CHIETI – Una famiglia, un caffè, una storia. Il nome è quello della famiglia d’Orazio. L’insegna quella del Gran Caffè Vittoria di Chieti. Un locale con una storia quasi secolare – la sua nascita risale infatti al 1920. Trent’anni fa l’acquisizione da parte di Roberto d’Orazio, deceduto nel 2015.
A gestire il locale sono oggi le tre figlie Gabriella, Renata e Mariangela. Così come racconta un bell’articolo apparso sul sito del quotidiano Il Centro, a firma di Giuseppe Rendine, che vi proponiamo quindi di seguito.
Caffè Vittoria, un pezzo di storia italiana
«Era il mio compleanno. Papà tornò a casa e comunicò di aver comprato il Caffè Vittoria. Ci guardammo in silenzio. E, in un primo momento, non sapevamo davvero cosa dire». Trent’anni dopo, Gabriella D’Orazio ricorda con commozione quel giorno. Un giorno particolare per suo padre Roberto, venuto a mancare tre anni fa, e per l’intera famiglia.
Sotto i portici di corso Marrucino, con la sua insegna storica e gli arredi d’epoca, rappresenta una sorta di marchio cittadino
Un prestigioso punto di aggregazione. Insomma, uno di quei posti in cui, come accade in tutti i centri di provincia, le notizie arrivano per prime ed escono per ultime. È così. Sin dall’apertura, nel 1920, con il nome di Caffé Roma che, dal maggio 1936, con la proclamazione dell’impero fascista, è appunto diventato Gran Caffè Vittoria.
La carta rosa
Oggi Gabriella, assieme alle sorelle Renata e Mariangela, gestisce l’attività nel solco di una vecchia tradizione familiare legata al mondo della pasticceria. «Ad iniziare furono zio Ettore e zia Maria in un laboratorio situato a Palazzo Martinetti che serviva prevalentemente le tante caserme cittadine.
Poi, la gestione della vicina sala Eden, cinema e biliardo, e l’apertura del negozio in vico San Ferdinando dove la figura di nonno Nicola, le bombe alla crema ed il panino con l’insalata russa sono rimaste ben impresse nella memoria di tanti studenti dei paesi della zona.
Ogni tanto qualche persona di una certa età me lo ricorda ed è motivo di grande orgoglio, legato ad una immagine, come quella della famosa “carta rosa” da noi usata da sempre per avvolgere i vassoi, che si è tramandata nel tempo rappresentando un po’ il simbolo del giorno di festa.
Mio padre iniziò a lavorare giovanissimo in pasticceria e non c’era occasione, dagli spettacoli teatrali ai matrimoni, dalle inaugurazioni ai convegni, nella quale, per diversi anni, non si era puntualmente presenti».
Papà Roberto
È il riassunto dei racconti in famiglia di papà Roberto fino a quell’ottobre del 1988 quando Gabriella, ormai adolescente, venne a sapere dell’acquisto del Gran Caffè Vittoria. «Per lui rappresentò un momento di crescita professionale ma, soprattutto, un atto d’amore verso la città cui era particolarmente legato.
Un affetto peraltro ricambiato. Ce ne siamo resi conto nell’estate successiva alla sua morte improvvisa, quando, ovviamente molto turbati, organizzammo comunque una serie di iniziative. Ci fu una splendida risposta e questo non lo dimenticherò mai».
Cordialità, cortesia, toni misurati e la capacità di trasmettere serenità al cliente in un’atmosfera d’altri tempi.
«È un piacere incontrarsi in un luogo civile ed elegante come questo», scrisse l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’affollato libro delle dediche che Gabriella custodisce gelosamente e dove Giorgio Albertazzi segnalò di trovarsi in un posto «dove la gente sorride e prende il tè come un tempo».
Ciak, si gira
Un luogo simbolo della vita di provincia, uno scenario imprescindibile se hai intenzione di raccontarla come ha fatto il regista Luciano Odorisio nel film “Sciopén” con Michele Placido e Giuliana De Sio.
E, sempre al Caffè Vittoria, spesso sede di ogni genere di appuntamento culturale, sono state girate anche diverse scene della serie televisiva “Processo di famiglia” con Renzo Montagnani e Alessandra Martines, e del film “Ambo” con Adriano Giannini e Serena Autieri. Al di là di tutto, non può che essere una grande passione ad accompagnare il quotidiano impegno della famiglia D’Orazio.
«A cominciare da mia madre Lucia, l’anima in senso assoluto di tutta la nostra attività articolata tra la pasticceria di vico San Ferdinando curata prevalentemente da mia sorella Renata mentre io mi occupo dell’aspetto commerciale del Vittoria assieme a Mariangela che segue la parte contabile. Spesso mi capita di lavorare dieci ore al giorno, abbiamo diversi dipendenti e bisogna essere al passo con i tempi tenendo sempre presente che, per poter dirigere un qualcosa, devi prima aver imparato a farlo. In fondo, le parole che i nostri genitori, sin da bambine, ci hanno ripetuto all’infinito».
Epicentro della teatinità
Passano gli anni, cambiano le abitudini, e quello che prima era un importante luogo di intrattenimento oggi rappresenta, con tutta la sua suggestione e l’indiscutibile posizione strategica, una vera e propria azienda al servizio della città.
Lì, sotto gli austeri portici di corso Marrucino, a pochi passi da palazzi della politica e dell’amministrazione, scuole, banche e dallo stesso Teatro. Nel tempo, un continuo viavai di ospiti illustri ma oggi incombe la necessità di confrontarsi con una nuova realtà. «Il centro storico», prosegue, «si è andato purtroppo spopolando e il movimento non è più quello di una volta.
Bisogna adeguarsi e stiamo lavorando parecchio con l’attività di catering, la ristorazione veloce e l’organizzazione di eventi». Uno sguardo attento al banco, una spunta al blocco delle prenotazioni mentre ci si prepara per un la presentazione di un libro nel pomeriggio.
Perché il Gran Caffè Vittoria, “Caffè storico d’Italia” che si prepara a festeggiare i cento anni di attività ma, soprattutto, emblema di una teatinità vissuta intensamente, non può deludere. Mai.
Giuseppe Rendine