MILANO – Dopo aver convertito gli inglesi dal tè al caffè negli anni Novanta, Costa Coffee, il secondo brand mondiale di caffetterie dopo Starbucks, punta ad espandersi in Cina e a diventare sempre più globale.
La catena è stata creata da due immigrati italiani, i fratelli Sergio e Bruno Costa, approdati in Gran Bretagna dal parmigiano negli anni ’60. Nel ’71 i Costa impiantano una torrefazione a Lamberth, nel centro di Londra.
Nel ’78 creano la prima caffetteria; annessa a una piccola trattoria. Poi crescono fino a creare una catena di 41 locali, che nel 1995 vendono per 23 milioni di sterline alla Whitbread, una multinazionale, il più grande operatore di pub e alberghi del Regno Unito.
Whitbread trasforma Costa in un colosso globale, che due decenni dopo conta oltre 2.000 punti vendita in tutto il mondo.
Nel 1995 il tè è ancora la prima bevanda degli inglesi. Ma ancora per poco. La trasformazione, trainata da catene come Starbucks e – per l’appunto – Costa, è già in atto.
Cambiamento epocale
È un cambiamento epocale: la globalizzazione, i voli low cost, che permettono agli inglesi di sperimentare caffè più appropriati, la diffusione dell’espresso, contribuiscono a far abbandonare la tradizionale colazione all’inglese, in favore dei ‘cibi’ e delle ‘bevande’ in movimento.
Il caffè diventa più cosmopolita, il cappuccino e l’espresso surclassano il tè. Sono decisamente bevande più globali e Costa è al passo coi tempi.
Nel 1995 Whitbread aveva stimato che il mercato del caffè inglese potesse lievitare da 55 a 600 milioni di sterline l’anno. Adesso quel mercato vale oltre 9 miliardi di sterline ed è solo una piccola parte del business della compagnia, che opera a livello globale.
Questa settimana, Whitbread ha ceduto alle pressioni di due activist investor.
E ha annunciato dunque lo scorporo di Costa dalle altre attività del gruppo nell’arco di due anni. Tra gli obiettivi: imprimere alla nuova società, che nascerà dallo spin off, un’ulteriore forte spinta verso l’espansione in Cina.
Paese che rimane il massimo consumatore mondiale di tè, ma dove i consumi di caffè sono in crescita. In virtù di quali dinamiche? In molti casi, le stesse che hanno agito in Uk e egli Usa.
Da un lato, il consumo on-the-go, con i bicchieroni per sorseggiare il caffè per strada o sul luogo di lavoro.
Dall’altro il successo del format caffetteria come terzo luogo di socializzazione, alternativo al lavoro (o alla scuola) e al focolare domestico. Con ambienti accoglienti e allestimenti di tendenza. E l’immancabile wifi al quale connettersi. A Shanghai, come a New York o a Londra.
Alessandro Galiani