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Crisi e mercato italiano. Intervista a Giorgio Caballini di Sassoferrato. Il punto dell’amministratore delegato Dersut e presidente GTTC – Gruppo Triveneto Torrefattori caffè

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Gli effetti della crisi, il discusso articolo 62, i punti deboli del settore. Ma anche le reazioni dei consumatori, comprese quelle apparentemente illogiche (perché, se si stringe la cinghia, spender di più per le costose capsule?). E ancora, la formula grazie a cui la sua azienda, la Dersut, è in controtendenza al trend del mercato italiano, con margini di fatturato e vendite reali positivi: il punto del conte Giorgio Caballini di Sassoferrato, amministratore delegato Dersut e presidente del Gruppo Triveneto Torrefattori Caffè.

di Susanna de Mottoni 

Quanto ha risentito il settore del caffè della crisi, anche in raffronto ad altri comparti?

“Il comparto, nel settore bar, perde mediamente il 2% all’anno. Il settore alimentare, invece, fino al 2011 ha tenuto, e solo l’anno scorso si è evidenziata qualche incrinatura, ultimamente anche a livello discount. Il tutto è però bilanciato dalla crescita dell’export, per cui complessivamente il comparto ha risentito meno di altri. L’incidenza della tazzina, tutto sommato, è trascurabile sul bilancio famigliare rispetto ad altri costi, per cui spesso il consumatore sceglie di tagliare altrove”.

Dal 2008-2009 a oggi è riscontrabile un’evoluzione della crisi e dei suoi effetti sul mercato del caffè?

“Quella del settore del caffè non è stata una crisi di consumo, ma di liquidità. Le torrefazioni risentono della stretta creditizia attuata dagli istituti bancari e hanno difficoltà a incassare dalla clientela. Non si sono registrate flessioni sostanziali nella vendita di caffè, piuttosto degli altri articoli. Le torrefazioni del nostro Gruppo, che si rivolgono soprattutto al settore bar, soffrono indirettamente dei minori incassi dei baristi”.

In questo senso anche l’articolo 62 non ha contribuito a migliorare la situazione…

“L’articolo 62, in fin dei conti, non ha fatto male: più di qualche cliente vi si è adeguato, soprattutto con le nuove forniture, per cui, nel nostro caso, ne abbiamo beneficiato. Personalmente non sono contrario a questa norma, anche se ancora non si conoscono le conseguenze in caso di inottemperanza e se in taluni casi dovrebbero essere contemplate delle deroghe”.

Quali sono attualmente i punti deboli del mercato?

“Le criticità sono quelle di cui si discute quotidianamente e per le quali tutta l’Italia è in affanno. Bisognerebbe tagliare i costi della politica e ridurre gli adempimenti burocratici. Bisognerebbe aumentare la liquidità del sistema e ridurre il carico fiscale, in primis sugli investimenti. Questi ultimi dovrebbero essere detassati per favorire i consumi e lo sviluppo”.

Export: anche per le imprese di questo settore è una valvola di sfogo irrinunciabile?

“L’espresso italiano si sta diffondendo sempre più nel mondo. Tutte le aziende beneficiano della fama che sta conquistando a livello globale, sia le grandi, maggiormente strutturate, che le piccole, più snelle dal punto di vista funzionale. Il problema principale dell’export, tuttavia, non è tanto la richiesta del prodotto, quanto il prezzo: la prima domanda che fa il cliente estero è “Quanto costa?” non “Che prodotto è?”. Può significare, quindi, dover partire dal basso, il che non è un buon inizio”.

In che misura le abitudini del consumatore italiano sono state influenzate dalla crisi?

“Quotidianamente i media ci ricordano quanto si stanno riducendo i consumi su tutti i fronti. E purtroppo ciò innesca un circolo vizioso (calo consumi, calo produzione, aumento disoccupazione) che deve essere invertito quanto prima. Come ha ricordato più volte lo stesso presidente di Confindustria Squinzi, è però già tardi. Bisogna intervenire subito, immettendo liquidità nel mercato. Ho fatto una piccola ricerca, da cui è emerso che l’Italia è il terzo Paese possessore di riserve auree a livello mondiale: 2.702 tonnellate.

È vero che il prezzo dell’oro è calato, ma convertendolo in miliardi di euro corrisponderebbe comunque a un centinaio di miliardi, pertanto, con un colpo solo ma rinunciando ai “gioielli di famiglia”, potrebbero esser sanati tutti i debiti che lo Stato ha nei confronti delle imprese. Mettere cento miliardi nel sistema italiano significherebbe far ripartire l’economia. Non sono a conoscenza di vincoli specifici, per esempio del Fondo Monetario, ma se non ve ne fossero potrebbe essere una buona idea…”

Cialde e capsule avanzano sul macinato, nonostante siano più costose: non è un controsenso per un periodo di “austerity”?

“In effetti è un controsenso, come d’altra parte è apparentemente paradossale un’altra tendenza in atto: la crescente diffusione di prodotti monoporzionati, sempre più frazionati in imballaggi non biodegradabili, che implicano maggiori costi di produzione e maggior carico di rifiuti.

Il trend di crescita di cialde e capsule, comunque, sta un po’ rallentando: è sempre a due cifre, ma più contenuta. Inoltre il consumatore della fascia più debole si è accorto che il costo di un caffè in capsule è circa triplo di uno con il macinato. E qualcuno ha già fatto ritorno alle vecchie abitudini: ne ho avuto conferma in via diretta”.

Dersut nel 2012 ha avuto un incremento di fatturato di circa il 10%. Come è stato conseguito questo ottimo risultato?

“Abbiamo registrato un incremento di fatturato, ma soprattutto un incremento delle vendite in termini reali, circa il 5% in quantità. Ciò nel contesto di un mercato in leggera flessione (1-2%), il che significa che siamo in controtendenza. È un risultato che abbiamo ottenuto innanzitutto perché, anche quando i prezzi sono schizzati alle stelle, non abbiamo fatto deroghe sulla qualità, scegliendo, piuttosto, di sacrificare una parte di margine; abbiamo continuato a puntare sui corsi di formazione per clienti o potenziali clienti.

Abbiamo beneficiato della maggior visibilità ottenuta grazie al Museo del caffè, inaugurato nel 2010; stiamo aprendo numerose caffetterie a marchio giungendo già a quota 116. Un numero che probabilmente non ha pari a livello nazionale, se non altro per la nostra formula che non prevede solo immagine esterna, ma anche prodotti standardizzati, che assicurano al cliente di ordinare e ottenere lo stesso prodotto a prescindere dalla caffetteria in cui si trova”.

Per Dersut, in che proporzione incide il mercato interno e quello estero?

“Nel nostro caso l’estero incide in modo modesto, circa il 3%. La situazione sta parzialmente cambiando, ma rimane comunque un ambito marginale”.

Su quali assets sta puntando l’azienda per proseguire con questo trend positivo?

“Intendiamo innanzitutto allargare la nostra zona d’influenza, che al momento è principalmente il Triveneto. Ci stiamo un po’ espandendo, siamo giunti nella zona di Ferrara, del lago di Garda… Chiaramente è un piano che implica una strategia organizzativa e qualche problema, ma stiamo già ottenendo buoni risultati a livello locale e interregionale”.

È stato riconfermato di recente alla guida del Gruppo per altri tre anni. Un suo commento a proposito e una valutazione sull’importanza di farne parte per le imprese di settore.

“Innanzitutto colgo l’occasione per ringraziare tutti i soci che mi hanno benevolmente rieletto. Il nostro Gruppo è numericamente molto importante perché conta oltre 250 soci, tra quelli ordinari e i sostenitori, con presenze in tutta Italia. Il Notiziario è il nostro fiore all’occhiello, un valido mezzo d’informazione sul mondo del caffè. I soci sono costantemente informati su tutte le novità del settore e possono rivolgersi alla nostra Segreteria per porre quesiti. Stiamo inoltre cercando, come Gruppo, di avere maggiori contatti con altre organizzazioni di settore per unire le forze, sviluppare e conseguire risultati sinergici”.

 

Estratto da: Notiziario Torrefattori, maggio 2013

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