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Dal caffè al tè: come evitare la plastica a tavola, alcuni consigli utili

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MILANO – Si comincia con un caffè, preparato con le capsule in plastica. E si continua con un pranzo, anche sanissimo, portato in ufficio con un portapranzo di plastica e una bottiglietta d’acqua, magari poi riciclata per trasportare del tè verde o una tisana.

Nulla di apparentemente ‘pericoloso’ ma l’onnipresenza delle plastiche non va sottovalutata. “I contenitori e gli imballaggi sono sicuri, se usati correttamente. Ma micro quantità di plastificanti comunque migrano nei cibi.

La questione dell’accumulo, se i prodotti a contatto con la plastica sono tanti, va considerata“, spiega Giacomo Dugo, docente di chimica degli alimenti dell’università di Messina, che da 25 anni studia questi argomenti insieme alla sua équipe di cui fanno parte Giusy Di Bella e Marcello Saitta.

Una ‘linea di ricerca’ nata quasi per caso, quando, dopo la decisione della Coca-Cola di non importare più dalla Sicilia gli oli essenziali di agrumi (presenti nella loro ricetta) perché risultati contaminati, è cominciata l’indagine degli scienziati.

Il gruppo di studio di Dugo riuscì ad individuare di cosa si trattava, ovvero plastificanti. E a scoprire come c’erano finiti, considerando che gli oli erano contenuti in contenitori d’acciaio.

“Abbiamo scoperto che il passaggio attraverso i tubi da travaso, in plastica, faceva migrare negli oli queste sostanze: una vera minaccia anche per il produttore, visto che costano circa 100 euro a litro. Oggi sappiamo che nella produzione tutti i materiali degli strumenti che l’alimento incontra devono essere considerati“, racconta Dugo all’Adnkronos Salute.

Da allora molte sono state le ricerche come quelle sulla moka classica, che al cambio di guarnizioni può rilasciare plastificanti nei primi passaggi, o sulle capsule in plastica del caffè.

“In Italia il problema è stato affrontato, a livello normativo, dal 1973, con limiti previsti per i contenitori che non pongono nessun problema per la salute. E anche la normativa comunitaria, arrivata nel 2011, tutela i consumatori“.

Bottiglie, vaschette e altro vengono prodotte, a seconda di ciò che dovranno contenere, in modo che la ‘migrazione’ dei plastificanti resti nei limiti (o al di sotto) dei livelli, già prudenziali, previsti dalla legge. Ma è necessario usare la plastica correttamente e assicurarsi che sia prodotta in Europa.

“Ci sono prodotti un po’ più a rischio, quelli acidi o grassi, che vanno conservati nei contenitori realizzati appositamente“, spiega l’esperto. La plastica delle bottigliette d’acqua, ad esempio, non è uguale a quella delle bibite gasate e acide.

“Bisogna considerare poi – continua l’esperto – che questi contenitori sono monouso, non vanno riutilizzati all’infinito né per prodotti di diverso tipo“. Riempire diverse volte con acqua di rubinetto le bottiglie di acqua minerale non è una buona idea. Come non lo è esporle alla luce o al caldo eccessivo.

Un grave errore, poi, usare la plastica destinata all’acqua per contenere olio, aceto, te’ al limone. Mentre, in generale, limitare l’uso di questi materiali a tavola è una buona pratica.

“Non ci sono problemi se i consumi sono limitati. Una bottiglietta di tè da 200 ml e tre caffè con cialde di plastica in una giornata non pongono problemi. Ma un po’ di attenzione è utile, anche per una questione di riduzione dell’inquinamento“, aggiunge Dugo che offre alcuni suggerimenti per limitare la presenza delle plastiche a tavola.

I piatti di plastica, per esempio, andrebbero limitati o sostituiti con quelli, oggi disponibili, di carta. E comunque sono da utilizzare solo per alimenti freddi e non grassi. “La lasagna bollente – spiega – è una pessima idea”.

Se si preferisce l’acqua del rubinetto “meglio portare in borsa una borraccia di vetro, ce ne sono rivestite di plastica, per evitare che si rompano. Il vetro è il materiale migliore per tutti i tipi d’alimento“.

Una ‘buona pratica’ è quella di non usare la plastica nelle mense scolastiche e negli ospedali. Mentre per chi mangia in ufficio il vecchio portapranzo di metallo è una buona scelta, insieme al vasetto di vetro. Ai party, poi, no al finger food.

“I mini contenitori usa e getta spesso sono realizzati con plastica di bassa qualità e importati dall’estero, per limitare i costi. Meglio le stoviglie classiche o gli spiedini di legno, anche per evitare l’inquinamento“.

Attenzione infine alle stoviglie per i bambini, per i quali si preferisce frequentemente la plastica, perché infrangibile, con l’aggravante dei decori colorati: “anche i coloranti migrano nel cibo“, ricorda Dugo.


Il pensiero dell’esperto

“Sarebbe meglio tornare ad antiche abitudini. Un tempo, per lo svezzamento, si regalava al bambino un cucchiaio d’argento, che veniva usato fino ai 10 anni. Un metodo sano e assai poco inquinante. Ovviamente non c’è bisogno dell’argento. Semplici posate di metallo e stoviglie di vetro infrangibile restano la scelta più sana“, conclude.

 

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