MILANO – Take away e delivery: le soluzioni che possono dar fiato al settore dei pubblici esercizi dopo la sofferta chiusura totale di oltre due mesi per limitare il virus. La lotta al contagio non è ancora terminata e la normalità sembra ancora molto lontana. Eppure, la modalità d’asporto sembra poter far intravedere un po’ di luce a delle attività che per troppo tempo sono restate ferme. Vediamo come stanno reagendo molti locali in questa Fase 2 appena iniziata, da Ilsole24ore.com.
Take away: dal 4 maggio una maggiore apertura
Grazie all’asporto il 4 maggio hanno riacceso la luce circa il 30% dei pubblici esercizi. Questi i dati comunicati da Fipe-Confcommercio dopo il via libera al cibo take away : “Grazie all’asporto hanno riaperto il 60-70% di pizzerie, gelaterie e pasticcerie e un 10% dei ristoranti che cucinano piatti d’asporto e dei bar che fanno caffé, cappuccini e bevande” .
“Apriamo -afferma il presidente vicario dell’associazione Aldo Cursano – perché vogliamo ribadire che noi ci siamo. Ma certo in questa situazione possono riaprire le piccole strutture, chi non ha costi alti di personale, le imprese familiari. Il fatturato di questi giorni, soprattutto per i bar, sarà al massimo dell’8-10% rispetto a quello ante emergenza coronavirus. Per gli altri qualcosa di più, ma il prossimo futuro sarà comunque difficile finché non finisce emergenza. Anche quando sarà possibile aprire bar e ristoranti con i posti distanziati i fatturati difficilmente saranno superiori al 30% dei fatturati precedenti all’emergenza”.
Non è la Milano da bere, ma del take away
Anche Cracco in Galleria ha attivato il servizio di take away per alcuni piatti ma anche per un semplice espresso. Ad aprire solo per l’asporto tante pasticcerie e anche uno dei luoghi dell’aperitivo milanese come il bar Magenta, o Pino Focaccia, pugliese che è tornato nel suo piccolo locale vicino alla Stazione Centrale a distribuire pizze e panzerotti.
A Napoli resta chiuso il Gambrinus
Resta chiuso il “Gambrinus, locale-simbolo, che in una normale giornata pre-Covid 19 serviva al banco “diverse centinaia di caffè”. “Abbiamo 30 dipendenti in cassa integrazione – dice Massimiliano Rosati – ed i contratti a termine non sono stati rinnovati. Il movimento turistico è a zero. Riaprire prima del 1 giugno? Non escludiamo di farlo, ma dobbiamo fare una valutazione sui costi. Con questi numeri non ci rientriamo”.Nella Galleria Umberto I i bar che hanno aperto sono due. Niente tavolini, che sono vietati: “Posso vendere forse 30 caffè ai clienti dell’ ufficio postale – dice sconsolato uno dei titolari – così non vale la pena di lavorare”. Chiusi i grandi locali, aperti solo i piccoli bar, a conduzione familiare, senza dipendenti. Alla Stazione centrale non ha riaperto neanche la caffetteria-ristorante.
A Roma cifre record
Sono tra gli 8.000 e i 9.000, pari a circa il 70-80% del totale, i bar e i ristoranti di Roma che hanno riaperto in occasione della Fase 2.
Nella capitale ci sono 6.000 ristoranti e 5.600 bar, e hanno riaperto l’attività almeno 7 o 8 su 10. Ma è un numero che potrebbe cambiare nei prossimi giorni secondo Luciano Sbraga responsabiledell’associazione. Probabilmente qualcuno proverà a vedere come va, se ha un sensotenere aperto, e poi deciderà.
C’è comunque tanta voglia di ricominciare, nonostante ci siano difficoltà enormi. Per Fipe-Confesercenti “l’asporto è un pannicello caldo: andava fatto quaranta giorni fa e sarebbe stato un servizio per le famiglie. Uno scendeva, si faceva preparare la lasagna dal bar e tornava a casa a mangiarsela”.
Il punto è che “non è il bar a muovere le persone: il bar intercetta chi è in giro
Per questo chiediamo di riaprire con la somministrazione dal 18 maggio e non dal 1 giugno. Siamo in grado di gestire la riapertura in sicurezza – conclude – abbiamo stilato un protocollo di 40 pagine. Questo dimostra che anche le piccole imprese possono riaprire, non solo quelle grandi”.