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venerdì 22 Novembre 2024
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Cristina Caroli, riproponiamo la sua riflessione: «Da un anno, non è più un Paese per baristi»

Rimborsi come elemosine e disinformazione. Regole confuse e senza applicazione creano imprese di serie B. Si gioca su un tavolo truccato, l’importante è esserne consapevoli e crederci sempre

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MILANO – Ha suscitato un interesse enorme la riflessione di Cristina Caroli sulla condizione dei baristi durante la pandemia. Ve la riproponiamo anche per suscitare altri interventi dei lettori. Questa di caroli è una riflessione molto cruda quanto interessante, della condizione in cui attualmente versa il settore bar, colpito duramente più che dalla pandemia, dalle misure governative e dai pochi sostegni economici. È la descrizione di un quadro allarmante, e la correzione di diversi errori marchiani usciti sui media (che si sono affrettati a rettificare).

Ricordiamo che Cristina Caroli, titolare di Aroma, caffetteria specialty di Bologna. Un locale che in molti conoscono e frequentano. Molti gli stranieri, residenti e di passaggio, richiamati dalla fama. Una tappa da non perdere per i particolarissimi, introvabili caffè proposti, sempre diversi ma sempre almeno squisiti.

di Cristina Caroli

Non è un periodo facile per nessuno, senza volere cadere nel vittimismo a tutti i costi. Credo che chiunque, da un anno a questa parte, non possa non avere notato come vi siano alcune categorie di cittadini di questo Paese che stanno portando un peso mortale sulle proprie spalle, a causa della crisi generata dal virus Covid 19.

In particolare, da un’anno questo non è un paese per baristi, né per ristoratori in genere, né per lavoratori della cultura e dello spettacolo o dello sport, mi perdonino le categorie che non ho citato correttamente in questo elenco ma si sentano ricompresi in esso.

Non è un paese nemmeno per tutte le aziende e per tutte le famiglie che compongono l’indotto di queste attività

Completamente dilaniate dall’assenza di fatturato, di clienti, di condizioni di lavoro accettabili ma soprattutto di lealtà da parte dello Stato e delle Istituzioni.

Oggi sono arrabbiata, non è da me, ma mi pesa continuare da un anno a leggere sulla stampa nazionale una serie di notizie scritte e formulate in modo ambiguo, senza che i giornalisti o le cosiddette Associazioni di categoria di abbiano mai un atteggiamento critico, di analisi e di chiara, forte denuncia nei confronti di queste informazioni fuorvianti.

Questa è disinformazione, che fa apparire delle realtà che non esistono, oppure enfatizza problematiche estremamente acute. Con il risultato di anestetizzare un’opinione pubblica che non riesce a vedere il problema di alcune categorie, in quanto gli organi di informazione non lo rendono visibile, anzi, tendono a far vedere una soluzione di Stato che non esiste nella realtà.

Disinformazione che dobbiamo subire perché siamo senza una voce univoca, senza una rappresentanza in grado di perorare la nostra causa dopo un anno di pandemia di cui portiamo un fardello spaventoso.

Fatturati dimezzati e rimborsi attorno al 5% della perdita del 2019, quando in altri Paesi europei vengono restituite grosse quote del fatturato annuo denunciato

Il contrasto spaventoso tra i mezzi che vengono messi in campo da altri paesi che fanno parte come noi di questa Unione Europea della quale ravviso l’utilitarismo ma purtroppo non l’utilità, fa venire letteralmente i brividi.

Nella Germania che tutto dispone e tutto decide, commercianti come me hanno diritto a rimborsi davvero consistenti calcolati sul fatturato complessivo dell’anno 2019 a titolo di aiuti per le perdite dell’anno 2020. Lo Stato e i Länder hanno dato vita ad un programma di sostegno delle imprese per un forte rilancio economico e occupazionale a fine epidemia.

In Italia i miei colleghi e io, grazie ai calcoli del fior fiore della finanza abbiamo diritto al massimo al 60% della perdita di un mese su 12, nel mio caso specifico con la mia Azienda posso aspirare al 50% della perdita di un mese nel confronto tra il fatturato 2019 – 2020 ovvero un ventiquattresimo del fatturato 2019.

Lo so che sembra un tantino complicato, ma che ci volete fare, è alta finanza no?

Talmente alta che i quotidiani a tiratura nazionale incorrono in errori lapalissiani, divulgando notizie contenenti errori per quanto riguarda l’ammontare di queste elemosine di Stato.

Il quotidiano online la stampa nella sezione Top News ha pubblicato quanto segue, posso allegare solamente il titolo perché non essendo abbonata alla sezione Top News non avendo nessuna intenzione di farlo, almeno per oggi visto che sono arrabbiata, ma anche vista l’attendibilità delle notizie, non posso fornirvi il resto dell’articolo.

Il titolo di un articolo del giornale online

In un solo titolo così tante imprecisioni

Cifre inferiori al 10% delle perdite di fatturato nell’esempio del titolo il rimborso ammonta al 5%, un numero che avrebbe fatto un po’ più effetto in negativo del 10% che si potrebbe leggere distrattamente e non si tratta affatto della perdita di fatturato complessiva quella che viene presa a base di calcolo, ma di un mese di perdita media di fatturato

Cosa cambia?
Vediamolo con l’esempio fornito dalla testata.

Bar con 100.000 € di fatturato, – 50% di perdita fatturato ha avuto una perdita di 50.000 €, essendo nella fascia fino a 100.000 € di fatturato annuo ha diritto al 60% della perdita media di un mese nel confronto tra l’anno 2019 e il 2020.

Facciamoli noi un paio di conti


La verità è che al bar dell’esempio spetterebbero 2.500 € di rimborso, pari al solo 5% della perdita di fatturato, i famosi 50.000 €. Altro che tra i 4.000 e i 5000 € qui parliamo di 2500 € e se permettete c’è un bel po’ di differenza.

Ultima ma non ultima: ha ricevuto.
Forse il fantomatico bar della Stampa di Torino ha ricevuto perché qui non si è visto niente. Quindi non sarebbe il caso di scrivere che i rimborsi sono già stati erogati quando non lo sono stati affatto, l’efficienza dello Stato è minore di quella che si percepisce.

Si potrebbe dire che tutti possono incorrere in un errore, questo è vero, peccato che questi tipi di errori hanno conseguenze e possono indurre delle errate considerazioni, soprattutto in chi ascolta in maniera superficiale e frettolosa le notizie. Tipo l’opinione pubblica.

Quello che passa è il concetto che ci sono dei ristori già erogati e che ci sono migliaia di euro in ballo

E’ molto difficile far capire all’utente comune la differenza di scala dei valori che c’è fra un’azienda e un privato. 5000 € fanno sempre un certo effetto, danno l’impressione, peraltro del tutto errata che sia una grossa somma, quando invece sappiamo benissimo trattarsi di una elemosina letteralmente per una azienda nelle condizioni in cui tutti ci troviamo.

Non per fare facile polemica, ma questi ristori sono riferiti al 2020, nulla è stato detto per i primi mesi del 2021, che sono stati un’ecatombe.

Il debito dello stato spostato sulle spalle degli imprenditori

In questo anno abbiamo visto di tutto, ma abbiamo cercato di tirare avanti, così come potevamo spinti ad accettare nostro malgrado i “potenti sistemi di sostegno” messi a nostra disposizione da questo Paese: ovvero l’indebitamento agevolato.

Sì perché la soluzione prospettata è stata facilissima: prendete i soldi dalla banche, potete accedere facilmente. Peccato che i soldi non siano stati un prestito a fondo perduto, peccato che non siano stati un’anno bianco fiscale, ma si è trattato invece, molto più biecamente di prestiti bancari, mutui, quindi danaro che deve essere restituito pena il fallimento, nostro.

Ecco che tutti noi, quelli che del rischio imprenditoriale hanno fatto un mestiere, ora abbiamo sulle nostre spalle anche il debito dello Stato, debitamente spalmato sotto l’innocente forma di aiuti.

Soltanto uno Stato miope può pensare di tagliare completamente i cordoni ad una parte del paese, facendola anche indebitare, senza che questo abbia conseguenze e ripercussioni lungo tutta la catena economica a cui appartiene l’attività.

In altri Paesi europei gli Stati stanno facendo qualunque cosa per far sopravvivere le imprese, mantenere la loro solvibilità reciproca, la capacità di immaginare e di pianificare un futuro di ripresa, sostenendole in modo sostanzioso per fare sì che alla riapertura vi sia un vero e proprio boom economico.

L’Italia si sta preparando ad un altro rumore, quello di un tonfo non sicuramente quello di un boom, alla riapertura se e quando mai vi sarà, troveremo le macerie di comparti interi, produzione inclusa, che non avranno più la forza di risollevarsi perché travolti dal dover onorare dei debiti che non hanno creato loro, ma una pandemia imprevedibile e uno Stato che non ha saputo tutelarli, anzi, che li ha caricati del proprio disavanzo.


Le false chiusure e le false aperture occulte 

Altro tema ad alto tasso di disinformazione.

Non ho voluto infierire prendendo ad esempio degli specchietti orridi che sono stati predisposti sul modello di info grafica dalle varie redazioni, diciamo che tutte sono state generate da questo tipo di comunicazione che ritengo possa essere definita ufficiale visto che ha un bel timbro ministeriale sulla destra.

Tutte le normative che sono seguite a suon di Dpcm hanno seguito questa modalità comunicativa, tranne per la incredibile Area arancione scuro, un’invenzione di audacia non prevedibile qualche mese fa, ma che sappiamo perfettamente celare invece una zona rossa a tutti gli effetti, mai dichiarata ufficialmente, ma che ha funestato i primi mesi del 2021.

Sia in area arancione che in area rossa nella informativa possiamo leggere la seguente frase:
Chiusura di bar e ristoranti 7 giorni su 7.
L’asporto è consentito fino alle ore 22:00
Per la consegna a domicilio non ci sono restrizioni.

Questa è disinformazione, perché la vera informazione, se veramente qualcuno avesse voluto darla, sarebbe stata: “bar e ristoranti aperti con servizio asporto/take away o consegna/delivery” (scrivetelo in inglese scrivetelo in italiano ma scrivetelo, questo è il senso).

La finalità di una disinformazione palese come questa è ovvia: tenere gli untori, che “come tutti sappiamo” sono bar e ristoranti, senza clienti, liberi di essere aperti, così non possono chiedere sostegni, ma molto meglio se vuoti. I clienti vengono fortemente disorientati da questo tipo di informazione e non sono mai certi di trovare il locale aperto…. quindi desistono.

Ma le regole non valgono per tutti.

Il “libero Stato” di Autostrade e i soliti furbetti

Ci sono porzioni di territorio del nostro Paese dove viene applicata una legislazione diversa.
Quelle delle chiusure, bicchierini di carta, palettine, distanziamento, sono problematiche che non sembrano affatto riguardare tutti gli esercizi pubblici che si trovano sulla rete autostradale italiana, APERTI 7 GIORNI SU 7 IN QUALUNQUE COLORE.
In essi, è possibile entrare, consumare al banco in tazzine di porcellana, oppure sedersi comodamente e godersi un pasto seduti uno vicino all’altro senza mascherina senza alcuna altra precauzione: del resto basta comportarsi da “conviventi”, tanto non ci sarà alcun controllo.

Che capolavoro di ipocrisia e di crudeltà, soprattutto se vogliono farci credere di essere in un paese democratico nel quale i cittadini sono tutti uguali.

Abbiamo anche un’Italia di furbetti che elude le regole, non usa precauzioni, che si chiude negli speakeasy clandestini a bere, che fa feste promiscue in casa, che finge parentele.

Un’Italia di gestori che accoglie le persone all’interno del locale senza curarsi dei limiti, che fa smangiucchiare le brioches all’interno, che fa bere all’interno anche oltre l’orario, magari in gruppo nel retrobottega o a serranda abbassata, facendo sembrare i gestori corretti degli ottusi rompiscatole.

Personalmente faccio parte dell’Italia imprenditoriale che ha investito per adeguarsi, per essere sicura, che disinfetta e indossa presidi tutto il giorno. Che deve raccomandare di mantenere le distanze di sicurezza, di calzare la mascherina di non bere all’interno del locale, di non assembrarsi fuori dal locale. Che lavora caricata di oneri, pagamenti elettronici per battute da 1,20 € con conseguente lotteria degli scontrini, pena la segnalazione agli uffici della Finanza.

Per questo hanno avuto vita facile con noi, perché siamo diversi … e divisi

Un vero peccato, non trovare una compattezza nel rispetto delle regole, un vero peccato non avere una rappresentatività forte che portasse la legittime istanze in alto ed evitasse misure di una pesantezza ed ingiustizia sociale evidente a tutti, senza ricerca di soluzione da un’anno a questa parte.

Siamo, e come noi altre, una categoria a rischio dignità gravata da norme inique, inconcludenti e dal perdurare di una condizione così pericolosa e demotivante per molti.

Cristina Caroli: Non perdete autostima. Sentirsi perdenti ad un tavolo truccato non è corretto verso se stessi

Credo che a un anno di distanza si possa parlare di una forma di accanimento, ma che importa, il problema non è più solo del barista, ristoratore o di altre categorie di presunti untori vari, il problema è arrivato fino in cima fino in cima alla catena di produzione, di distribuzione, è arrivato al comparto e attiverà alla economia in generale.

Non è più un problema di “pochi” è un problema di tutti.

Lo dico soprattutto per tutti i colleghi e tutte le persone che in questo momento hanno un momento difficile, un momento nel quale potrebbero dubitare delle proprie capacità imprenditoriali, di ripresa e delle risorse interiori: ricordatevi che non avete sbagliato nulla.

I colpevoli sono coloro che hanno caricato il loro debito di Stato sulle vostre spalle in un momento di fragilità, certi che, come sempre, in qualche modo magico riusciremo a fare fronte alla loro inettitudine e risollevarci.

E il bello è che potremmo essere capaci di farcela, lo credo davvero. Si gioca su un tavolo truccato, l’importante è esserne consapevoli e crederci sempre.

Del resto il mio motto, anche quando sono arrabbiata come oggi, è Baristas never give up.

E io non ho intenzione di mollare.

Cristina Caroli

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