MILANO – Cristina Caroli e Alessandro Galtieri sono una coppia unita da un progetto lavorativo, “Aroma”. Completamente dedicato al solo caffè Gourmet e Specialty dal 2001.
Un locale che è sorto sulla precedente attività, un bar con offerta tradizionale, come una sfida. Precorrendo mode e trend ora decisamente più diffuse. Sobbarcandosi l’onere di essere l’apripista di una proposta allora completamente rivoluzionaria.
Alle luce di questa esperienza davvero lunga e significativa, ci pare di particolare interesse il loro parere in merito ai temi della inchiesta sulle attività in Italia. Per scoprire i motivi di una sofferenza del settore non più ignorabile. Che deve essere analizzata e compresa per aiutare concretamente chi si sobbarca l’onere di fare impresa nel settore della caffetteria.
Cristina Caroli: che cosa dovrebbe sapere chi decide di avviare una propria attività?
“Essere informato compiutamente su tutti gli oneri che derivano dalla gestione di un locale. La pressione fiscale è molto oltre la soglia della sopportabilità. E deve essere presa in serissima considerazione in una riflessione pro e contro l’avviamento di attività.
Essere imprenditore porta immediatamente nel campo della incertezza delle entrate. Al contrario del lavoro dipendente – salvo casi particolari – occorre esserne consapevoli e accettare ricadute sullo stile di vita. ”
E’ importante avere un progetto accuratamente studiato
Continua Cristina Caroli: “Basato su numerose visite a realtà commerciali che abbiano affinità con il progetto stesso e che abbia alla base la stesura di un business plan molto realistico. Fondamentale la conoscenza di attrezzature e prodotti per poter operare delle scelte consapevoli che influenzeranno molto il business plan di partenza e il cash flow durante l’attività.
Indispensabile, in un mondo del caffè sempre più evoluto, avere una base professionale di autorevole preparazione alla attività. Nonché una formazione tramite corsi o esperienze che costituiscano un bagaglio di competenze concreto. Sono finiti gli anni del barista improvvisato dietro al bancone, il segmento si sta, fortunatamente, evolvendo.”
Quali possono essere dei modi economicamente sostenibili per differenziarsi dalla concorrenza?
“Prima di tutto studiare la concorrenza diretta. Cioè i possibili competitor sul mercato locale, verificare i loro punti di forza con obiettività e studiare una propria immagine. O sopperire a gap rilevati, puntare ad esempio una nicchia di mercato che i competitors non hanno completamente saturato.
Attualmente è sicuramente strategico passare da una offerta unica, banale e omologata di caffè commerciale ad una offerta più ampia e diversificata (una carta del caffè con diverse provenienze); introdurre anche metodi di estrazione diversi, alternativi all’espresso.
Qual è il valore aggiunto che può attirare il cliente
“La cultura del prodotto, conoscere veramente il caffè. Essere in grado di trasmettere al cliente nozioni autorevoli e di affiancarlo nella degustazione del caffè specialmente per traghettarlo dal caffè di tipo meramente commerciale ad una offerta differenziata di monorigine e specialty.
Fare assaggiare le novità del momento in serate apposite. In cui presentare anche metodi di estrazione diversi per ampliare gli orizzonti di consumo al locale e a casa.
Avere un motivo per ogni decisione fatta nel locale; scegliere quindi fornitori e prodotti a seguito di una analisi personale, ovvero essere un ottimo punto di riferimento per il cliente che vuole essere guidato in una scelta di consapevolezza. ”
Cristina Caroli: “Perché un certo caffe? Perchè un certo latte? Perchè una certa offerta di pasticceria?
“Chiaramente alla base deve esserci una scelta di qualità e consapevolezza, niente a che vedere con marchi commerciali e di primo prezzo. Altra strategy è lavorare molto bene sulla offerta per fasce orarie; trovando piccoli plus di accoglienza e proposta specifici per esigenza e clientela.”
Quanto incide la liberalizzazione delle licenze?
“Nella città in cui operiamo sono stati abbattuti tutti i limiti di prossimità per le attività commerciali. I risultati sono sconfortanti. In pochi metri di strada possono accavallarsi attività molto simili ad una occhiata superficiale. E questo induce alcuni ad iniziare una guerra dei prezzi al ribasso. Con risultati catastrofici sulla qualità del prodotto e dei servizi al cliente.
Aumentando i competitor i margini di profitto sono risicati per tutti. E le attività non possono crescere e offrire impiego perchè il costo del lavoro è altissimo. E occorrono volumi consistenti per poter dare certezze ai dipendenti e poter far fronte agli aumentati oneri.
In questo modo molte delle attività sono ferme. A rischio di implosione o di gravissima difficoltà. Le liberalizzazioni selvagge espongono anche a concorrenze sleali da parte di attività che nel primo anno godono di privilegi fiscali e si incuneano pesantemente in momenti di crisi. O, peggio, di attività aperte con il solo obiettivo di abbattere gli utili fiscali dei proprietari. ”
Altro filone negativo sono le attività che definirei hobbistiche
Ancora Cristina Caroli: “Aperte da persone abbienti a congiunti non esperti del settore, come fossero giocattoli o passatempi. Sono entrambi casi in cui i locali hanno una politica commerciale che sfida, o peggio ricerca, la totale rimessa finanziaria. Fatta di immagine costosa, ridondanza di appeal, personale; metri quadri. Insostenibile da chi, con la propria attività, deve veramente vivere, lavorare, ed essere un contribuente regolare.”
Secondo Cristina Caroli, perché molti chiudono nell’arco di un anno dall’apertura?
“Per i motivi di cui sopra, aperture selvagge di puro lucro o facciata: speculazioni o peggio. Esiste anche una attività illecita di aperture e chiusure lampo tristemente presente nel campo delle caffetterie e governata dal malaffare. Ci sono poi dei veri e propri trasformisti, che aprono una attività la indebitano, la chiudono.
Poi basta un prestanome e si rifiorisce, continuando a fare danni o a speculare su esposizioni finanziarie che non saranno mai onorate. Altri chiudono perchè vittime ingenue di una scarsa preparazione e progettazione, a volte schiacciati da aperture attigue che li depredano letteralmente di grossa parte dei clienti. Alcuni si trovano impossibilitati a sostenere scelte costose fatte il primo anno, e la pressione fiscale dal secondo anno in poi perchè non si sono informati correttamente.”
In che modo si informa e analizza i format di successo in Italia e all’estero?
“Attraverso gli amici della Coffee Community Italiana e internazionale Sca. E poi i social, le riviste di settore. E le visite all’estero ogni volta possibile.”
Quanta importanza ha la comunicazione della propria attività come fosse un vero e proprio brand?
“Molto elevata. Avere personalità, reputazione, competenza concorre ad arricchire la visione dall’esterno del proprio lavoro: il tutto si sintetizza in brand. Si tratta dell’insieme di scelte e di modalità operative che danno valore alla propria denominazione, molti professionisti sono fortemente legati al proprio brand. A volte è impossibile pensare ad alcuni di loro senza associare il brand del loro progetto: questo può essere definito sicuramente successo.”
Per ampliare il bacino di utenti, è necessario creare un “ibridazione” tra caffetteria e altri settori diversi dall’hospitality, come le librerie ad esempio?
“Non squisitamente necessario ma sicuramente piacevole. E può essere una delle strategie di diversificazione di cui si è parlato poco sopra. All’estero sono già molto diffuse, e rappresentano anche delle belle esperienze imprenditoriali di giovani che si alleano per condividere visibilità e clientela.
Si possono creare ambienti molto accoglienti e di fascino, si sa, la bellezza e la originalità piacciono a tutti. Per ampliare il bacino di utenza è anche sufficiente regalare una esperienza piacevole che poi i clienti stessi trasmetteranno ad altri. Lavorare bene amplia sicuramente la clientela.”
Quanto investe in termini di strategie social?
“Noi siamo self made anche per il sito. Utilizziamo i social prevalentemente per il piacere di comunicare con la community di amici e followers. I social sono perfetti anche quando desideriamo diffondere un messaggio particolare per una iniziativa, un corso, ecc. Non abbiamo stanziamenti budgettizzati o precise strategie di pubblicazione.”