MILANO – I magazzini della borsa di New York si stanno svuotando e il livello delle scorte certificate è ai minimi dall’inizio del secolo: meno di 1,2 milioni di sacchi, stoccati in massima parte nei depositi portuali di Anversa, in Belgio. Ancora a luglio, gli stock erano pari a 1,83 milioni di sacchi; un anno fa, a 2,6 milioni.
Questa brusca caduta riflette la più difficile e costosa reperibilità degli arabica lavati sui mercati, oltre che i problemi logistici legati alla pandemia.
Chi consulta le statistiche della borsa di New York in questi giorni si sarà probabilmente accorto di un’improvvisa impennata delle scorte di caffè brasiliani, che sono passati da 650 a oltre 1.500 sacchi tra giovedì e venerdì scorso. Volumi marginali, ma sufficienti ad attirare l’attenzione degli esperti.
Nulla di strano, penseranno i più. Il Brasile sta ultimando un raccolto che potrebbe essere da record, mentre sono in calo i raccolti dei produttori dell’America centrale. A cominciare da quello dell’Honduras, paese che fornisce oltre i tre quarti del caffè certificato su New York.
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