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venerdì 22 Novembre 2024
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Cosimo Finzi, Astraricerche: “Il caffè ha spazi di crescita anche in Italia: soprattutto tra i giovani e in quel 15,3% che lo beve poco”

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BELFORTE DEL CHIENTI (Macerata) – La serie di interventi che hanno caratterizzato la giornata di convegno sul futuro del caffè organizzato nella sede del Campus di Simonelli Group, dal Consorzio promozione, è stato aperto dalla relazione di Cosimo Finzi, direttore dell’Istituto ricerche aziendali Astraricerche.
Sono stati presentati una serie di studi che funzionano come bussola per orientarsi nel settore, per interpretare meglio gli scenari verso cui andremo incontro nel breve e nel lungo periodo.
Gli italiani e il caffè, un rapporto imprescindibile. I consumatori però diventano sempre più esigenti. Quale impatto hanno le aziende sull’ambiente e come presentarsi in maniera più responsabile, seguendo i criteri di sostenibilità?
A questi link, gli altri interventi: qui, qui e qui.

Finzi inizia con i dati sugli spazi di crescita

“Abbiamo svolto in questi anni tante ricerche sul mondo del caffè. La più recente, di poche settimane fa, cerca di toccare diversi punti fondamentali. Se torniamo indietro a 15-20 anni or sono, il rischio che il caffè subisse lo stesso effetto che abbiamo visto su altri prodotti, cioè di entrare in una spirale negativa nell’essere considerato una droga o una cosa da evitare, c’era. Partiamo proprio da qui.
Non è cambiato il numero di italiani che consumano il caffè soprattutto negli ultimi anni: restiamo intorno al 97% di italiani che lo bevono anche nelle ricette che lo contengono. Manteniamo quindi l’attenzione sempre alta per evitare la demonizzazione della bevanda e in un più o meno rapido cambiamento degli stili di consumo.
Quindi, se quello che non è cambiato di fatto è la quantità di consumatori in Italia, dobbiamo osservare la frequenza con cui lo bevono. Nonostante il caffè sia molto diffuso, abbiamo ancora spazi di crescita persino in Italia: circa 3 italiani su 4 consumano caffè ogni giorno. Quindi abbiamo ancora uno spazio di crescita: ad esempio il 15,3% che lo consuma 2-3-4 volte alla settimana.

Ci interessa mostrare il dato a livello di fascia di età

Se le differenze per genere sessuale non sono particolarmente forti in termini di frequenza, così come non lo sono per le aree geografiche o per i centri abitati, si nota invece una differenza sostanziale per le fasce d’età. In particolare dopo i 34 anni, la frequenza è assolutamente stabile.

Già tra i 25 e 34 anni la frequenza di consumo del caffè cala di 10 punti al 69% mentre e tra i 18 e i 24 anni abbiamo una frequenza ancora più bassa, al 55%.

Una riflessione: bisogna un po’ dividere il concetto della fascia d’età da quello di generazione

E’ anche normale che un giovane che sta finendo di studiare e si sta affacciando sul mercato del lavoro, abbia meno occasioni di consumo, debba ancora sviluppare il suo gusto rispetto al caffè.
Potremmo vedere questo non come un problema, perché i ventiquattrenni, crescendo assumeranno il comportamento di chi ha già 34 anni. Il vero problema invece è che forse questo è un fatto generazionale: ovvero che la generazione o meglio la fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, non si allontani dal mondo del caffè, percependolo come qualcosa di non molto rilevante nella propria vita.
In particolare questi dati indicano, rispetto alle altre fasce di età, che al caffè si attribuisce molto meno piacere, piuttosto gli si attribuisce un grande valore funzionale. Quindi una bevanda che li sveglia la mattina e fa ritrovare la forza mentale durante la giornata. Se abbiamo una generazione che si allontana dal concetto di piacere, dalla percezione delle differenze tra una miscela e l’altra, stiamo perdendo tanto di quelle che sono le possibilità future.

Presentiamo un modo per raccontare cosa sia il caffè in Italia oggi:

su 100 caffè che le persone consumano in Italia, nel loro ricordo, esattamente 50 sono a casa. Metà a casa, metà fuori casa: il bar come luogo fondamentale anche a livello simbolico e valoriale per il 14.2%, ma anche il luogo di lavoro, 12.2%. Inevitabilmente tutto ciò è molto legato alla fascia di età e meno all’area geografica.
I distributori automatici sono al 5.7%, più o meno un caffè ogni 16 viene indicato come acquistato lì. Il ruolo rilevantissimo però resta quello del bar.
Soprattutto andando avanti con gli anni, superati i 55, casa propria diventa ancor più rilevante, mentre al contrario per i giovanissimi, dopo i 35 anni il luogo di lavoro o di studio diventa più importante.
Per tutte le fasce d’età però si conferma che il fuori casa e il consumo domestico sono più o meno alla pari.

Un’altra osservazione rispetto alla classe sociale

Molte ricerche si basano sul reddito di una famiglia, un indicatore statistico un po’ debole. Noi invece chiediamo la classificazione sociale, cioè come si sentono e la loro capacità di spesa. Procedendo così si scopre che il consumo in casa è più forte presso chi ha una capacità di spesa inferiore e quindi cerca di usare delle soluzioni per un costo minore della tazzina.

Modalità e preparazione: mostriamo più la preferenza a livello di variazione temporale, il sorpasso delle capsule

Quello che è successo nelle ultime ricerche è che, per quanto riguarda le modalità utilizzate per preparare il caffè, già due anni e mezzo fa abbiamo visto il sorpasso delle capsule.
Se ci concentriamo sul modo preferito di preparazione, quello che si ama di più quasi a sentimento, l’andamento è chiaro: parliamo di solo tre anni, dal 2020 al 2023, e la moka è passata quasi dall’essere quasi alla pari con la macchina a capsule e cialde (37% a 39% e mezzo) al 28.8. Questa forbice che prima era soltanto di 2.3% e ora è di 14 punti percentuali. E in poco tempo.
Questo è ancor più forte rispetto all’utilizzo o alla presenza in casa di questi sistemi. E’ una grande trasformazione valoriale. In controtendenza, la macchina espresso automatica sale dal 14.7%. Piccoli passi.

Un aspetto interessante per quanto riguarda ancora le fasce d’età

Piccola premessa: per quanto riguarda l’aspetto del genere sessuale non c’è molta differenza, piace ancor di più alle donne la macchina a capsule ma non importa.
Il punto fondamentale è un altro: l’uso della moka, è vero che cresce con l’età, ma presso i più giovani, è stata indicata la moka come metodo preferito per preparare il caffè a casa. 
Questo è fondamentale: perché se è vero che con le nuove generazioni dobbiamo recuperare con urgenza il valore e il piacere del caffè, il fatto di vedere che ancora uno strumento più tradizionale, associato a un certo tipo di storia, sia così alto, è un buon indicatore. Il buon bilanciamento tra i due sistemi più in voga è un buon segnale per il futuro.
Per i più curiosi, nel Triveneto, si va un po’ in controtendenza perché è la sola area geografica in Italia che indica come preferita più la moka rispetto alla macchina a cialde e capsule.

Il grande ruolo del bar: lì consuma caffè un italiano su 7

Circa un caffè su 7 nel dichiarato degli italiani viene consumato al bar. Il bar è un piccolo rito per il 35.6% degli italiani, si conferma come luogo di incontro, di affezione e di relazione come le ricerche del passato avevano detto.
Il caffè del bar è il preferito, il più buono per il 30%.

Lo vedo come un dato un po’ basso: se dobbiamo pensare ad altri canali e prodotti, quando si va in un luogo più specializzato rispetto a casa propria, ci si aspetta di meglio.

Quindi, il bar resta il luogo di affezione e subito dopo la pandemia siamo tornati a rifrequentarlo come prima, ma solo il 30% afferma che il caffè più buono che beve è al bar.
Il 10% ha detto: da quando c’è stata la pandemia ho più voglia di caffè. Il caffè è un aspetto simbolico e valoriale, che porta al concetto di stare assieme, della pausa, del relax, della condivisione.

Vediamo gli ultimi aspetti: luogo d’acquisto

Non stiamo parlando di volumi, di quantità di chili di caffè e nemmeno di valori, cioè di milioni di euro. Stiamo parlando di quante persone almeno una volta nell’ultimo anno, hanno comprato il caffè attraverso uno di questi canali.
E’ ovvio che al supermercato si compra il caffè 10 volte in un anno, mentre magari in torrefazione una volta in 365 giorni. Il 91.2% si reca nel retail classico e fisico (supermercato, ipermercato, discount) o nei negozi specializzati (grande differenza, 72.8 o 28.8) oppure in torrefazione (12%). Nella parte online è stata fortemente indicata il sito generalista, di cui il grande nome per esempio è Amazon (1 su 4 sono lo hanno utilizzato) o in parte minore su alcuni sui siti specialistici di un distributore specializzato.
Alla fine, poco più di un italiano su 3 dichiara di aver acquistato più o meno spesso nell’ultimo anno il caffè, tramite il canale online. Il trend è quello che conosciamo dalla pandemia in poi ed è in crescita, anche se non più così impetuosa.

La differenza tra le fasce di età non è più così vera:

L’online decresce all’aumentare dell’età, ma non crolla. Come sappiamo uno dei grandi portati della pandemia è la digitalizzazione di quella parte delle persone che, superati i 50 anni, si è abituata a utilizzare tutto ciò che riguarda gli acquisti.

Sostenibilità e impegno: si vede meno quello sociale

Leggo la domanda che abbiamo posto per fare comprendere il concetto: parliamo dell’impegno che le aziende possono avere per produrre/vendere i propri prodotti in modo responsabile e sostenibile e dare maggiore valore ai consumatori.
La domanda quindi era: secondo lei le aziende che producono e vendono caffè negli ultimi anni, si sono impegnate in questi ambiti?
Ogni intervistato poteva rispondere per le 5 aree indicate con: molto, abbastanza, così così, per niente, non lo so.
L’area più verde in cui il consumatore ha percepito un maggiore impegno, è quella dell’innovazione di prodotti e delle miscele, e della comunicazione chiara: innovazione e comunicazione chiara sono molto importanti, lo sappiamo, per il consumatore. Ma una crescita della rilevanza molto evidente è legata all’impatto sociale e ambientale, le parti ESG.
Qui le percentuali sono decisamente più basse. In particolare, la riduzione dell’impatto ambientale dovute alle confezioni: il 25% dice molto, ha indicato un grande impegno dall’industry, il 36% dice abbastanza, il 60%-61%-62% che percepisce un impegno vero nella riduzione dell’impatto ambientale dovuto al processo produttivo e di trasporto perché il caffè non è nostro e non arriva dall’Italia, quindi siamo sotto il 70%.
Infine, un italiano su 2 dice di sì all’attenzione dei lavoratori. Il problema non è il criticare del 13% ma l’amplissimo 16% che dice: non so, non so valutare. Dunque il cittadino vede in maniera positiva maggiormente l’innovazione di prodotto e  di comunicazione, meno quella ambientale e decisamente meno quella sociale.
Perché è un problema? Arriviamo al punto.
Abbiamo poi proposto tre impegni: scegli il primo che ti aspetti dalla filiera dei caffè. Ambientale, sociale-economico per garantire la giusta retribuzione e poi i giusti diritti dei lavoratori.
Il primo è al 50% (la somma dei primi due) e non è per niente ovvio, dato che soltanto due anni prima la situazione era diversa: la rilevanza sul versante ambientale è andata giù di 6 punti, quindi la forbice tra la somma del secondo e del terzo (quello di tipo sociale) e il primo, prima era di 13 punti percentuali e di fatto si è ridotta a 0.
Perché è andata a crescere notevolmente l’attenzione verso i diritti dal 16.7% al 28.4% e si è ridotta quella che è la priorità dell’impatto ambientale.
Questo è un piccolo paradosso: nell’arco di due anni è cresciuta l’attenzione sociale, ma è anche tra le ultime cose percepite.
E’ un trend generale. Il cittadino italiano ha imparato che la sostenibilità non è soltanto ambientale. Negli ultimi 5-6 anni, per l’effetto anche della pandemia che ha indebolito le nostre economie e l’invasione dell’Ucraina che ha determinato tensioni sul lavoro, ha determinato una maggiore attenzione all’aspetto sociale, quasi raggiungendo la sensibilità a quella ambientale.
Quindi il consiglio a chi si occupa di creazione delle politiche di implementazione delle politiche di sostenibilità e nella loro comunicazione è una forma di nuova attenzione a quella sociale dei lavoratori, a livello di effettiva e concreta attenzione o a livello di comunicazione.”
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L’ingresso del Campus Simonelli (immagine concessa)
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