MILANO – La Cina riapre lasciandosi improvvisamente alle spalle la drastica politica zero-Covid, che aveva caratterizzato il suo approccio all’emergenza pandemica per quasi 3 anni. Nel dicembre scorso, Pechino ha smantellato progressivamente le restrizioni alla mobilità interna e allentato i rigidi protocolli sin qui vigenti: niente più lockdown per le zone ad alto contagio, possibilità per i positivi di trascorrere la quarantena in casa.
In una parola, il governo cinese ha deciso di voltare pagina e iniziare, come nel resto del mondo, a convivere con il virus, che ha oggi un tasso di mortalità nettamente inferiore.
L’intento è ora quello di far ripartire l’economia, pesantemente penalizzata dalle forti limitazioni degli anni trascorsi.
La transizione non sarà però facile. La riapertura ha portato infatti a un boom di positivi, che ha spaventato il resto del mondo. Pochi i dati a disposizione. Ma, secondo uno studio dell’Università di Pechino, circa 900 milioni di persone (il 64% della popolazione) sono state sin qui contagiate dal Covid.
In testa alla poco invidiabile classifica delle aree maggiormente colpite c’è la provincia di Gansu, dove il 91% della popolazione risulta infetto, seguita da quelle di Yunnan, massima area di produzione del caffè cinese (84%), e Qinghai (80%). Secondo gli esperti, il picco dei contagi durerà per altri 2-3 mesi.
Rendendo difficile la ripartenza un po’ in tutti i settori, a cominciare da quelli dei servizi: dettaglio e pubblici esercizi in testa. Molte aziende sono state costrette a chiudere temporaneamente o a ridimensionare le proprie attività avendo la maggior parte del personale in quarantena.
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