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giovedì 21 Novembre 2024
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Lo studio canadese: “Espresso marginale, problematiche non le capsule ma la CO2: il vero danno è la coltivazione se non sostenibile e il filtro il più inquinante”

Ad incidere maggiormente sull'ambiente non è tanto il metodo di preparazione finale, ma la fase di produzione del chicco, in cui vengono emesse la maggioranza di gas serra inquinanti. Infatti, questa parte della filiera rappresenta tra il 40 e l'80% di emissioni totali

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MILANO – L’ADUC (Associazione Utenti e Consumatori aps) è un’organizzazione privata che si occupa di tutelare i diritti dei consumatori che si pone l’obiettivo di rendere consapevoli gli utenti nei loro comportamenti di acquisto e consumo, attraverso informazione e servizi di consulenza, e procede in base a contributi volontari offrendo anche consulenza gratuita nelle sedi sparse sul territorio italiano.

Per scelta non aderisce al Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu) presso il ministero dello Sviluppo Economico e, al contrario delle altre associazioni dei consumatori, non richiede finanziamenti pubblici, per trasparenza del proprio operato: si sostiene con donazioni degli utenti.

Questa associazione, riprendenso uno studio universitario canadese, ha puntato la lente di ingrandimento stavolta sul caffè, stimolando la riflessione rispetto all’impatto che la produzione e il consumo di questa bevanda possa avere sull’ambiente anche in termini di emissioni di carbonio.

Nei risultati finali, è emerso che il metodo di estrazione non è il fattore determinante da valutare quando si osserva l’impatto ambientale della tazzina.

In questa analisi risulta evidente che non viene assolutamente preso in considerazione l’espresso (al bar come a casa) perché l’indagine a cui l’ADUC ha fatto riferimento è stata condotta in Canada e pubblicata sulla rivista The Conversation, considera quindi marginale a livello mondiale questo tipo di estrazione.

Generalmente le ricerche che si svolgono a livello mondiale non si riferiscono mai nello specifico all’espresso: un dato con cui l’Italia, che pur si considera il Paese del caffè, deve tenere a mente perché, appunto, l’espresso non è un modello rappresentativo su scala globale dei consumi della nostra bevanda di riferimento.

Chiariamo infine che per quanto riguarda le capsule da 14 grammi – così come considerate dallo studio ripreso da ADUC – sono insolite per l’Italia che utilizza quelle dai 5 agli 8 grammi, ma sono senz’altro di diffuse in America perché sono quelle più adatte a preparare il caffè lungo americano (come per altro prevede anche il sistema Nespresso Vertuo, nato per gli USA ormai 15 anni fa).

Lo studio ripreso da ADUC, luci accese sulla filiera a livello mondiale

Non c’è soltanto la tazzina domestica a fare la differenza sul bilancio ambientale, ma ovviamente si deve ripercorrere i passaggi di una filiera ben complessa e articolata per fare dei calcoli più precisi.

Dalla coltivazione alla creazione di packaging e attrezzature, sino alla fine vita degli scarti, l’indagine di ADUC ha esaminato 4 metodi di estrazione (con riferimento 280 ml di bevanda):

– filtro tradizionale (25 grammi di caffè)
– capsule (14 grammi di caffè)
– French press (17 grammi di caffè)
– Solubile (12 grammi di caffè)

I dati emersi registrano che il filtro è il più inquinante per impronta di carbonio (si usa più caffè per prepararlo, e necessita di una quantità superiore di energia per alimentare gli strumenti necessari all’erogazione tra macchina, bollitore e lavastoviglie).

Dall’altra parte della piramide delineata da ADUC, si trova il solubile, a basse emissioni proprio perché prevede minor dosi di materia prima e limitato consumo energetico nonché, fattore non trascurabile, la mancanza di scarti da dover gestire a fine ciclo.

Il grafico di ADUC (fonte sito aduc.it)

Fa molto scalpore il fatto che le capsule per la ricerca ripresa dall’ADUC siano una soluzione non particolarmente disastrosa per l’ambiente. La ragione a questo punto, date le premesse sembra intuitiva: meno caffè contenuto al loro interno, e ridotte quantità di energia e acqua impiegate nell’estrazione, con un risparmio dagli 11 ai 13 grammi di caffè rispetto al filtro.

Un’importante osservazione a proposito di questo prodotto però: la produzione di 11 grammi di Arabica in Brasile produce mediamente intorno ai 59 grammi di CO2 equivalente, a cui bisogna sommare anche quelli emessi in fase di produzione e smaltimento della capsula in plastica, cioè 27 grammi.

Quindi, si potrebbe affermare – come infatti fa la ricerca canadese ripresa dall’ADUC – che ad incidere maggiormente sull’ambiente non è tanto il metodo di preparazione finale, ma la fase di produzione del chicco, in cui vengono emesse la maggioranza di gas serra inquinanti. Infatti, questa parte della filiera rappresenta tra il 40 e l’80% di emissioni totali.

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