MILANO – In merito all’apertura del ristorante-bistrot-caffetteria-pasticceria sono uscite diverse opinioni, anche contrastanti. E abbiamo ricevuto diverse segnalazioni. Torneremo sull’argomento. n particolare sulla caffetteria che usa Lavazza Kafa e una macchina Wega. Intanto vi proponiamo questa opinione di Giuseppe Timpone apparsa su Investire oggi che riguarda in particolare la pizza margherita e, soprattutto, i prezzi. Che, per qualcuno, sarebbero stellari.
Carlo Cracco è nell’occhio del ciclone. La sua rivisitazione della pizza Margherita non è piaciuta a tanti puristi di questa pizza classica. Già alla vista, quella dello chef stellato appare del tutto diversa da una pizza italiana. L’impasto è realizzato con un insieme di cereali che lo rende più croccante. La salsa di pomodoro è visibilmente più densa e scura, così come la mozzarella viene messa a crudo e al posto del basilico compare l’origano.
Apriti, cielo! Sul web si è scatenata quasi una rissa mediatica ad opera di quanti vedono nella pizza di Cracco un’offesa alla cucina tradizionale italiana. Non solo anonimi internauti hanno espresso giudizi al vetriolo, ma sono scese in campo persino le Cesarine, la rete delle cuoche domestiche italiane, che tramite il loro giornale hanno accusato espressamente uno dei protagonisti delle passate edizioni di MasterChef di danneggiare il made in Italy.
Ma Cracco non è finito nel mirino dei giudizi impietosi dei social solo per la sua pizza Margherita. Da tempo, è oggetto di “attenzioni” anche per i suoi prezzi, a dire di tanti, ingiustificatamente alti. Egli ha deciso da poco di aprire un nuovo ristorante presso la Galleria di Milano, dove il solo menù degustazione costa 190 euro.
Ammettiamolo, non proprio alla portata di tutte le tasche. Esso da diritto, comunque, a: un’insalata russa caramellata; una crema di ricci di mare, rose rosse, moscato e prezzemolo; un crudo di dentice, lime e caffè; un gambero viola in zuppa di grano saraceno, whisky e vaniglia; un uomo di montagna al vapore e tartufo nero; ravioli di patate, salsa d’ostrica e caviale; riso mantecato alla zucca e curcuma, calamaretti e noccioli d’oliva; faraona all’arancia, broccoli e cavolfiore; champignon gratinato al midollo e vino rosso con polenta bianca di Marostica; crema di mango arrosto, limone e foglie e freddo di mandorla, piselli e menta.
Quanto alle singole pietanze, si va dai 42 ai 70 euro per un antipasto, passando per una media di 45 euro per un primo, 56-110 per un secondo di pesce, sui 45 per un secondo di pesce e 35-50 euro per un dessert.
Troppi? Il giusto? Prima di rispondere, sappiate che parliamo di una stella Michelin, dopo che una gli è stata sottratta l’anno scorso, ragione per cui Cracco, pur amareggiato, promette di rimettersi in gioco.
Il moralismo sul web
Sul web si grida allo scandalo. “Dal paninaro sotto casa mia con 1 euro e cinquanta mangi meglio” e “non è giusto fare prezzi così alti, mentre c’è gente che muore di fame”. Un film che abbiamo già visto in diverse occasioni, con il solito scontrino pubblicato su Facebook, Instagram o Twitter da parte di qualche cliente, che lamenta di avere spesso un occhio della testa solo per un caffè o un aperitivo a Piazza di Spagna a Roma o Piazza San Marco a Venezia.
E giù con i soliti commenti: “in Italia poi dicono che i turisti scappano” e perle di saggezza di questo tipo. Per la cronaca, la pizza di Cracco, oltre a suscitare sdegno di quanti l’abbiano solo vista in foto ha anche il torto di costare 16 euro. Così tanti per “una schifezza”?
Non sappiamo se lo chef proponga prelibatezze degne del prezzo richiesto, ma di una cosa siamo sicuri: non costringe nessuno a recarsi nel suo locale e a ordinare piatti che non si è in grado di o non si vuole pagare. Così come nessuno punta a un turista la pistola alla tempia a Piazza San Marco per costringerlo a spendere decine di euro per un caffè o un aperitivo.
E’ il libero mercato, bellezza! Esso si regge su domanda e offerta. Se Cracco non avesse molti clienti nei suoi locali, avrebbe dinnanzi a sé due alternative: chiudere o abbassare i prezzi. In questo secondo caso, si trasformerebbe in qualcosa di diverso da quello che attualmente rappresenta. Viceversa, se trovasse tanti a pagargli anche solo un uovo alla cocca 1.000 euro, non si vede per quale motivo non dovrebbe approfittarne.
Se un consumatore ritiene che abbia senso spendere ben sopra la media per acquistare un prodotto e/o usufruire di un servizio, è libero di farlo, purché non danneggi nessun altro. Del resto, se si va da uno chef stellato è per provare un’esperienza diversa da quella che ordinariamente si sarebbe in grado di vivere presso la trattoria “Da Zio Franco” dietro l’angolo.
Non è detto che tutti i clienti di Cracco rimangano soddisfatti del suo menù, come avviene per ogni locale. In effetti, alcuni potrebbero decidere di non tornare e anche questo è il mercato. Può anche darsi che molti mettano piede in un ristorante stellato solo per il desiderio di trovarsi per qualche ora in un luogo diverso dal solito, assegnando valore non già solo e tanto al piatto in sé, quanto a tutto quello che sta intorno. Lo stesso motivo per cui si trova accettabile pagare diversi euro per un caffè a Piazza di Spagna. E’ il contesto a “legittimare” la nostra preferenza.
Moralismo fuori dalla cucina
Un concetto sconosciuto a molti italiani, a quanto pare, è quello della differenza tra prezzo/costo e valore. Commentando i 16 euro della pizza Margherita di Cracco, sui social prevale l’analisi dei costi delle materie prime, come se un piatto fosse il semplice assemblaggio di ingredienti e il suo valore dovesse rispecchiare obbligatoriamente i relativi costi, maggiorati di un margine contenuto.
Non è così, sia per quanto sopra spiegato, sia perché non tutti i costi risultano perfettamente e immediatamente osservabili.
Se applicassimo alla lettera, d’altronde, il concetto per cui il prezzo di un bene o di un servizio dovrebbe rispecchiarne essenzialmente i costi di produzione/erogazione, metteremmo in dubbio, in molti casi, l’esistenza del comparto lusso, che è trainante per il made in Italy. Dovremmo ammettere che poco senso avrebbe spendere molto denaro per acquistare un capo di alta moda o un’auto sportiva e di grossa cilindrata, visto che per vestirsi e sfrecciare in strada ci basterebbe molto meno.
Ma evidentemente assegniamo valore a certi prodotti per caratteristiche intrinseche o sulla base di percezioni sociali, andando oltre la semplice osservazione del costo o includendo in esso tutta un’attività di ricerca e investimenti alle spalle non sempre facilmente comprensibile.
Se per sfornare una pizza originale ho dovuto compiere mesi di tentativi e trascorrere molto tempo prima di arrivare a una soluzione gradita e gradevole, ho sostenuto un costo, vuoi anche solo in termini di alternative d’impiego, che è normale digitare nello scontrino. In sostanza, anche in cucina si fa ricerca, si innova, si fallisce e si investe. E’ un business, che andrebbe sottratto dai paraocchi del moralismo, che in Italia è forse il settore più sviluppato e tendenzialmente con maggiori prospettive. Lasciate che Cracco cucini tutte le “schifezze” che vuole. Beato lui che riesce a farci tanti soldi. Con le ricette della nonna sarebbe rimasto un anonimo e modesto cuoco di campagna.
P.S.
Alle Cesarine ci permettiamo solo di far notare che a danneggiare il made in Italy non è chi investe, si scommette e innova, bensì chi vende prodotti scadenti, chi mette in pericolo la sicurezza alimentare dei consumatori e chi imita i prodotti originali, truffando il mercato.
Schiaffo al made in Italy, cosa mangeremo senza saperlo.
Giuseppe Timpone