di Andrej Godina
Il metodo di estrazione espresso nasce a inizio del XX secolo con le prime macchine a vapore prodotte nel nord Italia. Agli albori la tecnologia per l’erogazione di una bevanda a base di caffè assomiglia molto di più a quella della odierna moka rispetto alla macchina professionale da bar.
Le prime macchine erano a vapore, cioè la pressione creata dell’acqua contenuta in una caldaia interna a temperatura sopra il punto di ebollizione forniva la pressione con la quale l’acqua passiva attraverso la dose di caffè. La tecnologia di estrazione si è successivamente evoluta con l’introduzione dapprima della leva e poi della pompa volumetrica in grado di spingere l’acqua a 9 bar di pressione costante.
L’introduzione della leva nelle macchine di erogazione ha permesso di creare la bevanda espresso come noi oggi la conosciamo, cioè una bevanda bifasica composta da un liquido scuro sovrastato da una schiuma di colore nocciola, compatta e persistente nel tempo.
La leva permette di imprimere all’acqua calda una pressione molto elevata che all’inizio dell’erogazione varia tra i 12 e i 14 bar per poi diminuire man mano che la molla nel gruppo erogatore si allunga fino ad arrivare a un valore sul finire dell’estrazione molto basso.
L’espresso non è cambiato con l’introduzione della pompa elettrica che garantisce una profilo di pressione costante di 9 bar.
Le macchine espresso per il caffè mono porzionato sono completamente differenti rispetto a quelle professionali da bar, sia per come producono la pressione dell’acqua che per il metodo di riscaldamento della dose da percolare attraverso il caffè.
La pompa delle macchine ad uso domestico spingono l’acqua in modo discontinuo attraverso l’azionamento a intermittenza di un pistone nella piccola pompa in dotazione.
Questa tecnologia permette di raggiungere una pressione nominale elevata (anche di 15-20 bar) ma con una portata molto ridotta.
In queste macchine l’acqua è riscaldata al momento con l’ausilio di una resistenza elettrica che si accende e spegne sotto il comando di un termostato.
Il conseguente riscaldamento non è costante e permette di avere una determinata quantità di acqua riscaldata a una certa temperatura solamente per un certo tempo.
Cosa che fa di queste macchine un altro metodo di estrazione è, ed è la cosa più importante, la forma della camera di estrazione.
Nel caso delle cialde in carta il panetto di caffè è a forma di disco dello spessore di pochi millimetri dove il caffè macinato è compattato, la capsula in plastica di forma cilindrica è alta poco più di un centimetro al cui interno c’è caffè macinato compattato, mentre la capsula in alluminio della Nespresso accoglie una dose di caffè non pressato.
Da questa breve premessa è sufficientemente chiara la differenza tra i metodi di estrazione dell’espresso professionale e di quello mono porzionato.
Per questo motivo è impossibile pensare di utilizzare i medesimi caffè per questi due mondi così differenti, così come tostare la stessa materia prima con profili di tostatura uguali e macinare la dose di caffè alla medesima curva di granolumetria.
Per rendere l’estrazione del mono porzionato più efficiente e permettere alle macchine erogatrici di preparare una bevanda quanto più simile all’espresso professionale è possibile adottare qualche stratagemma:
– macinare il caffè fresco dalla tostatura e produrre i mono porzionati (indipendentemente dal formato) il prima possibile al fine di garantire al momento della percolazione dell’acqua calda la fuori uscita della maggiore quantità di anidride carbonica possibile. Facendo così è possibile enfatizzare la presenza della crema, del suo spessore e della sua persistenza nel tempo.
– Applicare un processo di macinatura al caffè tostato che garantisca di produrre una forma della curva di granulometria il più adatta possibile al metodo di estrazione e alla forma della camera di estrazione utilizzato. Ciascuno dei mono porzionati menzionati precedentemente richiedono una curva di granulometria differente.
– Aumentare il più possibile la dose di caffè macinato al fine di avere una maggiore quantità di materia prima a disposizione dell’azione solvente dell’acqua calda in percolazione.
– Utilizzare un’acqua con caratteristiche chimiche che esaltino le proprietà sensoriali positive dell’espresso, in particolare la crema, la dolcezza e il corpo. L’espresso, a differenza dei metodi di preparazione a filtro, gradisce un’acqua con una certa quantità di sali e una determinata durezza. Prove di estrazione e relative sessioni di assaggio con l’utilizzo di una scheda tecnica specifica saranno di aiuto per identificare la qualità dell’acqua migliore.
– Erogare l’espresso con una macchina che garantisca la migliore stabilità termica e la possibilità di regolare la temperatura dell’acqua per migliorare l’estrazione. La temperatura dell’acqua ha un’influenza molto importante sul risultato in tazza e deve essere regolata in base alla materia prima che si utilizza. E’ importante tenere presente la specie botanica, il grado di tostatura, il tempo dalla tostatura e la forma della camera di estrazione.
Gli esempi classici di diversa impostazione di temperatura sono quelli di una temperatura maggiore per i caffè Arabica rispetto ai Robusta, soprattutto gli Arabica di altura con chicchi con maggiore densità, chicchi con un grado di tostatura chiaro, chicchi tostati ormai da lungo tempo, formati di mono porzionato che hanno una dose di caffè ridotta in termini di peso al loro interno, per esempio il formato Nespresso.
La valutazione della qualità in tazza dell’espresso erogato con il mono porzionato non può essere la medesima di quella utilizzata per la valutazione dell’espresso professionale, ripeto, trattasi di metodi di estrazione differenti.
Prima di procedere alla valutazione sensoriale in laboratorio è necessario per l’assaggiatore una calibrazione che si esegue assaggiando tutti i caffè disponibili sul mercato di quel determinato formato di mono porzionato.
In questo modo l’assaggiatore è in grado di calibrarsi per ogni macro categoria sensoriale percepita determinando la valutazione minima e massima ottenibile con quel metodo di erogazione.
Ricordo che le macro categorie sensoriali coinvolte nella valutazione dell’espresso sono quelle:
– visiva: l’aspetto della crema devono essere descritti considerando il colore, la tessitura, la consistenza e la persistenza nel tempo.
– Olfattiva: la fase di olfazione diretta interessa la descrizione degli aromi percepiti provenienti direttamente dalla bevanda. Gli aromi interessano anche la descrizione delle caratteristiche del retrogusto e in questo caso sono percepiti per via retro nasale.
– Gustativa: il contatto della bevanda con le papille gustative presenti al palato genera la percezione dei gusti che sono descritti in termini d’intensità. Nel caso dell’acidità è possibile valutare anche la qualità che si declina nella differenziazione tra acidità citrica, malica e tartarica.
– Tattile: la descrizione del corpo passa attraverso la valutazione dell’intensità e della qualità.
Per un approfondimento sulla scheda di assaggio è possibile visitare la pagina web http://www.umamiarea.com/post/M/2007&C=1041