MILANO – Diversificare la produzione, flessibilizzare le norme e coinvolgere maggiormente le istituzioni locali. Sono alcune delle proposte che emergono dalle conclusioni del Documento per la competitività del settore del caffè commissionato dal governo Colombiano a una Missione di studio guidata dall’economista Juan José Echavarría.
Scopo dello studio analizzare la situazione del settore e formulare una serie di raccomandazioni volte a disegnare una road map di sviluppo.
Tra le proposte avanzate dal documento, quella di diversificare la produzione introducendo, in alcune zone del paese, piantagioni di caffè robusta. Un’idea evocata più volte in questi ultimi anni, che continua a non convincere i cafeteros.
Fedecafé osserva in particolare come il grande sforzo di miglioramento qualitativo compiuto dal settore abbia contribuito a elevare il valore aggiunto e le remunerazioni dei produttori sopprimendo le basse qualità (“in Colombia abbiamo eliminato il caffè di seconda scelta” ha dichiarato, a tale proposito, un ex responsabile di vertice della Federazione).
Secondo gli esperti che hanno redatto il documento, la coltivazione dei robusta (in aree diverse e lontane da quelle in cui sono diffusi gli arabica) consentirebbe ai torrefattori locali di acquistare caffè economici sul mercato nazionale, senza dover ricorrere alle importazioni dai paesi vicini. A tale proposito è stato citato l’esempio del Brasile, dove la produzione di conillon viene destinata in prevalenza (anche se non esclusivamente) al mercato interno. Brasilia – lo ricordiamo – vieta tuttora l’importazione di caffè verde.
La Missione ha inoltre chiesto norme più flessibili e un potenziamento del ruolo dei Comitati dipartimentali e comunali nella gestione della cosiddetta parafiscalità caffearia.
Critica Fedecafé, secondo la quale il documento presenta molti punti deboli ed è privo di qualsiasi riferimento ai fattori che incidono realmente sulla competitività del settore – quali le infrastrutture per la lavorazione post-raccolta, le politiche di razionalizzazione dei costi di produzione, il controllo dei prezzi dei fertilizzanti, la formazione professionale, l’educazione rurale, la sicurezza sociale e l’accesso al credito dei produttori.