MILANO – Eugenio Sini, esperto di sostenibilità e amante del caffè, racconta un’esperienza di studio all’IMA Green Coffee Academy. Breve e intenso momento formativo presso gli impianti di IMA Coffee a Sant’Agostino (Ferrara). Due giorni di approfondimento sul caffè verde articolati in un corso Green Coffee Foundation della Specialty coffee association (Sca) e in una sessione di prova dei prodotti IMA Coffee per la selezione e pulitura del caffè verde.
di Eugenio Sini
Il caffè verde, questo sconosciuto
Per chi, come me, non è addetto ai lavori, il corso “Green Coffee” SCA presso Ima Coffee è stato utile per comprendere le problematiche connesse con la produzione agricola del caffè: una pianta delicata – vulnerabile a malattie ed estremi climatici – e che presenta forti trade-off tra qualità e quantità della produzione.
Non solo. La coltura del caffè, dal suo habitat originario nel corno d’Africa, si è diffusa in tutta l’area tropicale spinta dalla violenza del sistema coloniale europeo e anche oggi, nonostante decenni di decolonizzazione, la produzione agricola del caffè è soggetta a logiche di sfruttamento globale che minano la sostenibilità ambientale e sociale delle piccole imprese agricole e in ultimo la qualità del caffè.
Le sessioni di cupping presso Ima Coffee hanno permesso di sentire la differenza qualitativa tra un prodotto rispettoso delle esigenze della pianta e dei contadini, sensorialmente più complesso e appagante, e un prodotto commerciale che trascura sia la sostenibilità della produzione sia il palato del consumatore finale, ovvero i due estremi della filiera caffeicola: sentori di gomma bruciata, terra e fenolico sono spesso nella tazza quando il torrefattore non si prende cura della qualità del caffè verde.
Tecnologie Ima Coffee per la qualità
Per fortuna la tecnologia corre in aiuto. Nella seconda giornata dell’Academy Ima Coffee, abbiamo potuto ammirare in funzione le macchine presenti nell’IMA Coffee Lab. In particolare le selezionatrici meccaniche ed ottiche sono state in grado di ripulire un’intera partita di caffè verde etiope dai chicchi neri, rancidi e difettosi nonché dai corpi esterni. Due distinte sessioni di cupping hanno permesso di apprezzare l’enorme differenza sensoriale tra la tazza di caffè originale e la tazza di caffè selezionato automaticamente.
Una precisazione: questo processo non permette di ottenere del caffè buono a partire da una partita di caffè cattivo, ma può senz’altro migliorare la qualità del prodotto finale eliminando difetti evitabili.
Ima Coffee, quantità VS qualità
Le due giornate presso Ima Coffee sono state molto formative e piacevoli, al netto della degustazione di caffè difettati. Ho avuto il privilegio di raccogliere informazioni direttamente dagli esperti più preparati e di ammirare, con lo stupore di un bambino, selezionatrici e tostatrici industriali in funzione. Mi resta tuttavia un dubbio relativo alla scala di produzione ottimale. L’impressione è che ci si trovi in un lock-in, ovvero una situazione in cui nessun attore di una filiera ha un vero incentivo a deviare dalla propria strategia nonostante la presenza di alternative disponibili. Una situazione che si vede spesso nelle industrie che stentano a lanciarsi nella transizione verso la sostenibilità.
Da un lato, mi sembra che i medio-grandi torrefattori siano gli unici che possano usare selezionatori meccanici/ottici pensati per trattare grandi volumi di caffè verde. Tuttavia essi non hanno un vero interesse a cambiare la loro strategia per puntare sulla qualità. Se lo facessero incorrerebbero in costi maggiori e applicherebbero un sovrapprezzo ai consumatori finali con il rischio però di alienarsi questi ultimi.
D’altro canto le piccole torrefazioni che puntano su una materia prima più elevata e in particolare sul caffè specialty, hanno un limite sulla quantità di caffè verde che possono assicurarsi sul mercato e che possono tostare, dunque non avranno un forte interesse ad investire in selezionatori meccanici/ottici che possano ottimizzare la produzione.
Continueranno piuttosto a preferire una piccola dimensione, senza ampliare il proprio bacino di consumatori, affidandosi ad una nicchia che ha disponibilità a spendere maggiormente per il caffè. Infine il classico cliente del bar non avrà un vero incentivo a deviare dai propri comportamenti di consumo: la maggior parte di questi, almeno in Italia, ha una limitata disponibilità a spendere per il caffè e così continuerà a preferire un prodotto economico di bassa qualità a meno che non se ne trovi uno di maggiore qualità al medesimo prezzo.
I consumatori di caffè specialty e del top di gamma invece, continuano ad avere disponibilità a spendere e dunque non saranno particolarmente sensibili all’eventuale riduzione del prezzo che si potrebbe ottenere da un aumento della produttività delle torrefazioni di qualità/specialty.
Al termine di queste due giornate volute da Ima Coffee, porto a casa la convinzione che per il futuro si debba trovare una soluzione a questo rompicapo. Lo farà chi riuscirà a trovare la dimensione ottimale di produzione, agendo in maniera verticale su tutta la filiera: assicurando sul mercato alti volumi di caffè verde di qualità (non esclusivamente specialty) pagato però ad un prezzo onesto al coltivatore diretto; investendo in tecnologie innovative con economie di scala che permettano di ridurre i costi unitari del caffè tostato a parità di qualità; offrendo al consumatore finale un prezzo interessante per convincerlo a preferire il caffè buono rispetto ad uno cattivo. Una soluzione ovvia ma su una strada impervia. Che tuttavia qualche torrefattore ha già iniziato a percorrere.
Eugenio Sini