domenica 22 Dicembre 2024
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Ecco come un bar che fattura 200 mila € può renderne meno di 800 al mese

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MILANO – Un’attività apparentemente redditizia – come un bar o una pasticceria – può ritrovarsi a chiudere perché i margini sono talmente esigui da far sì che risulti impossibile far fronte al pesante carico fiscale. Un caso concreto – relativo a un esercizio commerciale della Toscana – viene raccontato in un’analisi, a firma di Alessio Bini, apparsa su scenarieconomici.it, che vi proponiamo di seguito.

E poi li chiamano evasori. I benpensanti chiedono come facciano i negozianti e gli artigiani a stare aperti, quando guadagnano meno dei loro stessi dipendenti. Dicono che per forza facciano nero.

Ma quando c’è di fronte un caso concreto, anche il più ottuso si deve rendere conto che le tasse sono davvero insostenibili e i piccoli imprenditori sono davvero degli eroi.

Una pasticceria toscana, nemmeno troppo piccola, ha messo a disposizione i suoi bilanci per capire come mai, nonostante il lavoro, abbia dovuto chiudere.

Aveva anche il reparto bar e 4 dipendenti più il titolare. 210mila euro di incassi. Niente male, in tempi di crisi.

Di questi 210mila euro, solo 118mila dalla pasticceria e dal bar, 79.756,00 dai servizi di catering e 8mila dai buoni pasto. E per arrivare ai 210mila euro di entrate, ci sono le rimanenze di magazzino: 5mila euro! Il primo problema, infatti, è che c’è uno scollamento tra il Bilancio contabile e la vita reale. Questa pasticceria se l’è cavata soltanto con 5.000,00 € di Rimanenze finali. Ma ci sono attività con utile reale pari a zero e un magazzino di 30.000,00 € o più, che le fa sembrare in utile. E’ dal 1992 che le Rimanenze sono considerate un guadagno. Prima di allora erano un costo, come è normale che sia. Per gli esperti e per gli amanti dei paroloni, si tratta della riclassificazione del Bilancio al valore della produzione, anziché al valore del venduto.

Al netto dei costi, alla fine l’utile risultante è di 26.149,00 €. Se fosse così, il titolare avrebbe lavorato per 2.149,00 €. Ma così non è. Togliamo i 5.000,00 € di rimanenze finali: 21.000,00 € di utile.

Poi bisogna pagare le tasse!

Irpef                     € 5.823,49
Add.le regionale     € 373,94
Add.le Comunale    € 156,90
Irap                      € 3.531,01
Inps Titolare          € 2.800,00
Totale                   € 12.685,34

L’utile rimasto, alla fine, è di 9.114,44 €, ovvero 759,54 € al mese, senza tredicesima, senza TFR, senza malattia, né ferie. Questa è la vita di molti negozianti e artigiani.

Se fosse stato un investimento di capitale, la pasticceria avrebbe reso appena il 4,5% e sarebbe considerato un investimento ad alto rischio. Nessun investitore sano di mente avrebbe rischiato il proprio capitale per il 4,5%. Mentre il nostro pasticcere ha rischiato tutto il suo capitale e ci ha messo pure il lavoro e, alla fine, ha dato lavoro per anni a 4 dipendenti. Ecco perché i piccoli imprenditori sono degli eroi.

Le tasse però vanno pagate, sotto qualsiasi nome si presentino. Alle 12.685,34 € vanno aggiunti 21.000,00 € di Iva al 10% e poi 10.067,00 euro di contributi ai dipendenti: totale 44.098,50 €!

Molti diranno: ma l’Iva è una partita di giro.

No, se l’incasso della pasticceria fosse diminuito di appena il 10%, il titolare si sarebbe trovato costretto a scegliere se pagare l’Iva o l’affitto, gli stipendi o i fornitori.

Molti altri diranno: ma i contributi ai dipendenti vanno pagati, se no lo Stato non può garantire loro la pensione e i servizi sociali. No, perché lo Stato non deve funzionare come una compagnia assicurativa privata che incassa e poi paga. Lo Stato deve essere il garante ultimo e prima della crisi funzionava così. In ogni caso, se gli incassi non fossero stati sufficienti, il nostro pasticcere come avrebbe potuto pagare i contributi dei dipendenti?

Riassumendo: 210.434,00 € ricavi totali, 797,10 € di incasso giornaliero, dei quali solo 34,50 € per lo stipendio del titolare per arrivare a totalizzare la fantasmagorica cifra di 759,00 € al mese.

Ovvero sui 22 giorni aperti al mese, soltanto uno va al titolare.

Ma attenzione: niente è sicuro. Se gli incassi scendono a 760,00 €, quel giorno niente stipendio per il titolare. Basta qualche caffè e qualche budino di riso in meno, per vedersi sfumare lo stipendio.

Se poi gli incassi scendono a 700,00 €, il titolare deve scegliere se rimettere in cassa 50,00 €, oppure se non pagare un fornitore, un dipendente o non pagare il Fisco. Ovviamente, sceglierà l’unica voce rimandabile, ovvero il Fisco.

Questo imprenditore, per l’attuale Governo, è un evasore che rischia il carcere, perché è facile in un’attività così accumulare più di 50mila euro di tasse non pagate. Basta andare in crisi un anno. Poi ci pensa Equitalia (che oggi si chiama “Agenzia delle Entrate e Riscossione”) a raddoppiare la cifra, con interessi, aggi e more.

Per il Dizionario Treccani, un evasore è «chi si sottrae in tutto o in parte all’obbligo tributario, mediante l’occultamento di imponibili o di imposta». Non è evasore chi dichiara tutto e poi si trova nell’impossibilità di pagare, perché le tasse sono insostenibili. Questo è un caso concreto, verificabile e comune a moltissimi negozianti o artigiani.

Naturalmente, il nostro pasticcere si è dovuto barcamenare tra gli incassi che andavano su e giù e dopo 10 anni di crisi, non poteva continuare a vivere con 759,00 € mensili. Ha accumulato cartelle Equitalia ed è riuscito a vendere la propria pasticceria alla fine del 2018, sperando che vada meglio al nuovo proprietario. Molti altri hanno dovuto semplicemente chiudere, senza un’alternativa di lavoro.

Alessio Bini

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