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Così un consumo moderato di caffè agisce positivamente sulla salute

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MILANO — Cosa fa del caffè, se consumato moderatamente, un toccasana per la nostra salute? Per spiegare le mille virtù della bevanda è necessario, innanzitutto, analizzare il contenuto del chicco, le trasformazioni che esso subisce nella tostatura e il modo in cui il caffè viene estratto a seconda del metodo di preparazione prescento. Cominciamo dalla classificazione botanica.

Il caffè è una dicotiledone appartenente alla famiglia delle Rubiaceae e al genere Coffea, che comprende numerose specie.

Esplorazioni e ricerche hanno portato alla scoperta e descrizione di centinaia di specie spontanee rendendo piuttosto ardua la classificazione del genere Coffea. Dal punto di vista commerciale solo il subgenere “Coffea” e le specie “arabica” (con le sue varietà selezionate) e “canephora” (varietà: robusta) hanno importanza economica e vengono coltivate nei principali paesi produttori.

Le specie “liberica” e “excelsa” hanno importanza economica molto inferiore.

Che cosa contiene

  • Il chicco di caffè contiene 900 sostanze diverse tra proteine, lipidi, carboidrati (solubili e insolubili), minerali, vitamine, polifenoli. Le proteine si perdono con la tostatura; le cere e i grassi vengono trattenuti dai filtri utilizzati nelle preparazioni (tutti); il saccarosio diventa parte dei composti volatili che danno l’aroma; le cellulose vengono trattenute per lo più nei fondi. I minerali, come il potassio, restano invece in soluzione.
  • La tostatura aumenta il potere antiossidante complessivo del caffè, grazie alla formazione di un fitocomplesso che comprende l’acido clorogenico. Una volta ingerito, l’acido clorogenico si trasforma in acido caffeico, ad alta biodisponibilità (95%). In 100 ml di caffè (due tazzine) si possono ritrovare fino a 250 mg di acido clorogenico.
  • Il caffè è però bevuto soprattutto per il suo effetto “tonico”, dovuto alla caffeina, presente all’1,2% in media nei chicchi di Arabica e al 2,0% nei chicchi di Robusta. La preparazione influisce sulla quantità di caffeina presente in tazzina: da 50 mg/35 ml nell’espresso a 120 mg/50 ml nel caffè della moka; un caffè lungo contiene più caffeina di un ristretto. L’Efsa ha stabilito che l’assunzione di caffeina fino a 400 mg/die (circa 5 espresso), nel corso della giornata, non pone problemi di sicurezza per gli adulti sani della popolazione generale, fatta eccezione per le donne in gravidanza. Nei soggetti sensibili 100 mg di caffeina in un’unica soluzione (soprattutto se consumati poco prima di dormire) possono influire sulla durata e sulla qualità del sonno.

Caffè e salute

Gli studi sul caffè hanno messo in luce le caratteristiche positive consumo costante e moderato (3-4 tazzine/die):

  • Diabete di tipo 2. Secondo una metanalisi di 28 studi, i consumatori abituali di caffè (uomini e donne anche in post-menopausa) hanno un rischio inferiore di diabete di tipo 2 fino al 25%.
  • La correlazione inversa tra consumo di caffè e rischio di Parkinson è dimostrata per gli uomini, ma non in tutte le donne: in post-menopausa, chi assume o ha assunto una terapia estrogenica sostitutiva sembra non fruire dell’effetto protettivo (dati statunitensi).
  • Malattie cardiovascolari. Il consumo di caffè fino a 5/6 tazze/die riduce (e non aumenta, come si riteneva) il rischio di eventi cardiovascolari come l’infarto. Se preparato con filtro, moka, espresso, non altera il profilo lipidemico (colesterolemia).
  • Malattie gastrointestinali. Il caffè favorisce lo svuotamento della cistifellea, ma deve essere limitato in caso di gastrite, ulcera, reflusso, diarrea.
  • Malattie del fegato. Il consumo abituale di caffè protegge il fegato in generale, soprattutto nei soggetti ad alto rischio di carcinoma epatico. Nel caso della cirrosi, la protezione sembra manifestarsi nei confronti della cirrosi alcolica, ma non di quella non alcolica.
  • A oggi, non sono emerse correlazioni significative (protettive o di aumento del rischio) tra consumo moderato di caffè e tumori.
  • Mortalità totale. Il consumo moderato di caffè risulterebbe inversamente correlato con il rischio di mortalità per cause cardiovascolari e per tutte le cause.
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