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COLOMBIA – Dalla coca al cacao

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Quando padre Giacinto Franzoi arrivò come missionario a Remolino, in Colombia, nel 1988, il primo rappresentante che gli nominarono nel Consiglio parrocchiale si chiamava “Pistolo”, per la facilità con cui sparava. «La gente ne era succube», ricorda il missionario della Consolata. «È finito drogato e abbandonato da tutti; è morto solo come un cane».

Erano gli anni ’80, Remolino e tanta parte dell’Amazzonia colombiana prosperavano sulla coltivazione e il commercio di coca.

«Avevo trovato una repubblica a parte», racconta padre Franzoi, «costituita dagli stessi cocaleros, controllata dai narcotrafficanti, con un suo piccolo esercito paramilitare. Le persone non gradite che pensavano di avviare qualche attività commerciale venivano cacciate o uccise. Dopo poco, però, questo piccolo esercito venne eliminato dai guerriglieri delle Farc, perché comprometteva il loro “buon nome”».

Padre Giacinto Franzoi, trentino della Val di Non, nel 1978 aveva attraversato l’oceano per raggiungere la Colombia, sua terra di missione; più o meno nello stesso periodo, lungo il rio Caguan era sorto il paese di Remolino, arrivato a 2.000 abitanti quando vi giunse il missionario.

Ma, nove mesi dopo, un’operazione dell’esercito colombiano fece terra bruciata delle piantagioni di coca, anche per snidare la guerriglia che in quell’intrico amazzonico prospera come un topo nel formaggio; nello stesso tempo, gettò sul lastrico tutte le famiglie che sulla cocaina vivevano.

La popolazione si ridusse a 500 persone, risalite ora a 800, alle quali vanno aggiunti i gruppi dispersi in 40 comunità nella foresta e sul fiume. Merito anche di padre Giacinto, che per offrire loro la possibilità di un guadagno, e di un guadagno pulito, inventò la campagna “No alla coca, sì al cacao”.

Vent’anni dopo, la scommessa è vinta, tanto da aver generato una piccola fabbrica di cioccolato, che esporta sul mercato interno; dall’anno prossimo potrebbe far giungere i suoi prodotti in Italia, nelle botteghe del commercio equo e solidale.

Ma il guadagno facile da droga, la corruzione, le incertezze e i soprusi sia dei governativi sia dei guerriglieri avevano minato a fondo l’umanità di persone e famiglie, il loro sentimento morale, e le scommesse come quella di padre Giacinto vanno rigiocate ogni giorno per irrobustirne le radici.

«Quando nel 1989 distribuimmo i sacchetti con le sementi di cacao e caucciù», ricorda padre Franzoi, «il mio progetto era stato pensato per 30 famiglie. Ma con la presenza costante dei militari nella foresta, altri contadini capirono che la nostra proposta era l’unica alternativa di lavoro, e si aggregarono.

Oggi sono 80 le famiglie che raccolgono il cacao, e se ne aggiungono sempre di nuove. La nostra campagna è stata la prima forza d’urto: nel Caguan non c’è più traffico di droga, sono spariti i 25 laboratori di trasformazione della mafia e le piste clandestine per il traffico con gli aerei. La gente mi dice: “Padre, qui non viviamo il trauma del dopo-coca come nel resto della Colombia».

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