CIMBALI M2
domenica 17 Novembre 2024
  • CIMBALI M2

Colombia, Fedecafé: produzione a maggio di 689 mila sacchi

Da leggere

  • Dalla Corte
TME Cialdy Evo
Demus Lab - Analisi, R&S, consulenza e formazione sul caffè

COLOMBIA – Studio della banca centrale sottolinea il forte calo produttivo degli ultimi vent’anni Secondo il ministro dell’agricoltura Restrepo il 2012 è stato uno degli anni peggiori nella storia del caffè colombiano E intanto Barclays Capital prevede che saranno necessari almeno 4 anni per tornare ai livelli produttivi dei primi anni duemila

Colombia, si conferma il trend di lenta, ma costante ripresa produttiva in atto ormai dall’inizio dell’anno solare

Secondo i dati di Fedecafé, diffusi la settimana scorsa, la produzione ha raggiunto in maggio i 689 mila sacchi, in ulteriore crescita rispetto ai 580 mila di aprile, i 576 mila di marzo, i 571 mila di febbraio e i 535 mila di gennaio. Per il secondo mese consecutivo, inoltre, la produzione supera, anche se di poco, quella dello stesso mese dell’anno scorso (maggio 2011) quando vennero raccolti 673 mila sacchi. Rimane invece fortemente negativo il saldo sugli ultimi 12 mesi.

Tra giugno 2011 e maggio 2012, la Colombia ha prodotto appena 7.113.000 sacchi, ossia un volume inferiore di quasi un quarto (-24%) ai 9.309.000 sacchi raccolti nei 12 mesi immediatamente precedenti. Non è molto migliore la situazione sul fronte dell’export, che segna una lievissima flessione su base mensile, con 592 mila sacchi, contro i 593 mila di maggio 2011, e un calo del 19% sugli ultimi 12 mesi durante i quali sono stati esportati 6.929.000 sacchi, contro imbarchi per 8.546.000 sacchi registrati nel pari periodo precedente. Il comunicato a commento delle cifre sottolinea come la produzione si stia lentamente risollevando dopo aver fortemente risentito dei rigori invernali e dell’intensificarsi degli attacchi delle malattie, in particolare della ruggine del caffè.

“Sono i primi segni di un’inversione di tendenza in atto” ha dichiarato il direttore generale della Federazione Luis Genaro Muñoz Ortega, che ha esortato i produttori a commercializzare il loro caffè, dal momento che molti di essi esitano a vendere in ragione dei minori prezzi attuali.

“Con l’entrata in produzione delle aree rinnovate e con le migliori condizioni climatiche confidiamo in un consolidarsi della ripresa nel secondo semestre dell’anno” ha aggiunto. Nonostante qualche timido segnale positivo, le valutazioni degli specialisti per l’annata in corso rimangono tuttavia improntate al pessimismo. Eloquenti le valutazioni di Kate Tang, analista di Barclays Capital, secondo la quale il raccolto mitaca di quest’anno potrebbe rivelarsi talmente debole da spingere la produzione dell’intero 2012 ai minimi storici degli ultimi 40 anni.

I danni causati dal maltempo sono destinati a ripercuotersi anche sul raccolto di quest’anno, come confermato dall’andamento delle fioriture sin qui riferito dai produttori – afferma Tang aggiungendo che i benefici del piano di rinnovo colturale si faranno sentire appena tra qualche anno e che potrebbe servire almeno un quadriennio perché la produzione ritorni ai livelli storici del decennio trascorso. Valutazioni e preoccupazioni condivise dal ministro dell’agricoltura colombiano Juan Camilo Restrepo, che ha definito il 2012 “uno degli anni peggiori” per la caffeicoltura del paese sud americano evocando il rischio di una grave crisi di settore.

Negli ultimi 4 anni, la produzione è scesa a una media di 8 milioni di sacchi, contro una media normale di circa 12 milioni, ha dichiarato Restrepo alla stampa:

“Ciò significa che abbiamo già perso 16 milioni di sacchi di raccolto, con tutto ciò che ne consegue in termini minor di reddito, minore produzione agricola, perdita di benessere per i produttori e di quote di mercato a livello globale” ha affermato il ministro. La soluzione? “Rinnovare le colture con varietà resistenti alla ruggine – ha affermato ancora Restrepo – Solo un ringiovanimento delle piantagioni e l’utilizzo di materiale genetico resistente alle fitopatie ci consentirà di uscire dalla crisi”.

Le dichiarazioni di Restrepo si inseriscono nel dibattito, che si è sviluppato attorno a un recente rapporto redatto da eminenti esperti del Banco de la República (la banca centrale colombiana) sulle cause del declino produttivo. Dai massimi storici dei primi anni novanta – quando la Colombia arrivò a produrre sino a 16 milioni di sacchi in un anno – si è scesi a 12 milioni a metà anni zero e ad appena 7,8 milioni l’anno scorso, ossia meno della metà di quanto veniva raccolto negli anni di “bonanza”.

Tra il 1970 e il 1986 – si legge nel rapporto, cui hanno contribuiti anche due componenti del board della banca – l’export di caffè costituiva ancora per più del 50% del valore delle esportazioni complessive della Colombia, contro il 5% attuale.

È vero che questo ridimensionamento è dipeso anche dalla crescita complessiva del sistema paese, con lo sviluppo di altri importanti settori economici. Ma è anche un dato di fatto che la Colombia ha visto erodersi una parte consistente della propria share sul mercato globale. Nel 2000 ha perso lo scettro di secondo esportatore mondiale a favore del Vietnam e, nel 2009/10, è scivolata addirittura al quarto posto, scavalcata dall’Indonesia.

Il tutto a fronte di un incremento delle superfici coltivate, passate da 873 mila ettari nel 2006 a 921 mila nel 2011, cui fa riscontro un calo della produttività media per ettaro dai 14,4 sacchi del 2007 agli 8,5 del 2011. Per effetto di questa flessione, la Colombia ha dovuto importare nel corso dell’ultimo anno oltre 900 mila sacchi di caffè verde, principalmente da Perù, Ecuador e Brasile. Sul forte arretramento della produzione e delle rese unitarie ha inciso, in primo luogo, l’andamento climatico sfavorevole delle annate trascorse, il proliferare delle malattie crittogamiche e il vasto piano di reimpianti in atto in tutto il paese. Ma il rapporto chiama in causa anche l’invecchiamento dei produttori, il maggior costo della manodopera e la riduzione della superficie media delle piantagioni, che rende l’attività meno redditizia. Stando allo studio, il 77,6% delle fincas cafetaras ha un’estensione inferiore ai 5 ettari, di cui meno di un quarto effettivamente destinato alla coltura del caffè.

Secondo lo studioso Jorge Enrique Robledo, autore di importati opere specialistiche, ciò non significa tuttavia che il modello colombiano sia da rifondare in toto

“La Federazione ha creato un sistema di garanzie, a livello di prezzi e acquisto del caffè, che ha scongiurato un impoverimento ancora maggiore dei contadini – ha dichiarato Robledo in una recente intervista – qualsiasi agricoltore del mondo vorrebbe avere un sistema di questo genere a sostegno della propria produzione”. Quanto ai paragoni con altri paesi, questi richiedono “rigore e prudenza”, poiché le realtà produttive di nazioni come il Vietnam o il Brasile sono totalmente diverse dal punto di vista economico, politico e operativo e non sono dunque comparabili.

Nonostante il minor peso specifico attuale sui mercati internazionali, quello del caffè rimane il settore più dinamico nell’ambito dell’economia agricola colombiana. Parola di Luis Genaro Muñoz Ortega, che ha ricordato, in una recente intervista a eltiempo.com, come la filiera del caffè assorba ancora oggi circa un terzo della forza lavoro in ambito rurale contribuendo al sostentamento di 560 mila famiglie, per un numero di occupati che supera di oltre 3 volte quello generato dal settore dei fiori, del banano e dello zucchero messi assieme.

Sottolineando, ancora una volta, la portata dell’imponente programma di rinnovo colturale in atto in tutto il paese, con oltre 120 mila ettari interessati ogni anno, Muñoz ha riaffermato il prestigio della caffeicoltura colombiana e l’elevato valore aggiunto delle produzioni di questo paese raggiunto grazie alla politica di differenziazione e valorizzazione produttiva, volta al conseguimento dell’eccellenza, attuata sin dagli anni sessanta. Lo scorso anno, il raccolto colombiano ha generato un valore di 2,23 miliardi di euro: il massimo di sempre in termini costanti. Tale denaro – afferma Muñoz – andrà a diretto a vantaggio del settore agricolo e contribuirà al dinamismo dell’economia rurale. Anche Muñoz frena sulla liberalizzazione del settore indicando i gravi problemi che essa ha provocato in paesi come il Messico.

Il direttore generale della Fedecafè appare inoltre perplesso quanto all’introduzione dei robusta in Orinoquía, che rischierebbe di portare con sé modelli produttivi diversi e incompatibili con quelli classici della Colombia. La conclusione è comunque ottimistica: “a dispetto della crisi economica globale – ha dichiarato Muñoz al termine dell’intervista– il mondo continua a bere sempre più caffè ed esige una qualità sempre maggiore. E questa è la nostra specialità”.

CIMBALI M2

Ultime Notizie

  • Water and more
  • Carte Dozio