domenica 22 Dicembre 2024
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Il caffè fa sempre bene: ecco i risultati di nuove indagini degli effetti positivi sull’uomo

Tutti elementi che emergono dall’aggiornamento da poco pubblicato sul New England Journal of Medicine a firma di Rob van Dam, Frank Hu e Walter Willett (Harvard T.H. Chan School of Public Health, Boston). Dettagliato e puntuale, l’articolo rappresenta una revisione completa dei dati di letteratura a tutto il 2019, di cui AP&B ha deciso di riportare e commentare gli elementi salienti

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MILANO –  Entriamo nel merito della bevanda tanto amata in Italia e nel mondo, il caffè, esplorandone le caratteristiche dal punto di vista scientifico: quali sono i suoi effetti, le sue interazioni con determinate condizioni e patologie. Passando dalla quantità di caffeina assunta, al suo consumo in gravidanza, e le correlazioni con malattie cardiovascolari e il diabete. Cominciamo questa lunga carrellata di ricerche dall’articolo a cura di Cecilia Ranza, pubblicato su nutrition-foundation.it.

Consumo di caffè, benessere salute: cosa sappiamo a riguardo

Tutti elementi che emergono dall’aggiornamento da poco pubblicato sul New England Journal of Medicine a firma di Rob van Dam, Frank Hu e Walter Willett (Harvard T.H. Chan School of Public Health, Boston). Dettagliato e puntuale, l’articolo rappresenta una revisione completa dei dati di letteratura a tutto il 2019, di cui AP&B ha deciso di riportare e commentare gli elementi salienti.

Le evidenze sugli effetti positivi di un consumo moderato e regolare di caffè si sono consolidate in anni recenti, dopo decenni in cui il caffè è stato considerato una bevanda esclusivamente voluttuaria, il cui apporto andava limitato per i possibili effetti negativi sulla salute del suo componente principale, la caffeina.

La ricerca ha però dimostrato l’inconsistenza di questa indicazione di carattere generale, se non per gruppi di popolazione molto ben definiti, per esempio bambini e adolescenti, e suggerito di definire livelli di consumo per altri, come le donne in gravidanza e allattamento.

Metabolismo della caffeina e suoi effetti fisiologici

Nella prefazione, gli autori ricordano un altro aspetto non marginale, e cioè la presenza, nel caffè, di centinaia di altri componenti fitochimici bioattivi, che includono i polifenoli come l’acido clorogenico e i lignani, l’alcaloide trigonellina, le melanoidine che si sviluppano durante la tostatura, oltre a quantità modeste di magnesio, potassio e vitamina B3 (niacina).

Questi componenti, infatti, possono ridurre lo stress ossidativo, migliorare il microbiota intestinale, modulare il metabolismo glicolipidico. Tuttavia, gli stessi autori segnalano che la bevanda caffè, se viene preparata senza filtrazione, veicola anche il diterpene cafestolo, che è in grado di aumentare la colesterolemia.

Se è quindi vero che gli effetti complessivi del caffè non possono essere attribuiti alla sola caffeina, è però altrettanto vero che proprio questa metilxantina è il composto prevalente, il più noto e il più studiato. Questi gli elementi più rilevanti relativi ad assorbimento e metabolismo della caffeina ripercorsi dalla review di van Dam, Hu e Willett:

Occorrono 45 minuti a un organismo adulto e sano per completare l’assorbimento della caffeina. Il picco ematico si raggiunge tra 15 minuti e 2 ore. La barriera ematoencefalica non ostacola l’assorbimento della caffeina, permettendole di raggiungere il cervello; nel fegato il metabolismo è operato dagli enzimi del citocromo P450.

Negli adulti sani l’emivita della caffeina (tempo di dimezzamento della concentrazione ematica) va da 2,5 a 4,5 ore, con ampie variazioni da persona a persona, che dipendono dall’assetto genetico individuale (in parte ereditario).

Questo è probabilmente il motivo per cui alcuni soggetti limitano spontaneamente il consumo di caffè caffeinato: infatti il loro assetto genetico fa sì che le concentrazioni di caffeina nel sangue si mantengano elevate a lungo, anche a fronte di una ridotta assunzione della bevanda, con possibile insorgenza di disturbi fastidiosi (insonnia, palpitazioni, ecc.).

L’emivita della caffeina alla nascita è di 80 ore e si assesta verso i livelli che saranno caratteristici della persona soltanto con la piena maturazione dei sistemi enzimatici.
Anche in gravidanza, soprattutto nel terzo trimestre, l’emivita della caffeina è prolungata, fino a 15 ore.

Ancora: il metabolismo della caffeina viene accelerato dal fumo (che ne riduce l’emivita fino al 50%), mentre i contraccettivi ormonali hanno effetto opposto, fino al raddoppio del tempo di dimezzamento.

L’interazione tra consumo di caffè con caffeina e farmaci si estende agli antibiotici chinolonici, ai broncodilatatori, agli antidepressivi, ai farmaci cardiovascolari: tutti rallentano il metabolismo della caffeina, probabilmente perché utilizzano lo stesso gruppo di enzimi.

Contenuto di caffeina secondo la bevanda

Gli apporti di caffeina variano secondo le abitudini di ciascun Paese, in base al tipo di preparazione, alla materia prima e, nel caso di bevande industriali, tra i diversi marchi
In Italia, la caffeina viene assunta principalmente con il caffè preparato con la moka (circa 50 ml) o con l’espresso (circa 30 ml); chi preferisce il caffè americano (caffè percolato con filtro) ne consuma in genere una tazza da 125 ml (negli Usa la quantità media per singola assunzione è però almeno doppia).

Nel caso delle bevande a base di cola, il contenuto di caffeina in Italia è riferito a una lattina da 330 ml; il panorama delle cosiddette bevande energizzanti è invece molto più vasto, e comprende lattine da 60 ml fino a circa 500 ml, con contenuti di caffeina di conseguenza variabili.

Quanto alle altre bevande che contengono caffeina, come il tè o la cioccolata, ci si riferisce in genere a una tazza da 150 ml. Gli infusi di erbe (come la camomilla, menzionata nella Figura) sono invece a torto ritenuti da alcuni veicoli di caffeina.

Effetti sulla funzione cognitiva e sul dolore

Dal punto di vista della struttura chimica, la caffeina è simile all’adenosina, molecola fisiologicamente presente nell’organismo, con funzioni di primo piano, tra cui la neurotrasmissione, la regolazione del ciclo sonno-veglia, della vasodilatazione arteriosa e della frequenza cardiaca, o più semplicemente strutturali (la sintesi di DNA e RNA).

La caffeina limita l’attività dell’adenosina legandosi ai recettori dell’adenosina stessa, e promuovendo quindi effetti opposti. Un esempio su tutti: bastano già 40 mg di caffeina (meno della dose contenuta in una tazzina di moka e la metà di un espresso) per ridurre il senso di fatica, aumentare la vigilanza e migliorare i tempi di reazione. Tutte conseguenze dell’attenuazione degli effetti dell’adenosina che, invece, segnalando l’accumulo di stanchezza psicofisica nell’arco della giornata, predispone il cervello e l’organismo al riposo notturno.

Questi effetti sono più evidenti nei consumatori non abituali di caffè, o nelle persone che hanno sospeso l’assunzione di caffè per brevi periodi. Lo stimolo alla vigilanza è ben noto ai piloti intercontinentali, a chi affronta lunghi turni di guida, o a chi è legato alla ripetitività dei gesti alla catena di montaggio. Attenzione però: l’assunzione di caffeina, anche alle dosi massime (400 mg al giorno in occasioni frazionate) indicate come tollerabili dagli organismi internazionali (Efsa compresa) non può mai compensare l’alterazione della prontezza di riflessi e della cognitività indotte dalla deprivazione di sonno prolungata o ripetuta.

È interessante osservare che esistono soggetti portatori di varianti strutturali del recettore dell’adenosina

Che sono di fatto insensibili all’azione della caffeina. In queste persone la caffeina non riesce infatti a legarsi efficacemente ai recettori a struttura modificata, e non limita quindi l’azione dell’adenosina (che invece si lega comunque a questi recettori “modificati”). Sono soprattutto i portatori di queste varianti recettoriali ad essere caratterizzati da risposte alla caffeina altrimenti difficili da comprendere (“bevo un caffè prima di andare a dormire perché mi concilia il sonno”).

Altrettanto studiato è l’effetto analgesico additivo dell’aggiunta di caffeina agli antidolorifici: secondo una revisione di 19 studi, con una dose equivalente a 100-130 mg di caffeina aumenta la percentuale di soggetti che risponde a un antidolorifico.

Le ricadute su sonno, ansia e idratazione

Come già accennato, l’effetto antagonista della caffeina rispetto all’adenosina è alla base dell’allungamento dei tempi di addormentamento e della ridotta qualità del sonno, che si possono manifestare in risposta all’assunzione di caffeina dal tardo pomeriggio in poi.
Per i motivi già esposti, l’entità di tali effetti dipende non solo dalla quantità di caffeina assunta, ma anche dalla capacità individuale di metabolizzare la caffeina stessa.

Alte dosi di caffeina assunte in un’unica occasione (più di 200 mg) o nell’arco della giornata (più di 400 mg) possono scatenare episodi ansiosi, più marcati nei soggetti maggiormente sensibili, o con disturbi d’ansia pregressi.

Le ricadute sull’idratazione sono evidenti per livelli elevati di assunzione di caffeina (oltre i 400 mg giornalieri), con una certa stimolazione della diuresi. Nei consumatori abituali di caffè a dosi moderate, invece, lo stato di idratazione non viene alterato.

I consumatori abituali di caffè con caffeina devono d’altro canto sapere che l’abbandono improvviso della tazzina (o anche semplicemente un brusco calo del consumo, come capita per esempio talora nel fine settimana a persone che nei giorni lavorativi ne consumano invece quantità elevate) può indurre fenomeni di astinenza tipici. Cefalea, senso di affaticamento, tempi di reazione meno pronti, umore depresso possono durare 1-2 giorni (in alcuni casi fino a 9 giorni), ma sono evitabili riducendo con gradualità il consumo della bevanda.

Caffeina e gravidanza

Efsa, l’Autorità europea di controllo della sicurezza alimentare, ha stabilito che l’assunzione di caffeina in gravidanza non debba superare i 200 mg quotidiani. Infatti, gli studi prospettici (la popolazione allo studio è stata seguita nel tempo, per monitorare l’evoluzione dello stato di salute) hanno dimostrato che la caffeina ad alte dosi ridurrebbe il peso del feto e aumenterebbe il rischio di aborto. Le ricadute negative della caffeina sul feto sono dose-dipendenti.

La caffeina (assunta con il caffè o con il tè) infatti attraversa la placenta e viene metabolizzata molto lentamente non solo dal feto, ma anche dalla madre; stimolando un aumento delle catecolamine (adrenalina in primis) circolanti, la caffeina indurrebbe vasocostrizione di utero e placenta, con conseguente ipossia fetale.

Va peraltro ricordato che, secondo l’interpretazione di alcuni autori, questo dato potrebbe essere un tipico esempio della cosiddetta “causalità inversa”: le donne con bassa sintesi di progesterone (l’ormone che rappresenta il naturale “protettore” della gravidanza) soffrirebbero in misura minore di nausea e vomito durante la gravidanza, e tenderebbero quindi a consumare maggiori quantità di caffè, il cui aroma darebbe invece particolarmente fastidio alle donne che producono normali quantità di questo ormone. Il consumo di caffè si limiterebbe quindi a segnalare indirettamente una minore produzione di progesterone: che sarebbe la vera causa dell’aumentato rischio di aborto o di parto prematuro osservato tra le donne che ne continuano il consumo durante la gestazione.

Modalità di consumo e tossicità della caffeina

Livelli di assunzione di caffeina pari a 1,2 g e oltre sono definiti dosi tossiche. Quantitativi comprese tra i 9 e i 14 g, pari cioè a circa 150 tazzine di espresso, possono risultare addirittura fatali. Ecco perché la comunità scientifica segnala la necessità di non sottovalutare situazioni di potenziale rischio, come l’assunzione episodica, eccessiva e non controllata di energy drink. Nel caso di queste bevande, infatti, è ancor più importante leggere le etichette e limitare l’assunzione di caffeina a meno di 200 mg per singola occasione di consumo, senza superare i già citati 400 mg al giorno.

L’assunzione contemporanea di energy drink e bevande alcoliche, spesso utilizzata per attenuare gli effetti dell’alcol o durante l’esercizio fisico strenuo, può essere particolarmente rischiosa soprattutto per gli adolescenti, che sono metabolicamente più vulnerabili e per i quali è più difficile individuare e affrontare situazioni di potenziale pericolo.

Il rapporto tra caffeina e salute cardiovascolare

Il rapporto tra caffeina e salute cardiovascolare è stato senz’altro il più dibattuto e quello su cui la ricerca si è impegnata di più, arrivando a modificare completamente convinzioni che, nel tempo, hanno perso consistenza. Le conoscenze attuali relativi ai diversi ambiti della salute cardiovascolare sono ben sintetizzate nella review dei ricercatori di Harvard.

Pressione arteriosa. Un aumento modesto ma significativo della pressione sistodiastolica si nota, nel breve termine, nelle persone che non consumano abitualmente caffè. Nell’arco di una settimana, la maggior parte dei soggetti sviluppa però una completa tolleranza alla caffeina, alla quale concorrono probabilmente anche le componenti minoritarie della bevanda, prime tra tutte i polifenoli, come l’acido clorogenico.

Va sottolineato infatti che l’assunzione di caffè non è associata al rischio di ipertensione; inoltre il caffè non modifica il profilo pressorio dei soggetti ipertesi.

Lipidemia

Il caffè contiene cafestolo, molecola dotata di proprietà ipercolesterolemizzante, che non è tuttavia presente nelle preparazioni ottenute mediante filtrazione o impiegando un percolatore o nel caffè istantaneo. Il cafestolo è mediamente rilevabile nel caffè espresso e preparato con la moka ed è contenuto in massima concentrazione nel caffè ottenuto tramite bollitura o infusione della polvere, o con una caffettiera a stantuffo.

Fibrillazione atriale, coronaropatia, ictus. Nessuno studio condotto su popolazioni che assumevano fino a 6 tazze di caffè caffeinato al giorno (in questo caso si intendono tazze di caffè americano, ottenuto tramite filtrazione, con una concentrazione di caffeina, in base al volume della bevanda, superiore a quella dell’espresso) ha rilevato associazioni con l’aumento del rischio di fibrillazione atriale, coronaropatia o ictus, neppure in soggetti con una storia di ipertensione, diabete o malattia cardiovascolare.

In realtà, è emersa un’associazione inversa e protettiva tra consumo di caffè con caffeina (3-5 tazze al giorno) e coronaropatia, ictus e mortalità per cause cardiovascolari.
Il consumo saltuario di caffè con caffeina va invece scoraggiato nelle persone ad alto rischio di infarto, nelle quali risulterebbe associato ad un aumento del rischio di eventi.

Diabete, salute epatica e rischio oncologico

Un rapporto favorevole, e indipendente dalla presenza di caffeina è stato nel tempo messo in luce anche tra consumo di caffè e rischio di sviluppare il diabete. Altrettanto positivo è l’impatto che il caffè (con caffeina) ha dimostrato di esercitare sulla salute epatica.
Infine, la ricerca ha definitivamente allontanato i timori di un aumento del rischio oncologico, evidenziando invece una protezione diffusa in più sedi.

Controllo del peso, resistenza insulinica e diabete di tipo 2. La caffeina può contribuire al bilancio energetico, attraverso una riduzione del senso di fame, un aumento del metabolismo basale e della termogenesi indotta dal cibo. Tale effetto è tuttavia modesto. Inoltre, chi assume caffeina aggiungendo zucchero a caffè e tè, o consumando soft drink zuccherati, ottiene l’effetto opposto.

In acuto la caffeina riduce la sensibilità all’insulina (15% in meno dopo assunzione di 3 mg/kg di peso); un effetto che non si rileva tuttavia per assunzioni abituali.
La review conferma infatti, all’opposto, una progressiva riduzione del rischio di diabete di tipo 2 in corrispondenza di livelli di consumo crescenti di caffè, anche decaffeinato.
Nel loro complesso, quindi, questi dati sostengono l’ipotesi che componenti minori del caffè possano esercitare importanti effetti benefici sul metabolismo glucidico, probabilmente a livello epatico.

Salute epatica e rischio oncologico

La protezione offerta dal consumo di caffè alla salute epatica ha più di una sfaccettatura. La caffeina per esempio, antagonizzando gli effetti dell’adenosina, riduce il rimodellamento dell’organo mediato dalla produzione di collagene e la fibrinogenesi, concorrendo così alla prevenzione di fibrosi e cirrosi. Questi effetti si sono evidenziati anche in soggetti con epatite C.

Inoltre, l’apporto di polifenoli potrebbe proteggere dallo sviluppo di steatosi riducendo lo stress ossidativo e migliorando l’omeostasi del tessuto grasso. Dal punto di vista del rischio oncologico (e di mortalità per tumori), c’è ormai una forte e ampia concordanza di dati a dimostrare l’assenza di correlazioni con il consumo di caffè e caffeina. Anzi. Il consumo di caffè si associa a una lieve (anche se significativa) riduzione del rischio di melanoma, di tumori cutanei diversi dal melanoma, di carcinoma mammario e di tumore prostatico.

Più evidente è l’effetto protettivo nei confronti del rischio di carcinoma dell’endometrio (da parte del caffè con o senza caffeina), di carcinoma epatocellulare e biliare (soprattutto per il caffè con caffeina).

Esula invece dalla composizione del caffè l’osservazione, ben nota, di una correlazione diretta tra l’assunzione della bevanda ad alta temperatura e l’aumento del rischio di tumori del cavo orofaringeo e dell’esofago.

I dati su colelitiasi, urolitiasi e patologie neurologiche

Colelitiasi e urolitiasi. Il consumo di caffè con caffeina è associato a una riduzione del rischio di colelitiasi, probabilmente perché inibisce il riassorbimento della bile, aumenta la secrezione di colecistochinina e stimola la contrazione della colecisti. Il caffè, con o senza caffeina, ha dimostrato di ridurre anche il rischio di urolitiasi (la calcolosi renale), forse per il blando effetto di aumento della diuresi.

Patologie neurologiche

Le ricerche condotte su gruppi di popolazione statunitensi, europee e asiatiche concordano nel mostrare una forte associazione inversa (e quindi protettiva) tra il consumo di caffè caffeinato e il rischio di malattia di Parkinson. Un’associazione inversa è emersa, in gruppi di popolazione europei e statunitensi, anche tra consumo di caffè con caffeina e rischio di depressione, o ideazione suicida, ma non per dosi troppo elevate.

Secondo i dati più recenti, infine, il consumo di caffè non avrebbe alcun rapporto (positivo o negativo) con il rischio di Alzheimer, nonostante alcune precedenti osservazioni, da cui sembrava emergere un’associazione inversa con il rischio di qualunque decadimento cognitivo, ma soltanto per consumi limitati (1-2 tazze al giorno).

Caffeina e mortalità per tutte le cause

Se moderato e abituale, il consumo di caffè (con o senza caffeina) si dimostra, in tutto il mondo, un’abitudine scevra di rischi. Nell’intervallo compreso tra 2 e 5 tazze (si ricorda che il dato è riferito al caffè tipo americano), il consumo abituale di caffè si associa a una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause. Nelle persone che consumano più di 5 tazze di caffè al giorno, tale rischio risulta simile a quello che si registra in chi non consuma caffè.

Ancora: l’associazione inversa tra assunzione di caffè e rischio di mortalità per tutte le cause non si modifica in relazione alla diversa velocità di metabolizzazione della caffeina individuale: confermando che non è la caffeina a svolgere il ruolo principale al proposito.

Conclusioni

Il consumo di caffè si conferma un’abitudine priva di ricadute negative per la salute della maggioranza della popolazione adulta. Per quanto riguarda il componente principale del caffè, la caffeina, la raccomandazione al consumo per la popolazione adulta generale, condivisa anche da Efsa (autorità europea per il controllo della sicurezza degli alimenti), indica in 400 mg frazionati nell’arco della giornata l’assunzione massima da non superare (circa 4 tazzine di moka o circa 5 di espresso). Tale dose va precauzionalmente ridotta a 200 mg nelle donne in gravidanza e allattamento.

Il rapporto tra caffeina e salute cardiovascolare è stato approfondito soprattutto tra i consumatori abituali di caffè. Consumi abituali di 3-5 tazze quotidiane sono associati in modo inverso e favorevole con il rischio di ipertensione, coronaropatia, ictus, anche nelle persone a rischio cardiovascolare elevato.

Fanno eccezione i soggetti ad alto rischio di infarto miocardico e consumatori non abituali, nei quali l’assunzione sporadica di caffè con caffeina, anche in quantità ridotte, sembra aumentare il rischio di eventi.

Nel rapporto tra consumo di caffè e salute non si può prescindere dalla composizione complessiva del caffè, in cui sono presenti, oltre alla caffeina, polifenoli, minerali e vitamine. Proprio alla composizione complessiva del caffè si attribuisce l’associazione tra consumo abituale e moderato di caffè, anche senza caffeina, e la riduzione del rischio di diabete di tipo 2.

Il consumo abituale e moderato di caffè con caffeina è inversamente associato anche al rischio di alcuni tumori, ma anche di fibrosi epatica e di steatosi, di colelitiasi e di nefrolitiasi.

Il caffè con caffeina, consumato abitualmente e a dosi moderate, risulta associato anche a un ridotto rischio di malattia di Parkinson. Sembrano invece meno solidi i dati a favore di un effetto protettivo sul declino cognitivo patologico.

Infine, dalla letteratura emerge una correlazione inversa tra consumo moderato e abituale di caffè, con o senza caffeina, e rischio di mortalità per tutte le cause. La caffeina è veicolata, in concentrazioni diverse, anche da altre bevande, come il tè, la cioccolata, alcuni soft drink e i cosiddetti energy drink. Il consumo di queste ultime bevande deve rispettare l’apporto massimo di caffeina per singola assunzione (200 mg), o quello massimo di 400 mg frazionati nell’arco della giornata.

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