffè e per il suo paese, ha creato la torrefazione Iaquinta, partendo dal garage di casa e poi negli anni crescendo insieme ai nostri genitori, sino ad arrivare al 2018, in cui siamo subentrati io e Luigi.”
La svolta durante la pandemia punta su una nuova linea di caffè: Abate, Fondatore e Pacchiana. Com’è nata e sviluppata? Non avete però puntato a specialty e monorigini: potrebbe esser un’idea futura?
Luigi: “Ci siamo trovati in una situazione particolare con lo scoppio della pandemia. Nel primo periodo di fermo, abbiamo iniziato a pulire le attrezzature e a fare un po’ di manutenzione dello stabile, ordinando l’azienda. Tuttavia il tempo passava e il Covid persisteva: così abbiamo voluto pensare più in grande, rivoluzionando la nostra torrefazione che fino a quel momento si era concentrata per lo più sull’horeca, particolare che ci ha portati a registrare una drastica perdita di fatturato nel 2020.
Quindi abbiamo studiato da capo il nostro lavoro e gli stessi progetti lasciati dal nonno Luigi, sviluppando dei packaging per delle nuove miscele. Tommaso ha lavorato molto sulla tostatura e la materia prima, sui profili che volevamo comunicare in tazza. Abbiamo cercato di metter in risalto la qualità, l’artigianalità, la freschezza, su cui si basava la visione imprenditoriale di nonno Luigi, perché come lui teniamo ad offrire buste di caffè sempre fresco, non in sottovuoto ma dotate della valvola salva aroma.
Sono degli imballaggi dallo stile tradizionale, che si ispirano proprio all’artigianalità. Una volta preparate le miscele abbiamo iniziato a cercare i clienti giusti da incuriosire sull’utilizzo della moka, una caffettiera che tutti hanno ancora dentro casa. Pensiamo che sia uno strumento in linea con i tempi: è quello più sostenibile sul mercato al momento, senza provocare un consumo eccessivo di energia come invece avviene con la macchina espresso e in più, è ottimo per la socializzazione.
Preparare la moka consente infatti di prendersi quel tempo necessario a riunirsi con gli amici e quindi rappresenta ciò che vogliamo far passare come torrefattori: un ritorno ai valori di una tradizione che si è un po’ persa, andando incontro allo stesso tempo anche alle esigenze della sostenibilità sempre più diffuse in questi tempi moderni.
Molto importante su questa linea è proprio il nome “Antichi Aromi”: quando l’abbiamo avviata abbiamo portato avanti quei sentori solitamente presenti nelle case locali dove avveniva la tostatura e che con l’avvento delle capsule si sono persi. Eppure, l’aroma di un caffè appena macinato è davvero unico. Quando abbiamo scelto il packaging, con la valvola, abbiamo voluto dare la possibilità ai nostri clienti di entrare in contatto con questa sensazione tradizionale. Su 50 chili, ne vengono macinati e confezionati di volta in
volta 5/6, in modo da intrappolare all’interno del sacchetto i gas rilasciati dal caffè e consegnare sempre al cliente gli aromi di un caffè appena macinato.”
Tommaso Iaquinta si inserisce per descrivere la nuova linea di miscele:
“La tostatura scura nella nostra azienda non esiste. Avendo seguito diversi corsi di formazione, non è possibile pensare di proporre ancora questo grado di cottura. Abbiamo lasciato totalmente spazio alla trasparenza, comunicando con le origini: Pacchiana e Fondatore sono due miscele storiche che abbiamo riveduto per composizione e tostatura, la prima un 50% arabica (naturale, dal Brasile) e 50% robusta (wet polished, dal Vietnam), miscela tradizionale dal gusto speziato, la seconda un 70% arabica (Etiopia Sidamo e Brasile, che donano note di cioccolato all’arancia) e 30% robusta dal Vietnam. Infine l’Abate, un 100% arabica, miscela nuova che abbiamo creato da zero, con la quale abbiamo voluto un po’ osare.
Al meridione non si è abituati al 100% arabica, composta nel nostro caso da Brasile (naturale), Messico e Colombia (lavati). Volevamo stravolgere un po’ le abitudini del mercato meridionale e indirizzare il consumatore verso una novità di qualità che potesse far capire alle persone che l’Arabica non ha un gusto così acido e spiacevole al palato come si è soliti pensare. Questa miscela è un buon compromesso, con un sapore cioccolatoso che
noi per primi amiamo. Prima di lanciare la linea, chi lo ha provato è rimasto altrettanto soddisfatto.
Potrebbe essere un primo passo per introdurre più avanti delle monorigini e degli specialty Arabica e Fine Robusta. Focalizzandosi sempre su materie prime di alta qualità: al momento non ci siamo mossi ancora su questa strada perché dobbiamo adeguare le attrezzature per la produzione. Ma l’idea sarebbe quella di sviluppare un prodotto di questo tipo. E inoltre, devo prima formarmi per poter valorizzare questa materia prima al meglio.”
Luigi Iaquinta: “C’è ancora tanta disinformazione nel mondo del caffè e le persone non capiscono ancora la differenza tra acido, amaro, bruciato. Il problema è che bisogna formarsi, educarsi, a casa come nel mondo del bar. Ci sono tanti operatori nell’horeca che non hanno idea di quali siano le regole della buona manutenzione. Noi sin dall’inizio abbiamo tentato di formare i nostri clienti sulle norme basiche per mantenere le macchine pulite e per poter far assaggiare una tazzina che sia coerente con il nostro lavoro in torrefazione.
La prima tostatura di 60 chili del 100% arabica era destinato ad uso interno, ma è andato a ruba subito: tutti quelli che passavano di qua, ci chiedevano di portarselo a casa. Così ci ha dato la spinta di lanciarlo sul mercato.”
L’altra importante innovazione è il progetto che lega il caffè di qualità nei ristoranti, con una carta apposita e la moka direttamente sul tavolo: ce lo raccontate?
Tommaso Iaquinta: “Partiamo dal presupposto che c’era da risolvere un problema, perché anche quando capita di andare nel miglior ristorante del territorio, spesso si mangia benissimo e poi si arriva al caffè che solitamente è estratto male. Sono in molti che investono nell’acquisto delle materie prime eccellenti per comporre i piatti, ma nel momento in cui si parla della tazzina, si fa economia e si selezionano prodotti di
bassa qualità. E lì sbagliano i ristoratori, perché sarà l’ultimo ricordo del locale lasciato al cliente che lo collegherà al resto del cibo.
Noi abbiamo voluto trovare una soluzione e fare la nostra parte su questo aspetto, spingendo la nostra nuova linea e il concetto di socializzazione e tradizione legati alla moka. Abbiamo studiato questo progetto per trovare il modo di servirla sul tavolo: tanti sono stati gli esperimenti per riusciti. Siamo partiti da un fornellino adatto per la ‘nduja, abbiamo pensato anche alle candele, abbiamo persino usato i fornelli di scaldavivande a olio, ma avevamo paura di portare ai commensali degli strumenti pericolosi.
Quindi su internet abbiamo trovato dei bruciatori che in Italia non si conoscono tanto: mettendo una moka di casa – con il bricco in ceramica – su questi piccoli “vulcani“ che funzionano a gas, piazzati su un treppiedi in acciaio, siamo riusciti nel nostro intento. Si accende il bruciatore con una manopola per regolare la fiamma sotto la caffettiera e il gioco è fatto.
Nel nostro “disciplinare” ci teniamo che sia il cameriere stesso a prepararla, al fine di poter comunicare le miscele e il giusto processo di preparazione della moka durante l’estrazione. Pensiamo che così si possa educare il cliente alla bevanda, sconfiggendo l’abitudine delle cialde e delle capsule dentro e fuori casa. Da agosto abbiamo spinto questa moka al tavolo anche negli eventi fieristici. “
La rete dei locali che ha aderito e si è mostrata interessata a questa idea, è molto estesa? Come state lavorando su ampliarla?
“Il primo test l’abbiamo condotto con il supporto dello chef stellato Antonio Biafora: abbiamo proposto il concetto della moka al tavolo con il macinino manuale, che però abbiamo capito rendesse l’operazione ancora più complessa, e che può funzionare soltanto nei locali con pochi coperti. Poi abbiamo cercato dei ristoranti che puntassero tanto sulla qualità dei prodotti e sul crescere di livello in tutta la proposta.”
Luigi Iaquinta:” Cerchiamo quindi locali piccoli, in cui questo progetto può essere sostenibile. Il ristoratore deve esser in grado di gestire al meglio questo concept. La promozione sta procedendo ancora oggi e piazziamo sempre più moka sul territorio. Siamo ancora nella fase di lancio, ma prevediamo che il 2023 si espanderà.”
E la carta dei caffè?
Luigi Iaquinta: “Ci teniamo sempre alla trasparenza e a comunicare al meglio ai nostri clienti cosa stanno assaggiando. Scegliere il caffè è come selezionare un buon vino: non è scontato, è una bevanda sulla quale il ristoratore non solo deve puntare, ma anche guadagnare. “
Tommaso Iaquinta:” Abbiamo creato la carta dei caffè per permettere al cliente, nei casi in cui il cameriere non riesca a trasmettere ciò che si troverà in tazza, di leggere quali sono le varie miscele nel ristorante e scegliere in totale autonomia cosa bere. Con la moka bisogna stare insieme e scegliere in maniera coordinata la stessa tazzina da mettere sul fuoco. Abbiamo indicato le tre miscele con varie origini e composizioni nonché la descrizione organolettica.
E diamo anche dei consigli su come assaggiare e degustare il caffè. Consigliamo di mescolare la bevanda dentro la moka, di versarla e lasciarla raffreddare un pochino per esaltare il bouquet dei sapori. Un giorno potremmo anche pensare a guidare su degli abbinamenti con il cibo. Vorremmo lavorare con i ristoratori per proporre un accostamento con i dolci per completare l’offerta e creare una sinergia con il resto dei piatti.”
I feedback dei clienti e dei ristoratori?
“Fin qui sono stati spettacolari. Troviamo anche tante storie condivise sui social dei commensali che poi vengono rilanciate dai ristoratori. La moka al tavolo è affascinante da vedere, da vivere: è un momento diverso che invita a postare e ripostare. La moka è uno strumento davvero semplice da utilizzare e la formazione da fare al personale è minima. La cosa importante è che, attraverso di essa il ristoratore possa far pagare la tazzina servita al giusto prezzo.
Noi consigliamo di indicare sulla carta dai 3 euro e 50 ai 5 euro per moka. Inizialmente il ristoratore guardava con sospetto questa cifra: ma facendogli vedere che il guadagno c’è con una moka da tre tazze che permette di servirne anche di più, non è stato più un ostacolo.
Un altro problema è stato convincere il personale, che seppur formato, non era interessato a spingere il discorso della moka al tavolo. Ma quando abbiamo provato in ogni caso, nella pratica, hanno presto
compreso che fosse una soluzione vincente rispetto alle cialde e alle capsule.
Un’altra decisione su questa linea? Come azienda Iaquinta stiamo portando in esaurimento le capsule per scelta. Dovevamo affidarci ad aziende terze in outsourcing per la produzione ed era difficile mantenere un controllo capillare per garantire che venissero rispettati i nostri standard qualitativi. In più, non sono per niente sostenibili. Abbiamo scelto anche di non avere contatti con la GDO. Vogliamo cercare di mantenerci sullo stile della artigianalità per esprimere al meglio e coerentemente i nostri principi, tramandati da nostro nonno per tre generazioni.
Secondo noi la caffetteria italiana ha raggiunto questi risultati a ribasso negli anni, perché il caffè è stato utilizzato come mero strumento: il barista lo sceglie solitamente come mezzo per ottenere le attrezzature nella modalità del comodato d’uso, ancora particolarmente diffuso e che tuttavia non può più continuare ad esistere. Dobbiamo capire in primis noi torrefattori, che siamo degli artigiani del caffè, non dei fornitori di macchine. È un problema grave, perché oggi non si vendono tazzine di caffè, ma un mondo fatto di accessori e di servizi che allontanano dal discorso di qualità e materia prima.”
Che cosa bolle in moka per Iaquinta?
Luigi conclude in bellezza: “E’ proprio il momento in cui stiamo progettando tante cose. Ancora più trasparenza verso il cliente: chi sceglierà Iaquinta avrà un prodotto chiaro e descritto in tutti i dettagli. Spingeremo sulla formazione e informazione. La strada da fare è ancora tanta, Tommaso frequenterà il percorso Sca nella sua interezza. Vogliamo avere gli strumenti necessari per promuovere la moka e il discorso del caffè di qualità. Concentriamo le nostre energie sulla prossima generazione di eventi per incontrare i clienti.
Da poco abbiamo creato la formula da proporre nella nostra piccina Lorica, il camp coffee kit: una sacca in tessuto con al suo interno un fornello da campeggio, una moka e un caffè Iaquinta da portare in giro all’aria aperta, nella natura, su in vetta. Tutto il necessario per prepararsi una buona tazzina. E poi ovviamente ampliare l’offerta dei caffè, tra miscele e monorigini e anche estrazioni alternative.
Stiamo anche lavorando per ridisegnare la nostra casa, per realizzare uno spazio che sia aperto alla sperimentazione anche per i nostri clienti. Il futuro sarà comunque all’insegna della trasparenza, qualità, tradizione, formazione e informazione sull’horeca e sul retail, e soprattutto sul consumatore finale.”