MILANO – Produrre biodiesel dagli scarti del cacao fornendo un combustibile ecologico alle comunità rurali e rafforzando la filiera di questa soft commodity. La tecnologia è stata sviluppata dall’Università di Nottingham. Bio Rural Energy Scheme, questo il nome del progetto, usa i gusci dei chicchi di cacao – spesso sottoutilizzati, se non scartati – per generare elettricità e portarla proprio dove essa non è disponibile.
Come spiega Roberta de Carolis su greenMe, il meccanismo parte dalla caratterizzazione di quattro diversi tipi di baccelli di cacao; comunemente coltivati in sei regioni del Ghana. Scopo: il loro uso come biocarburanti.
Esso prevede quindi l’inserimento dei gusci di scarto in un sistema di gassificazione. Quest’ultimo comprende un gassificatore, un gruppo elettrogeno diesel da 5kWe, un essiccatore solare e un’architettura che produce pellet (biodiesel generato di norma da materia organica o biomassa), dal costo unitario di circa 45.000 euro.
“Il Ghana è il secondo produttore mondiale di cacao al mondo. E ogni tonnellata di semi di cacao raccolti genera 10 tonnellate di gusci di baccelli” spiega Jo Darkwa, coautore dello studio.
“Studi di fattibilità indicano che i gusci di baccelli di cacao potrebbero essere convertiti in preziosi biocarburanti. Un importante approvvigionamento energetico per le aree rurali che attualmente hanno solo il 15 per cento di copertura elettrica. In caso di successo, questa nuova infrastruttura di bioenergia sosterrebbe l’obiettivo del governo del Ghana per l’accesso universale all’elettricità entro il 2030”.
Un progetto più vasto
Il progetto è sostenuto dal governo britannico e appare una lodevole iniziativa che mira al riciclo. Nel programma dei ricercatori è previsto anche lo sviluppo di linee guida per la generazione di bioenergia su vasta scala e la loro integrazione nelle comunità rurali; così come indagini sulle percezioni di chi beneficerebbe del progetto, lo sviluppo di comunità cooperative e strutture di governance per le regioni produttrici di cacao.
E in generale, secondo le stime dei ricercatori, l’iniziativa porterebbe anche molti posti di lavoro locali generati dalla raccolta e il trasporto, il trattamento, la conservazione e la lavorazione di questo sottoprodotto potenzialmente redditizio. Promettendo di diventare un modello di cooperazione energetica comunitaria che punta a ridurre la povertà.