MILANO – Locali e cafè comunitari che offrono socialità e cibo buono a tutti e sfidano l’assistenzialismo tradizionale delle mense per i poveri: un nuovo capitolo che si dipana tra costume e società. Non sono i comedores populares, gli straordinari gruppi autogestiti di cucine collettive diffusi a Lima durante negli anni Ottanta per sostenere i più impoveriti (è una delle esperienze raccontate e analizzate da Raúl Zibechi in «Territori in resistenza», Nova Delphi), ma locali di ristorazione diversa presenti in tante città degli Stati uniti, da Denver a Santa Fe, da Berkeley a Chicago, passando per San Francisco o Portland, solo per citarne alcune (un elenco, in continuo aggiornamento, lo trovate su shareable.net). Pur tra inevitabili limiti e contraddizioni, si tratta di un fenomeno importante, piuttosto eterogeneo – alcuni locali sono parte di un franchising – e in crescita, in un paese nel quale ormai una famiglia su sei si trova ad affrontare l’insicurezza alimentare. Chissà se Obama ha parlato anche di questo con il papa.
Utilizzando lo slogan “Take what you need, leave your fair share” (prendi quello che ti serve, lascia la tua parte equa”) è nato ad esempio il Panera Cares caffè di Clayton, stato del Missouri. In questo bar non commerciale, circa il 60 per cento dei clienti paga il prezzo suggerito, il 20 per cento paga qualcosa in più, il resto paga di meno o niente, molti mettono a disposizione del proprio tempo-lavoro. Insomma, il bar sembra fare propria la logica del “caffè sospeso”, da poco rilanciato a Napoli e in altre città, o del “pane in attesa” proposto da alcuni forni a Messina. In ogni caso, gli incassi complessivi, assicurano i responsabili del Panera Cares caffè di Clayton, sono sempre sufficienti a coprire i costi del lavoro e delle forniture. Il bar è noto anche perché non ci sono cassieri e neanche registratori di cassa, ma solo alcuni contenitori colorati sul bancone per raccogliere i pagamenti. Naturalmente, caffè e biscotti, zuppe e insalate, sono distribuiti in un clima di calorosa e sobria accoglienza.
Un altro caffè-ristorante di questo tipo è presente a Denver, in Colorado, e si chiama “Same” (So all may eat, “così puoi mangiare tutto”): qui i clienti possono scambiare un’ora di servizio con un pasto o con una sorta di “moneta locale”, ma ovviamente possono anche pagare con denaro o con donazioni di prodotti naturali. Esistono prezzi trasparenti suggeriti e ognuno contribuisce secondo quando può o ritiene giusto. Il primo obiettivo, dicono i promotori, resta trattare le persone con dignità e cucinare cibo di qualità per tutti, “rifiutiamo l’idea che solo un’élite debba mangiar bene“.
Di seguito, un breve video sul Same cafè di Denver. Qui il menù è composto da prodotti freschi, di filiera corta e biologici, cucinati da gruppi di persone che lavorano gratuitamente. Ogni giorno vengono preparati e distribuiti in questo modo centinaia di pasti. Una scritta in legno all’ingresso dice: “Be the change that you wish to see in the world” (sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo), Gandhi.